Agevolazione ACE : applicazione, meccanismi e previsioni antielusive

L’ACE è una delle agevolazioni più interessanti dal punti di vista fiscale degli ultimi anni; analizziamo gli aspetti principali del calcolo, le particolarità ed i casi anomali (l’impresa familiare, il consolidato fiscale, le società non operative…)

L’ACE Aiuto alla Crescita Economica – Aspetti generali

ace aiuto alla crescita economicaL’ACE (aiuto alla crescita economica) è un’agevolazione fiscale di recente introduzione, orientata a favorire l’investimento di capitali nell’impresa, attraverso una deduzione corrispondente al «rendimento nozionale del nuovo capitale proprio».

L’ incentivo è stato introdotto dall’art. 1 del D.L. n. 6.12. 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla L. 22.12.2011, n. 214, con decorrenza dal periodo di imposta in corso al 31.12.2011 (2011 per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare). Le relative disposizioni attuative sono state emanate con decreto ministeriale del 14.3.2012.

A norma dell’art. 1, primo comma, del D.L. n. 201/2011, «ai fini della determinazione del reddito complessivo netto dichiarato dalle società e dagli enti indicati nell’articolo 73, comma 1, lettere a) e

b), del testo unico delle imposte sui redditi…, è ammesso in deduzione un importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio», secondo le disposizioni contenute negli altri commi del medesimo art. 1.

L’aliquota percentuale del rendimento nozionale del nuovo capitale proprio è stata fissata (per il periodo di imposta 2011 e per i due successivi) al 3% (art. 3, c. 3, D.M. 14.3.2012). La verifica dell’incremento deve essere effettuata periodo per periodo, con riferimento al periodo precedente (2011 sul 2010; 2012 sul 2011; 2013 sul 2012 ).

L’art. 1, c. 137 della L. 27.12.2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), ha stabilito un incremento del rendimento nozionale, elevato progressivamente fino alla misura del 4,75%.

Il funzionamento dell’agevolazione, con riferimento a taluni aspetti che non apparivano immediatamente comprensibili alla luce della sola normativa, è stato analizzato nella recente circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 12/E del 23.5.2014.

 

La determinazione della variazione in aumento

La variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 31.12.2010 è costituita dalla somma algebrica, se positiva, degli elementi indicati ai commi secondo e terzo dell’art. 5 del D.M. attuativo.

La somma algebrica, dalla quale scaturisce la base ACE, deve quindi essere eseguita tra i seguenti elementi.

 

ELEMENTI POSITIVI (art. 5, c. 2):

• conferimenti in denaro versati dai soci o partecipanti nonché quelli versati per acquisire la qualificazione di soci o partecipanti; si considera conferimento in denaro la rinuncia incondizionata dei soci al diritto alla restituzione dei crediti verso la società nonché la compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti del capitale.

I conferimenti eseguiti in attuazione di una delibera di aumento di capitale rilevano se tale delibera è assunta successivamente all’esercizio di riferimento (cioè all’esercizio precedente quello in cui si registra la variazione in aumento rilevante ai fini ACE);

• utili accantonati a riserva, ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili.

 

ELEMENTI NEGATIVI (art. 5, c. 3):

riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti.

Per i soggetti che applicano i principi contabili internazionali la riduzione del patrimonio netto conseguente all’acquisto di azioni proprie rileva nei limiti della variazione in aumento formata dagli utili di cui alla lettera b) del secondo comma. Negli stessi limiti rilevano gli incrementi del patrimonio netto a seguito di cessione di tali azioni.

Secondo quanto precisato dall’art. 11 del D.M., la variazione in aumento (incrementi – decrementi) del capitale proprio non può essere superiore al patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, ad esclusione delle riserve per acquisto di azioni proprie.

In generale, l’agevolazione consente alle imprese di dedurre dal reddito imponibile il componente negativo derivante dal rendimento nozionale attribuito al finanziamento delle imprese mediante capitale proprio: un rendimento determinato dal l’applicazione di un’aliquota percentuale alla variazione in aumento del capitale proprio rispetto a quello esistente alla chiusura dell’esercizio precedente.

Inoltre, l’ACE non può mai determinare una perdita fiscale. Ma le eventuali eccedenze, corrispondenti all’agevolazione non utilizzata per effetto dell’azzeramento del reddito, non vengono perse: la parte eccedente può essere infatti portata in aumento dell’importo deducibile dal reddito dei periodi d’imposta successivi.

