torna caldo il tema dell’accertamento anticipato: qual è la data da considerare per la corretta notifica: quella di emanazione da parte del funzionario o quella di notifica al contribuente?
Con l’ordinanza n. 17202 del 12 luglio 2017, la Corte di Cassazione ha confermato che ai fini del rispetto dei 60 giorni previsto dall’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, vale la data di emanazione dell’atto e non quella della successiva notifica (nel caso di specie, a fronte dell’accesso effettuato dall’Ufficio il 28 ottobre 2009, l’avviso di accertamento era stato sottoscritto il 23 dicembre, ancorché notificato il successivo 28).
Il Collegio ha inteso dare continuità all’orientamento espresso nella sentenza n. 11088/2015, per il quale l’atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell’Ufficio (vale a dire “emanato“) in data anteriore alla scadenza del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, c. 7, è illegittimo, per violazione della disciplina del contraddittorio procedimentale, ancorché la relativa notifica al contribuente sia stata effettuata dopo tale scadenza (in senso conforme Cass. sent. n. 5361 del 17/03/2016).
Proprio con detta ultima sentenza (n. 5361/2016), la Corte di Cassazione ha confermato che ai fini del rispetto dei 60 giorni previsto dall’art.12, comma 7, della L. n. 212/2000, vale la data di emanazione dell’atto e non quella della successiva notifica: “Ed invero, questa sottosezione, con sentenza n. 11088/2015 ha di recente chiarito che la violazione del contraddittorio endoprocedimentale garantito dall’art. 12 c.7 I. n. 212/2000 sussiste quando l’avviso di accertamento risulta emesso prima della scadenza dei sessanta giorni dalla data del rilascio del processo verbale di constatazione indipendentemente dalla circostanza che la notifica sia avvenuta successivamente. In questa direzione milita la disposizione di cui all’art. 12, comma 7 della L. 212/2000 che ‘non può essere intesa come equivalente a “non può essere notificato o, comunque, altrimenti portato a conoscenza legale del contribuente”. A tali conclusioni si giunge per due ordini di considerazioni. In primo luogo perché la notificazione è una mera condizione di efficacia, e non un elemento costitutivo, dell’atto amministrativo di imposizione tributaria cosicché, quando l’atto impositivo viene notificato, o comunque portato a conoscenza del destinatario, esso è già esistente e perfetto, il che significa che è già stato “emanato”… In secondo luogo, perché … la norma in esame tende a garantire il contraddittorio procedimentale, ossia a consentire al contribuente di far valere le proprie ragioni nel momento stesso in cui la volontà impositiva si forma quando l’atto impositivo è ancora infierì’. Ne consegue che l’Ufficio deve attendere il decorso del termine previsto dalla legge per la formulazione delle osservazioni e richieste del contribuente, prima di chiudere il procedimento di formazione dell’atto, ossia prima che lo stesso venga redatto in forma definitiva e, quindi, datato e sottoscritto dal funzionario che ha il potere di adottarlo; vale a dire, come appunto la legge recita, venga ‘emanato’“.
Brevi riflessioni
Il comma 7, dell’articolo 12, dello Statuto del contribuente (L. n. 212/2000) prescrive che “nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Come è noto, a Sezioni Unite, la Corte di Cassazione, con la sentenza n.18184 del 29 luglio 2013, è intervenuta sulla questione, fissando dei precisi principi. In particolare, in relazione al vizio di legittimità dell’atto emesso ante tempus sull’urgenza, ha così scritto.
La deroga prevista per i “casi di particolare e motivata urgenza”, in presenza dei quali l’Ufficio è esonerato dal rispetto del termine dilatorio, conduce il collegio a preferire l’orientamento che fa derivare l’illegittimità “non già dalla mancanza, nell’atto notificato, della motivazione circa la ricorrenza di un caso di urgenza, bensì dalla non configurabilità, in fatto, del requisito dell’urgenza”. Infatti, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, assistito da sanzione di nullità in caso di inottemperanza, è quello che ha ad oggetto il contenuto sostanziale della pretesa tributaria, cioè “i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche” che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, “non essendo, invece, necessario dar conto, in quella sede (e, comunque, non a pena di invalidità, salvo eccezioni espresse), del rispetto di regole procedimentali, quali, come nella specie, quelle attinenti al tempo di emanazione del provvedimento: l’osservanza delle regole del procedimento, infatti, ove contestata, sarà oggetto di dibattito e di valutazione nelle sedi stabilite (amministrativa in caso di istanza di autotutela, contenziosa in caso di ricorso al giudice tributario). Né, in senso contrario, è condivisibile la tesi secondo la quale, nella norma in esame, la motivazione dell’urgenza è esplicitamente prescritta”.
