Si profila l’ennesimo “ravvedimento speciale”, destinato a chi aderirà al concordato preventivo biennale 2025-2026, includendo anche l’anno d’imposta 2023. Una sanatoria mascherata che, più che rafforzare il sistema, ne mina ulteriormente la credibilità. Cosa ci sarebbe dietro questa nuova proposta?
Articolo tratto da Blast – Quotidiano di Diritto Economia Fisco e Tecnologia, direttore Dario Deotto
Un altro ravvedimento speciale, l’ennesimo, si affaccia alle porte: nei pareri resi allo schema di decreto correttivo in materia tributaria (Atto del Governo n. 262), la Commissione Finanze della Camera ha formulato, tra le altre, la proposta di estendere il ravvedimento speciale (ex art. 2-quater del Dl 113/2024) anche a coloro che aderiranno al concordato preventivo biennale (CPB) per il biennio 2025-2026, includendo altresì l’anno d’imposta 2023 nel perimetro sanabile. E c’è da scommetterci che la proposta verrà accolta dal ministero dell’Economia.
Chiaramente, si tratta di una misura destinata ad accrescere in qualche modo l’appeal dell’istituto (del concordato 2025/2026): già l’edizione 2024/25 non ha avuto particolare successo; e quella nuova (2025/26) è destinata ad averne ancora di meno, non foss’altro per il fatto che chi ha già aderito per il precedente biennio 2024/2025 non presterà – ovviamente – adesione alla nuova definizione. In quest’ottica l’idea di prevedere dei bienni “intrecciati” (2024/25, 2025/26, ecc.) non risulta particolarmente felice, se non dettata dall’esigenza di recuperare qualche ulteriore entrata.
Ad ogni modo, quello che si vuole rappresentare è che l’ennesima riedizione di “ravvedimenti speciali” – che a questo punto tanto speciali non sono – depotenzia ancora una volta la credibilità del sistema tributario italiano. Peraltro, si rammenta che ordinariamente l’istituto del ravvedimento (articolo 13 del Dlgs 472/1997) si caratterizza per il fatto che al contribuente, il quale si avvede di avere commesso specifiche violazioni (errori o omissioni), viene consentito di rimediarvi entro, sostanzialmente, i termini di decadenza dell’accertamento.
Nella previsione del ravvedimento speciale non vi è, invece, l’individuazione di alcuna specifica violazione per la quale poi il contribuente provvede alla regolarizzazione ex post, ottenendo la riduzione delle penalità. Quella del ravvedimento speciale è a tutti gli effetti una sanatoria a forfait attraverso la quale si ottiene una più che discreta copertura dagli accertamenti (tutti quelli reddituali ex art. 39 del DPR 600/1973 e gli accertamenti analitici-induttivi IVA).
Ulteriormente, rispetto alla previsione dell’articolo 2-quater del Dl 113/2024, si vorrebbe disporre (e, si scommette, la proposta verrà accolta) – per coloro che aderiranno al concordato 2025/26 – l’estensione degli effetti al periodo 2023, creandosi così delle asimmetrie rispetto ai soggetti che hanno già aderito al primo biennio del concordato (2024–2025). Tant’è che la sensazione è che, prima o poi, la possibilità di definizione del periodo 2023 verrà consentita anche a coloro che hanno aderito alla precedente edizione del concordato.
Ancora, si rileva che il “regime di ravvedimento” – come l’edizione precedente – renderà inutili tutte le attività di verifica e di controllo in corso, vanificando così l’attività ispettiva fatta in quest’ultimo periodo dall’amministrazione finanziaria.
Ribadiamo: se i conti pubblici non lo permettono, l’unica ri-forma da fare è quella di rendere credibile, per quanto possibile, il sistema tributario italiano. La sensazione è, invece, che – in direzione ostinata e contraria – si persegua la strada opposta.
Dario Deotto e Barbara Marini per BLAST
Giovedì 8 maggio 2025
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