La Corte di Giustizia di secondo grado della Puglia ha stabilito che la diversa identificazione della fonte di reddito da parte dell’Agenzia delle Entrate non influisce sulla validità dell’avviso di accertamento. Anche se l’attività del contribuente è stata erroneamente classificata, ciò non determina la nullità dell’avviso se il reddito non dichiarato è comprovato. Il caso riguardava un DJ che contestava l’errata qualificazione del suo reddito come d’impresa anziché di lavoro autonomo.
La Corte di giustizia di secondo grado della Puglia si è occupata di doverosità o meno di una qualificazione reddituale da parte dell’ufficio, stabilendo che la diversa identificazione della fonte di produzione della ricchezza non incide sugli elementi costitutivi della pretesa fiscale. Quindi, l’errata o imprecisa indicazione della categoria reddituale da parte dell’Agenzia delle entrate in un atto impositivo non costituisce circostanza di per sé sufficiente a determinare la nullità dell’avviso, poiché ciò che conta è che il contribuente abbia prodotto reddito sottratto a tassazione e che tale fatto sia stato posto a fondamento dell’avviso di accertamento, pur classificando erroneamente l’attività svolta per produrlo.
Reddito accertato classificato erroneamente
I fatti in causa: accertamento su redditi da attività di deejay
Il contenzioso oggetto della decisione che intendiamo attenzionare originava da un avviso di accertamento esecutivo, notificato ad un contribuente da un ufficio pugliese dell’Agenzia delle entrate.
Nel criticare l’atto impositivo davanti alla CTP competente, il contribuente premetteva di svolgere l’attività di deejay, attività di lavoro autonomo senza organizzazione, e che, a seguito di verifica da parte della Guardia di Finanza presso la propria abitazione in esecuzione di un decreto del Pubblico Ministero, gli era stata contestata l’omessa dichiarazione