L’espressione “salvo casi di particolare e motivata urgenza” non appare alla Corte in sé decisiva, “poiché non individua con certezza nell’atto impositivo la (unica) sede in cui la ‘motivata urgenza’ deve essere addotta dall’Ufficio: l’uso del termine ‘motivata’ non implica, infatti, necessariamente il richiamo alla motivazione dell’avviso di accertamento. In secondo luogo, e comunque, deve ritenersi che risponda a criteri di equilibrio degli interessi coinvolti e di ragionevolezza far dipendere la validità o meno dell’atto emesso ante tempus dalla sussistenza o meno, nella realtà giuridico-fattuale, del requisito dell’urgenza, anziché dalla circostanza (avente valore del tutto secondario) che tale requisito sia, o no, enunciato nell’atto: ciò che conta, in definitiva, ai fini dell’esonero dell’Ufficio dall’osservanza del termine dilatorio, è unicamente il fatto che la particolare urgenza di provvedere effettivamente nella fattispecie vi sia stata. Ne deriva che la questione si sposta in sede contenziosa, nel senso che, a fronte di un avviso di accertamento emesso prima della scadenza del termine de quo e privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente potrà, ove lo ritenga, anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine (cfr. Cass., sez. un., nn. 16412 del 2007 e 5791 del 2008, in tema di mancato rispetto della sequenza procedimentale prevista per la formazione della pretesa tributaria): spetterà, quindi, all’Ufficio l’onere di provare la sussistenza (all’epoca) del requisito esonerativo dal rispetto del termine e, dunque, in definitiva, al giudice, a seguito del dibattito processuale (e senza, perciò, che il contribuente subisca alcuna menomazione del diritto di difesa), stabilire l’esistenza di una valida e ‘particolare’ – cioè specificamente riferita al contribuente e al rapporto tributario in questione – ragione di urgenza, idonea a giustificare l’anticipazione dell’emissione del provvedimento”.
La sentenza che si annota, unitamente ai precedenti richiamati, contrasta, comunque, con il pensiero della stessa Corte, manifestato con l’ordinanza n.4650 del 9 marzo 2016, dove ha ritenuto che la tutela legislativa indicata nel dettato normativo è ancorata alla notifica dell’atto impositivo o, in ogni caso, all’avvenuta conoscenza, così che la notifica dell’atto dopo il 60’ giorno, cioè dal 61’, non viola la norma, in quanto prima l’atto rimane nella sfera interna dell’ufficio.
Come abbiamo già avuto modo di osservare1 se è vero che le conclusioni cui è giunta la Suprema Corte con la sentenza n. 11088/2015, fatte proprie dalla pronuncia n. 5361/2016 e, oggi, nella sentenza in esame, secondo cui l’atto impositivo sottoscritto/emanato dal funzionario dell’Ufficio ante tempus è illegittimo, ancorchè la relativa notifica al contribuente sia stata effettuata dopo tale scadenza, sono il frutto di una interpretazione letterale della norma, che fa riferimento all’emanazione e non alla notifica dell’atto, e se è vero che l’atto notificato è cosa diversa dall’atto emanato, è pur vero che nelle ipotesi in cui l’ufficio emani l’atto anticipatamente e notifichi successivamente è compito del giudice valutare se il contraddittorio è stato mortificato (se per esempio, vi sono state memorie presentate ovvero non valutate).
La ratio della norma è quella di spingere sul contraddittorio, e pertanto nei casi in cui la memoria sia stata esaminata dall’ufficio2, dandone magari atto nell’avviso di accertamento emesso, qualora lo stesso venga emanato ante tempus, ma notificato dopo i 60 giorni, a nostro avviso, non si può ritenere nullo3.
3 novembre 2017
Gianfranco Antico
1 Cfr. ANTICO, Accertamenti anticipati: rileva la data di emissione o la data di notifica? in Il fisco n. 19 del 2016, pag. 1817.
2 Cfr. Cass. sent .n. 21408 del 15 settembre 2017,secondo cui anche nel caso in cui l’avviso di accertamento non menzioni le osservazioni presentate dal contribuente, ai sensi dell’art. 12, c. 7, della L. n. 212/2000, l’atto rimane valido, “atteso che la nullità consegue solo alle irregolarità per cui essa sia essa sia espressamente prevista dalla legge, oppure, in difetto di previsione, allorchè ricorra una lesioni di specifici diritti o garanzie tali da impedire la produzione di effetti da parte dell’atto cui ineriscono (Cass. n. 3583 del 24.2.2016; ord. n. 8378 del 31.3.2017)”.
3 Cfr. Cass. sent. n. 16999 del 5 ottobre 2012 (ud. 22 giugno 2011), che ha dichiarato la nullità dell’atto di accertamento anticipato, rispetto alla consegna del Pvc, pur se vagliato dall’ufficio. In pratica, per la Corte, anche nel caso in cui l’ufficio abbia esaminato le osservazione e smontate motivatamente in sede di accertamento, deve attendere i 60 giorni.