Il modello impositivo pensato per il Concordato Preventivo Biennale è del tutto estraneo al modello impositivo pensato in Costituzione. Predire il reddito dei contribuenti a fini fiscali appare contrario al principio di capacità contributiva: si avvantaggia fiscalmente chi guadagnerà di più rispetto alla previsione, mentre chi guadagnerà meno pagherà imposte su redditi non conseguiti!
Con l’istituto del concordato biennale, secondo quanto più volte rimarcato dal Viceministro all’Economia e Finanze on. Leo, il Governo intende perseguire un cambiamento nel rapporto tra Fisco e contribuente privilegiando l’adempimento spontaneo. Si vogliono sperimentare diverse modalità di contrasto all’evasione, attraverso una definizione ex ante del rapporto tributario con gli operatori economici (imprenditori ed esercenti arti e professioni).
Il nuovo concordato preventivo biennale
Specificamente l’art. 9 (rubricato “Elaborazione e adesione alla proposta di concordato”) del D.Lgs 12 febbraio 2024, n. 13 testualmente dispone:
“La proposta di concordato è elaborata dall’Agenzia delle Entrate in coerenza con i dati dichiarati dal contribuente e comunque nel rispetto della sua capacità contributiva, sulla base di una metodologia che valorizza anche attraverso processi decisionali completamente automatizzati …..le informazioni già nella disponibilità dell’Amministrazione Finanziaria.
La predetta metodologia è predisposta per i contribuenti …. con riferimento a specifiche attività economiche e tiene conto degli andamenti economici di mercato, delle redditività individuali e settoriali desumibili dagli indici sintetici di affidabilità fiscale ….”.
L’art. 12 sempre del D.Lgs n. 13/2024 disciplina gli effetti per i soggetti Isa dell’accettazione della proposta, precisando che il contribuente si impegna a dichiarare il reddito ed il valore della produzione IRAP oggetto di concordato.
Ne deriva che i predetti effetti economici sono suscettibili di differenziarsi dalle effettive risultanze del reddito e del valore della produzione determinati secondo i criteri ordinari, in ordine ai quali il contribuente conserva tutti gli obblighi di trasparenza contabile e dichiarativa.
Se le risultanze reddituali effettive risulteranno a posteriori inferiori all’ammontare concordato il contribuente dovrà dichiarare l’importo concordato, mentre se l’effettiva manifestazione reddituale risulterà venirsi a determinare per un ammontare maggiore, l’eccedenza rimarrà immune da tassazione.
L’ammontare concordato, quindi, si sostituisce in ogni caso all’effettiva manifestazione di capacità contributiva del periodo, con l’effetto che chi ha conseguito un’attitudine economica maggiore verrà fiscalmente sgravato dell’eccedenza, mentre chi non riuscirà a conseguire il livello di attitudine economica insito nell’ammontare concordato, dovrà liquidare un’obbligazione tributaria superiore.
A fronte di tali risvolti impositivi sorge istantanea la domanda: una tale opzione concordataria è davvero in sintonia con i principi che con rango e rigore costituzionale presidiano l’obbligazione tributaria?
Può davvero un’intesa negoziale del contribuente con il Fisco consentire che una reale manifestazione di capacità contributiva possa essere parzialmente trascurata nella liquidazione dell’obbligo impositivo, ma soprattutto può un contribuente essere tenuto, anche se per effetto di un’opzione di fonte negoziale, a liquidare un’obbligazione tributaria sovradimensionata alla sua forza economica?
Come possono prestare sintonia le suddette commisurazioni impositive con il paradigma costituzionale del principio della solidarietà, per il quale chi consegue di più deve pagare di più, mentre che consegue di meno deve pagare di meno.