La possibilità di chiedere e ottenere la disapplicazione degli stringenti vincoli che precludono, in talune circostanze, la fruizione dell’ACE, è 

affidata alla procedura di cui all’art. 37-bis, ottavo comma, del D.P.R. n. 600/1973.

I soggetti che trasferiscono la residenza dall’estero in Italia Secondo quanto è stato posto in luce nella predetta circolare n. 12/E del 2014 [paragrafo 1.1], con riferimento ai soggetti residenti all’estero che hanno trasferito la propria residenza fiscale in Italia nei periodi di imposta successivi a quello di prima applicazione dell’ACE, si ritiene rientrante nell’ambito soggettivo di applicazione una società estera che abbia trasferito la propria residenza in Italia, dal momento in cui assume la qualifica di soggetto residente ai sensi dell’art. 73 del TUIR.

A partire dal periodo d’imposta in cui acquisisce la qualifica di soggetto residente, la società potrà quindi applicare le disposizioni contenute nel decreto ACE, comprese quelle antielusive previste all’art. 10.

 

L’amministrazione straordinaria

Restano escluse dall’ambito di applicazione dell’ACE le società assoggettate alle procedure di:

  1. fallimento;
  2. liquidazione coatta;
  3. amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Relativamente alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, osserva la circolare che questa procedura persegue finalità tra loro alternative1:

 

1 La circolare cita al riguardo la cfr. risoluzione del 12.4.2002, n. 115/E.
  •  il risanamento della società (con continuazione dell’esercizio d’impresa) o,
  • qualora questo si riveli impossibile o economicamente non conveniente, la liquidazione della medesima.

Solo in quest’ultima ipotesi si avrà l’esclusione dall’ambito soggettivo di applicazione dell’ACE. L’agevolazione rimane invece applicabile nelle situazioni in cui l’amministrazione straordinaria risulti finalizzata al risanamento della società.

 

 

Le società non operative

Al paragrafo 1.3, la circolare dell’Agenzia delle Entrate afferma che, per le società non operative, sia «classiche» che in perdita sistematica (art. 30 L. 23.12.1994, n. 724; art. 2, D.L. 13.8.2011, n. 138, convertito dalla L. 14.9.2011, n. 148), il reddito minimo presunto deve essere calcolato al netto delle eventuali agevolazioni fiscali spettanti2.

Se quindi le società identificate come non operative registrino una variazione patrimoniale rilevante ai fini dell’applicazione dell’agevolazione, dovranno ridurre il reddito minimo per un importo pari al rendimento nozionale del capitale proprio.

 

 

CFC e calcolo del tax rate

Per effetto dei commi 8-bis e 8-ter dell’art. 167 del TUIR – fatta salva la facoltà di esercizio dell’interpello speciale a norma del quinto comma – i vincoli in materia di CFC vengono applicati anche se i soggetti controllati sono localizzati in Stati o territori diversi da quelli black listed, qualora  ricorrano congiuntamente le condizioni della soggezione a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati soggetti se residenti in Italia e del conseguimento di proventi derivanti per oltre il 50%

« … dalla gestione, dalla detenzione o dall’investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l’ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l’ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari».

Secondo le puntualizzazioni dell’Agenzia delle Entrate [circolare n. 12/E in commento, paragrafo 1.4], il livello effettivo di tassazione (tax rate) deve essere determinato applicando le disposizioni ordinariamente previste dal TUIR in materia di reddito d’impresa.

L’effetto dell’ACE non deve quindi essere considerato.

 

 

Incrementi e decrementi patrimoniali

Nel calcolo degli incrementi e decrementi patrimoniali, dal quale scaturisce la base imponibile ACE (paragrafo 2 – circolare in commento):

• quanto agli incrementi patrimoniali (art. 5, c. 4, decreto ACE):

o quelli derivanti da conferimenti in denaro rilevano solo a partire dalla data del versamento e a condizione che, come rilevato nella relazione illustrativa, la delibera di aumento del capitale sia stata assunta successivamente all’esercizio in corso al 31.12.2010;

o quelli derivanti da accantonamento di utili a riserva rilevano a partire dall’inizio dell’esercizio in cui le relative riserve sono formate, vale a dire dall’inizio del periodo d’imposta nel corso del quale l’assemblea delibera di destinare, in tutto o in parte, a riserva l’utile di esercizio;

• quanto ai decrementi patrimoniali, questi si considerano a partire dall’inizio dell’esercizio in cui si sono verificati e rilevano per il loro intero ammontare senza, perciò, la necessità di operare alcun ragguaglio.

