Usufrutto: momento impositivo tra atto scritto e incasso posticipato

Come ci si regola con le imposte, quando un provento da compravendita viene incassato in anni successivi a quelli della stipula del contratto? La risposta viene fornita da una recente ordinanza della Cassazione… Ecco gli effetti sulla costituzione di usufrutto saldata in annualità successive.

In un precedente contributo (“Gli atti di cessione o di costituzione di diritti reali al vaglio del Fisco”), abbiamo dato notizia di una recente risposta ad interpello, vertente nell’ambito della tassazione come reddito “diverso” delle operazioni di cessione o di costituzione di diritti reali (in primis l’usufrutto). È noto che, dall’anno 2024, l’articolo 67, lettera h), del TUIR, prevede che i redditi derivanti dalla costituzione di diritti reali di godimento su beni immobili non sono più annoverabili tra i redditi diversi relativi alla cessione di fabbricati, ma divengono una fattispecie imponibile a sé stante.

In altre parole, se tra l’acquisto del fabbricato e la costituzione dell’usufrutto sono decorsi più di cinque anni, mentre prima del 2024 non si pagava alcuna imposta, oggi l’intero corrispettivo diventa tassabile come reddito diverso.

 

Usufrutto costituito nel 2023 ma incassato nel 2024 o 2025

costituzione usufruttoIpotizziamo adesso il caso in cui il contribuente abbia costituito l’usufrutto entro la fine del 2023, e che però incassi il denaro da esso derivante negli anni 2024 e/o 2025, ossia al momento in cui la norma è stata cambiata.

La domanda è se valga la data dell’atto o quella di incasso, ai fini della determinazione del reddito.

A tale domanda può darsi risposta anche giovandosi dell’ausilio di una recentissima ordinanza della Cassazione, la n. 15944/2025, che si è pronunziata su un caso diverso ma solo formalmente.

La fattispecie riguardava un contratto di cessione, nel quale una parte del corrispettivo di cessione sarebbe per esplicito accordo venuta a maturazione negli anni successivi, al verificarsi di talune circostanze.

Nella fattispecie, la percentuale dell’imposta dovuta sulle plusvalenze era passata dal 12,5%, vigente nell’anno di stipula del contratto, al 20%, vigente nell’anno di percezione del corrispettivo aggiuntivo.

Il contribuente aveva versato il 20% sulla quota di prezzo maturata successivamente, salvo poi ripetere la differenza, del 7,5%, rispetto al 12,5%.

Naturalmente, la questione è finita davanti al giudice tributario, fino alla Cassazione, la quale ha dato ragione al contribuente.

 

Il momento impositivo è quello della conclusione del contratto

Il regime tributario da applicare all’operazione va individuato nell’anno di conclusione del contratto e non in quello di incasso del corrispettivo; quest’ultimo, piuttosto, ha solo la funzione di stabilire il periodo in cui sorge l’obbligo dichiarativo.

Se dunque tra i due momenti cambia il regime di tassazione, occorre guardare alle regole vigenti nell’anno di stipula dell’atto.

Analogamente, per il caso di costituzione di diritto reale, se il contribuente ha costituito l’usufrutto entro la fine del 2023, nessuna tassazione può sussistere per le quote di prezzo incassate negli anni successivi.

 

Fonte Agenzia Entrate, Risposta ad interpello n. 129/2025.

 

Danilo Sciuto

Giovedì 19 giugno 2025