Un recente caso di contenzioso sul riporto del credito IRPEF evidenzia le criticità dei controlli automatizzati. Un contribuente ha contestato una cartella emessa dopo l’esclusione di un credito che l’Agenzia delle Entrate riteneva non più riportabile.
La CGT di secondo grado della Campania, avendo accolto l’appello del contribuente ed annullato la cartella di pagamento emessa nei confronti di quest’ultimo, ha richiamato un principio fondamentale: il contribuente può sempre dimostrare l’effettiva esistenza del credito con idonea documentazione, poiché il diritto nasce dalla legge e non dalla dichiarazione. Inoltre, può opporsi in sede contenziosa a una maggiore pretesa fiscale.
Questo importante caso sottolinea l’importanza di una gestione attenta dei crediti d’imposta e delle possibili difese contro accertamenti automatizzati.
Riporto del credito IRPEF e contenzioso: il caso, l’intervento della giustizia tributaria e le modalità di gestione fiscale
Vicenda processuale: il caso specifico che interessa il caso generale
In data 5 maggio 2016, il contribuente riceveva notifica di comunicazione di irregolarità relativa all’anno d’imposta 2013, con la quale l’Agenzia delle Entrate gli rappresentava la spettanza di un credito di euro 27.896,00, che non poteva essere più inserito dal contribuente nella dichiarazione fiscale per l’anno 2013, in quanto questa non poteva più formare oggetto di integrativa a favore.
L’anno successivo l’ufficio, attraverso l’invio di un’altra comunicazione di irregolarità, notiziava la ditta della spettanza di un ulteriore credito di euro 32.338,00 per l’anno d’imposta 2014.
A questo punto, il contribuente nel 2019 procedeva ad integrare le dichiarazioni degli anni 2014,2015 e 2016 ed a presentare la dichiarazione del 2017.
Senonché, in data 25 gennaio 2020, l’Agenzia delle Entrate, procedeva al controllo automatizzato della posizione fiscale del contribuente per l’anno d’imposta 2017, formalizzando la decisione di non condividere la scelta del riporto del credito d’imposta di euro 28.754,00 “a catena” nelle dichiarazioni fiscali successive all’anno 2014, ritenendo doversi più correttamente procedere a far emergere il maggior credito, relativo all’anno 2014, nel “quadro DI” della dichiarazione relativa all’anno d’imposta in cui era stata presentata l’integrativa, vale a dire l’anno 2019, potendo essere utilizzato per eseguire il versamento dei debiti maturati a partire dal periodo successivo.
A questo punto, seguendo le indicazioni degli stessi funzionari, il contribuente, in data 10 dicembre 2020, provvedeva a presentare la dichiarazione fiscale per l’anno 2019, esponendo nel “Quadro DI1” un credito d’imposta di euro 32.338,00, come derivante dall’anno d’imposta 2