L’esigenza di ragguagliare alla durata del periodo d’imposta è richiesta dal legislatore con esclusivo riferimento ai conferimenti in denaro.

Per quanto invece concerne la rilevanza degli utili, sia gli incrementi di base ACE a seguito del loro accantonamento a riserva disponibile sia i relativi decrementi per distribuzione degli utili stessi devono essere computati a partire dall’inizio dal periodo d’imposta in cui si sono formati.

Mentre i conferimenti in denaro assumono rilevanza dal momento dell’effettivo versamento, gli accantonamenti di utili assumono rilevanza dall’inizio del periodo d’imposta in cui viene assunta la relativa delibera. La distribuzione di riserve di utili assume quindi rilievo, quale riduzione del capitale proprio, a partire dall’inizio del periodo d’imposta in cui la stessa viene deliberata.

Il meccanismo di funzionamento, incentrato sulla riportabilità illimitata delle eccedenze di rendimento nozionale, impone l’uso obbligatorio dell’ACE fino a concorrenza del reddito complessivo netto del periodo d’imposta cui si riferisce. In questi limiti, le eventuali quote di ACE non utilizzate non potranno essere riportate nei periodi di imposta successivi.

 

 

I soggetti con esercizio non solare

scadenze fiscali calendario fiscaleSempre secondo l’interpretazione dell’Agenzia, ai sensi della normativa di riferimento (art. 1, nono comma, D.L. n. 201/2011), l’accesso all’ACE risulta possibile dal periodo di imposta in corso al 31.12.2011, indipendentemente dal giorno in cui questo ha avuto inizio o fine, ovvero da un periodo di imposta successivo se il soggetto beneficiario non esisteva ancora alla data del 31.12.2011.

Sono quindi inclusi i soggetti aventi periodo di imposta non solare, iniziato prima del primo gennaio 2014, purché ancora in corso al 31 dicembre di tale anno.

Nella circolare è proposto a tale riguardo l’esempio di una società costituitasi, in virtù di un conferimento in denaro, nell’ottobre 2010, il cui primo esercizio sociale si è prolungato fino al 31.12.2011.

Ai fini della quantificazione del beneficio occorre guardare alla relazione illustrativa, secondo cui nell’ipotesi di periodo di imposta superiore o inferiore a un anno il capitale proprio deve essere ragguagliato «alla durata del periodo stesso al fine di rendere tale variazione omogenea con il coefficiente di rendimento nozionale ad essa applicabile determinato su base annuale».

 

 

Le delibere degli amministratori

La circolare in commento [par. 2.2] sottolinea che i conferimenti rilevanti ai fini ACE sono quelli assunti con delibera successiva all’esercizio in corso al 31.12.2010.
Se l’assemblea ha conferito la facoltà di aumentare il capitale al consiglio di amministrazione (c.d. delega agli amministratori), ai sensi degli artt. 

2443 o 2481 del c.c., ovvero, al consiglio di gestione, prima del 2011, con successive deliberazioni da parte di questi ultimi, l’ACE spetta in quanto il processo deliberativo ha effettivamente avuto luogo.

 

 

Le riserve da first time adoption

Costituiscono elementi positivi della variazione del capitale ai fini ACE anche proprio gli accantonamenti a riserve disponibili derivanti dalla riclassificazione di riserve indisponibili a seguito del venir meno della condizione di indisponibilità, sempreché tali riserve indisponibili si siano formate a decorrere dal periodo di imposta 2011.

Non costituiscono invece incrementi di capitale proprio le riserve disponibili qualora e dal momento in cui risultino riclassificate tra le riserve indisponibili (cfr. circolare in commento, paragrafo 2.3, riserva da first time adoption).

 

 

Le disposizioni antielusive

L’art. 10 del D.M. 14.3.2012 prevede delle disposizioni antielusive, la cui finalità, come precisato nella relazione illustrativa, è di evitare, soprattutto nell’ambito dei gruppi societari, effetti moltiplicativi del beneficio.

