Il caso di attestatore inadempiente, che non offre ai creditori una disclosure esaustiva delle condizioni dell’impresa: può influire sulla concessione di un concordato in continuità?
La Cassazione si pronuncia sul contenuto della relazione di attestazione prevista dall’art. 161, comma 3, Legge Fallimentare nell’ambito del concordato preventivo (ora art. 87, comma 3, CCII – Codice della Crisi d’impresa e Insolvenza).
Il caso: mancata ammissione al passivo del compenso dell’attestatore
Nel caso in esame è il professionista a portare la questione all’esame dei giudici di legittimità, lamentando la mancata ammissione al passivo del credito vantato a titolo di compenso per l’attività di attestatore svolta in seno al concordato (successivamente revocato); esclusione motivata dal giudice in ragione dell’inadempimento del professionista proprio nell’attività attestativa.
Anticipando quanto sarà più chiaro nel prosieguo, la Suprema Corte all’esito del giudizio conferma l’inadempienza dell’attestatore (e conseguentemente l’esclusione del credito) affermando, in sostanza, che l’attestazione di veridicità dei dati aziendali non può essere intesa come una mera formula di stile ma deve avere una portata esplicativa, ovvero fornire un’effettiva, completa e dettagliata informazione ai creditori, in modo che a questi sia assicurata una decisione consapevole sulla proposta concordataria.
Una valutazione che, oltre la convenienza ed affidabilità del piano, può involgere anche valutazioni personali di soggettiva fiducia nel debitore (specie se imprenditore individuale) (e finanche della sua “meritevolezza”) e va perciò sorretta da una “disclosure” esaustiva e non superficiale sulle condizioni dell’impresa.
La vicenda processuale
L’iter processuale prende avvio nel caso di specie con il deposito da parte del debitore (impresa individuale) di un concordato in bianco ex art. 161, comma 6, L.F. cui faceva seguito il deposito del concordato preventivo nonché, tra l’altro, la relazione di attestazione redatta dal professionista designato dal debitore.
Il commissario giudiziale riscontrava, tuttavia, l’effettuazione da parte del debitore di ingenti prelevamenti di denaro (circa 1.000.000 di euro) non correttamente iscritti nel bilancio in quanto poste attive meramente fittizie e, pertanto, segnalava al tribunale il compimento di tali condotte depauperative del patrimonio che avevano p