In una recente risposta a interpello, l’Agenzia delle Entrate ha negato la possibilità di emettere una nota di credito per recuperare l’IVA in caso di fallimento del cliente, quando la rinuncia al credito è unilaterale. Questa interpretazione, legata alle procedure concorsuali avviate prima del 26 maggio 2021, contrasta però con una sentenza della Cassazione, sollevando dubbi su una corretta applicazione delle norme fiscali.
Approfondiamo per comprendere meglio le implicazioni e le possibili conseguenze di questa decisione.
Commentiamo una recente risposta ad interpello da parte dell’Agenzia delle entrate (segnalata nel Diario Quotidiano del 16/10/2024) in tema di condizione per la possibilità di emettere la nota di credito in caso di fallimento del cliente per il recupero dell’IVA.
Note di credito e procedure concorsuali
Il comma 2 dell’articolo 26 del DPR n. 633/1972 permette l’emissione della nota di credito, con conseguente recupero dell’imposta corrispondente alla variazione, se un’operazione viene meno,
o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili.
Tale elencazione di fattispecie non poteva non generare dubbi applicativi, come quello del quale è stata investita l’Agenzia recentemente.
Il caso: tentativo di recupero IVA per fallimento aperto prima del 26 maggio 2021
Il caso esposto è quello di un creditore che trova il proprio debitore assoggettato a procedura concorsuale.
Poiché essa è stata aperta prima del 26/05/2021, il contribuente non applica la normativa attuale, che prevede che l’emissione della nota di credito sia ammissibile a partire dalla data di assoggettamento alla stessa, ma applica la precedente, che impone di attendere la conclusione infruttuosa della procedura (sul tema, per inciso, si ricorda il contributo nel quale si afferma la illegittimità del differente trattamento tra le due fattispecie).
L’istante procedeva dunque a rinunziare formalmente al credito, ed invitava dunque l’Amministrazione finanziaria ad accettare la possibilità di non attendere la definitività del piano di riparto, considerando la rinuncia al credito come caso non dissimile a quelli di risoluzione, rescissione, annullamento o scioglimento dell’originario contratto per mutuo dissenso.
La risposta dell’Agenzia va nel senso negativo, poiché la rinuncia unilaterale a un credito non è assimilabile alle ipotesi elencate al comma 2 dell’art. 26 del DPR 633/1972.
Dall’esame della normativa nazionale emerge, secondo l’Agenzia, che lo scopo perseguito dal legislatore è quello di “evitare comportamenti arbitrari dei contribuenti”. Il solo caso nel quale è attribuita rilevanza alla volontà sopravvenuta, rispetto alle originarie pattuizioni, è quello del comma 3 del citato art. 26, che però prevede l’accordo di entrambe le parti e non di una soltanto di esse.
La rinuncia unilaterale non può, quindi, essere assimilata alle fattispecie previste dalla normativa interna.
Si tratta di una interpretazione errata, che contrasta con il principio espresso dalla Cassazione civile, sez. V, tributaria, del 19 Dicembre 2023, n. 35518, “essendo ascrivibile a una delle ipotesi di mutamento degli elementi presi in considerazione per determinare l’importo delle detrazioni”.
Fonte: Agenzia delle entrate, risposta n. 203 del 15 ottobre 2024
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Danilo Sciuto
Venerdì 18 Ottobre 2024
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