La disposizione richiamata si rivolge ai soggetti IRES e IRPEF che sono controllanti, ex art. 2359 c.c., di altri soggetti IRES o IRPEF, ovvero che sono controllati, anche insieme ad altri soggetti, dallo stesso controllante.

Si tratta di un controllo di tipo molto ampio, giacché l’art. 2359 c.c. prevede ipotesi anche di controllo non formale (di fatto).

In tali ipotesi, la variazione in aumento del capitale proprio è ridotta dei conferimenti in denaro effettuati, successivamente alla chiusura del periodo d’imposta in corso al 31.12.2010, a favore di soggetti controllati o sottoposti a controllo del medesimo controllante o divenuti tali a seguito di conferimento.

La riduzione va effettuata a prescindere dalla sussistenza del rapporto di controllo alla chiusura dell’esercizio. Di conseguenza, la riduzione della base imponibile ACE permane anche se il rapporto di controllo viene meno.

La variazione in aumento, al netto della riduzione di cui all’art. 5, terzo comma, del D.M., non ha effetto fino a concorrenza:

  • dei corrispettivi per l’acquisizione di aziende o di rami aziendali già appartenenti ai predetti soggetti;
  • dei corrispettivi per l’acquisizione o per l’incremento di partecipazioni in società controllate già appartenenti ai predetti soggetti;
  • dei conferimenti in denaro da parte di: soggetti non residenti, se controllati da soggetti residenti; -soggetti domiciliati in Stati o territori diversi da quelli di cui al DM ex art. 168-bis TUIR, ossia da quelli che consentono lo scambio di informazioni ai fini tributari;
  • dell’incremento dei crediti di finanziamento nei confronti dei predetti soggetti, rispetto a quelli risultanti dal bilancio dell’esercizio in corso al 31.12.2010 (secondo la relazione introduttiva al decreto attuativo, sono crediti di finanziamento quelli che non sono connessi all’operatività bancaria e finanziaria della società del gruppo che viene finanziata, né derivanti dalla sottoscrizione di titoli di debito; a titolo esemplificativo, tra tali crediti rientrano quelli derivanti da erogazioni in denaro a scopo di  mutuo con durata superiore a 18 mesi).

 

La relazione illustrativa al D.M. attuativo precisa che vengono individuate dall’art. 10 richiamato «tre fattispecie cui è riconducibile l’immediata sterilizzazione dell’ACE: i conferimenti in denaro, l’acquisizione di partecipazioni e aziende, l’incremento dei crediti di finanziamento rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010».

È precisato più avanti che la sterilizzazione operata dal terzo comma, lettera e), con riguardo all’incremento del crediti di finanziamento, discende da motivazioni analoghe a quelle che hanno indotto a neutralizzare i conferimenti in denaro effettuati da soggetti residenti [art. 10, secondo comma, D.M. 14.3.2012].

«Anche i crediti, infatti, possono risultare uno strumento idoneo a moltiplicare la base di calcolo dell’ACE. In particolare, ciò può attuarsi allorquando la società che riceve il conferimento in denaro presta la disponibilità liquida ricevuta ad altre società affinché realizzino a loro volta conferimenti in denaro utili per generare ulteriore base di calcolo dell’ACE».

 

La circolare prende in esame le seguenti fattispecie.
Paragrafo 3.1 – accrescimento ACE generato esclusivamente dall’utile non distribuito

Nella prospettiva della disapplicazione, è importante dimostrare che l’incremento di capitale proprio ACE non è stato preceduto da un’immissione di denaro che ha aumentato, in precedenza, il capitale proprio di un altro soggetto del gruppo.

«Si pensi, ad esempio, ad un soggetto che ha realizzato un incremento di capitale proprio nel periodo d’imposta 2011 – generato unicamente dall’utile non distribuito conseguito nell’esercizio 2010 – e che ha trasferito ad una società del gruppo una somma di denaro mediante una delle operazioni oggetto delle disposizioni antielusive.

In tal caso, se il contribuente non ha ricevuto alcun conferimento in denaro e alcun prestito da parte di un soggetto del gruppo di una somma che, prima di essere prestata a quest’ultimo, abbia aumentato il capitale proprio di un’impresa del gruppo mediante conferimento, non si genera alcun effetto elusivo.

Conseguentemente, l’eventuale trasferimento nel gruppo di una somma di denaro (mediante le operazioni colpite dalla disciplina antielusiva) non genera la duplicazione del beneficio contrastata dalle norme di cui all’articolo 10 del decreto ACE, rendendo inutile ogni indagine circa il susseguente impiego delle somme di cui si tratta dal momento che le disponibilità in questione non hanno precedentemente provocato alcun giovamento in materia di ACE per altre entità giuridiche del gruppo».

 

 

Paragrafo 3.2 – accrescimento ACE generato dalla conversione di prestiti obbligazionari

Si è in presenza di una fattispecie analoga al conferimento in denaro, anche nell’ipotesi in cui l’accrescimento patrimoniale, rilevante ai fini ACE, derivi dalla conversione di un prestito obbligazionario.

Le somme derivanti dalla conversione di un prestito obbligazionario sono assimilabili a un conferimento in denaro con la conseguenza che, qualora le stesse fossero trasferite ad altri soggetti del gruppo mediante  operazioni oggetto della disciplina antielusiva, potrebbe verificarsi una duplicazione del beneficio ACE.

Ai fini dell’ACE, valorizzando le regole valevoli per i soggetti IAS/IFRS adopter, assume rilevanza sostanziale il periodo in cui è effettuata la scelta per la conversione.

 

Paragrafo 3.2 – 3.3 conferimenti in denaro ricevuti da soggetti non residenti

Il decreto ACE contiene una presunzione assoluta in base alla quale i conferimenti in denaro provenienti da soggetti domiciliati in Paesi
«black list» (che non consentono scambi di informazioni) sono in ogni caso elusivi.

Per individuare i Paesi che non consentono lo scambio di informazioni occorre fare riferimento al D.M. 4.9.1996.

Secondo l’indirizzo dell’Agenzia, non è possibile presentare validamente istanza di disapplicazione (ex art. 37-bis, ottavo comma, D.P.R. n. 600/1973) su questi aspetti, in quanto non è possibile verificare se le prove fornite dal contribuente sono sufficienti a dimostrare che l’effetto antielusivo contrastato dalla norma può in concreto non verificarsi.

 

Paragrafo 3.4 – sterilizzazione dell’incremento di capitale proprio nell’ipotesi di incremento dei crediti da finanziamento

Anche i crediti da finanziamento possono risultare uno strumento idoneo
a moltiplicare la base di calcolo dell’agevolazione, e quindi vengono esclusi (salvo disapplicazione) dalla base ACE.

In merito alla individuazione della nozione di crediti da finanziamento, occorre guardare secondo l’Agenzia non a criteri nominalistici o alla collocazione in bilancio ma alla «intrinseca natura del credito stesso»3.

Secondo la circolare inoltre, che rilegge la relazione di accompagnamento del decreto ACE:

  • i crediti da finanziamento sono quelli diversi dai crediti da funzionamento e da quelli derivanti dalla sottoscrizione di titoli di debito;
  • i crediti di funzionamento sono quelli connessi all’operatività bancaria e finanziaria della società del gruppo finanziata.

L’individuazione dell’appartenenza dei crediti al gruppo di quelli di funzionamento o finanziamento non è una questione interpretativa ma attiene a valutazioni di fatto: sono quindi ritenute inammissibili le istanze di disapplicazione aventi a oggetto la riconducibilità del credito all’una o all’altra delle categorie indicate.

Allo scopo di quantificare alla fine del periodo d’imposta «l’incremento, rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 31 dicembre 2010, dei crediti di finanziamento», il contribuente deve determinare in modo distinto, relativamente a ciascuna impresa del gruppo finanziata, gli aumenti e le riduzioni dei diritti di credito, rispetto alle risultanze dell’esercizio in corso al 31.12.2010.

Le posizioni creditorie, quindi, non devono essere sommate algebricamente.

 

Secondo la circolare, potranno trovare accoglimento le istanze di disapplicazione, adeguatamente motivate e documentate, che dimostrino  come a seguito dell’incremento dei crediti da finanziamento il contribuente non abbia operato alcun conferimento dei crediti ad altro soggetto del gruppo ovvero alcun ulteriore finanziamento ad altri soggetti del gruppo (che abbiano a loro volta operato dei conferimenti).

In particolare, il contribuente dovrà presentare la documentazione idonea a dimostrare che il soggetto finanziato:

  • non abbia posto in essere conferimenti in denaro che abbiano aumentato il capitale proprio di altri soggetti del gruppo;
  • non abbia finanziato altri soggetti del gruppo che a loro volta abbiano aumentato il capitale proprio di altri soggetti del gruppo (mediante conferimenti).

 

L’acquisto di partecipazione di controllo da soggetto non residente

Ai fini ACE è oggetto di sterilizzazione anche l’incremento di capitale proprio realizzato per un ammontare pari ai corrispettivi erogati per l’acquisizione (o l’incremento della quota detenuta) delle partecipazioni di controllo.

Afferma al riguardo la circolare [paragrafo 3.5] che, ai fini dell’applicazione della norma antielusiva, il contraente che aliena le partecipazioni deve essere un soggetto residente appartenente al gruppo.

Sono presi in considerazione, dunque, soltanto gli acquisti di partecipazioni di controllo trasferite da cedenti che risiedono in Italia dal punto di vista fiscale.

 

Le imprese familiari

Per quanto riguarda la situazione delle imprese familiari (art. 230-bis del codice civile), precisa la circolare [par. 4] che, anche se le disposizioni attuative dell’agevolazione (art. 8) regolano esclusivamente la gestione delle eccedenze di rendimento nozionale rispetto al reddito d’impresa, il rendimento nozionale ACE deve essere ripartito in toto tra imprenditore e familiari in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al reddito.

Questa interpretazione secondo l’Agenzia consente di garantire parità di trattamento, in relazione alle modalità di applicazione dell’agevolazione ACE, tra gli imprenditori individuali e quelli che operano all’interno di un’impresa familiare.

Ferma restando la ripartizione degli utili fra l’imprenditore ed i propri familiari, ognuno dei componenti di questa tipologia di impresa realizza una propria quota di reddito complessivo netto, derivante dall’attività imprenditoriale, che dovrà essere ridotta della propria percentuale di rendimento nozionale definita in proporzione alle rispettive quote di partecipazione al reddito.

Le eventuali eccedenze di rendimento nozionale saranno riportabili nei successivi periodi di imposta, partitamente dall’imprenditore e dai suoi familiari secondo le regole ordinarie dell’agevolazione ACE.

 

ACE e consolidato fiscale

Secondo l’art. 6 del decreto ACE, per le società e gli enti che partecipano al consolidato nazionale l’eventuale eccedenza di agevolazione rispetto all’importo determinato dalla singola società viene trasferita alla fiscal unit, nei limiti di quanto trova capienza a livello di gruppo, ed è ammessa in deduzione dal reddito complessivo globale netto di gruppo fino a concorrenza dello stesso.

L’eccedenza non trasferita, in quanto non vi sia capienza a livello di fiscal unit, risulterà riportabile nei periodi d’imposta successivi dalle singole società che compongono il consolidato fiscale, e potrà essere nuovamente trasferita al consolidato nei periodi d’imposta successivi.

L’attribuzione delle eccedenze alla fiscal unit, secondo quanto precisa l’Agenzia, deve avvenire in via obbligatoria e in misura pari alla capienza del reddito complessivo netto del gruppo.

Nel caso vi sia capienza a livello di gruppo, le eccedenze non trasferite non potranno essere riportate nei periodi d’imposta successivi dalle società appartenenti al consolidato4.

È invece vietato attribuire al consolidato le quote di agevolazione ACE generatesi anteriormente all’opzione per la tassazione di gruppo.

 

Approfondisci con questo aggiornamento ACE – Il premio alla capitalizzazione delle imprese

 

2 Luglio 2014

Fabio Carrirolo

 

NOTE

 

2 Questo principio viene ricavato dalle circolari n. 3/E del 4.3.2013, n. 25/E del 4.5.2007 e n. 53/E del 21.12.2009.

3 L’Agenzia richiama al riguardo la circolare del 19 giugno 2001, n. 61/E.

4 Il decreto attuativo non pone al riguardo uno specifico divieto. L’interpretazione risponde a un orientamento prudenziale dell’Agenzia, che intende «garantire la parità di trattamento con i soggetti che operano al di fuori del consolidato fiscale, evitando la possibilità di strumentalizzare per finalità di risparmio fiscale il meccanismo di riporto delle eccedenze ACE con gli effetti dell’adozione del regime del consolidato fiscale».

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