La norma relativa all’Aiuto alla Crescita Economica (in sigla ACE) è giunta al capolinea. La riforma fiscale ne stabilisce, dopo 13 anni di vigenza, l’abrogazione con effetto dal 1° gennaio 2024. Nel presente contributo si traccia una sintesi degli effetti di questa novità.
L’abrogazione dell’Aiuto alla Crescita Economica (ACE), prevista a partire dal 2024, segna la fine di un’era per le politiche di incentivazione fiscale in Italia.
L’ACE, introdotta nel 2011, è stata una misura chiave per sostenere la patrimonializzazione delle imprese e stimolare gli investimenti.
La deduzione dal reddito d’impresa del rendimento figurativo del capitale proprio ha rappresentato un incentivo per le aziende, con un impatto positivo sul bilancio dello Stato.
Con l’abolizione dell’ACE, si assiste a un cambiamento nella relazione tra imprese, lavoratori autonomi e lo Stato.
L’Ufficio Parlamentare di Bilancio ha evidenziato come le imprese e i lavoratori autonomi contribuiscano al miglioramento dei saldi più di quanto ricevano dal bilancio, soprattutto a causa dell’abolizione dell’ACE[1].
Introdotta dal 2011, la deduzione dal reddito d’impresa del rendimento figurativo del capitale proprio andrà in pensione dal 2024 con un risparmio per lo Stato pari a quasi 5 miliardi. Una novità, che sbilancia i rapporti tra le imprese, i lavoratori autonomi e lo Stato.
La riforma fiscale del 2024 introduce in sostituzione dell’ACE, un nuovo incentivo alle assunzioni, che permette di maggiorare del 20% il costo del lavoro deducibile dei nuovi assunti, con una percentuale che sale al 30% per categorie svantaggiate come giovani o lavoratrici madri.
Tuttavia, questa misura non copre completamente lo stimolo agli investimenti che l’ACE offriva.
La decisione di abrogare l’ACE e sostituirla con altri strumenti riflette una scelta politica che richiede una visione a lungo termine e una programmazione attenta.
È fondamentale che le nuove misure siano in grado di svolgere la stessa funzione dell’ACE, per non compromettere la crescita e la competitività delle imprese italiane.
In conclusione, l’abrogazione dell’ACE rappresenta un punto di svolta per la politica fiscale italiana. Nel 2024, sarà cruciale monitorare l’efficacia delle nuove misure introdotte e assicurarsi che siano all’altezza delle sfide economiche future.
La norma abrogativa dell’ACE – Aiuto alla Crescita Economica
Il testo della norma abrogativa è il seguente:
“A decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, è abrogato l’articolo 1 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e, sino ad esaurimento dei relativi effetti, continuano ad applicarsi le disposizioni relative all’importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto del periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2023“.
In buona sostanza, per il periodo di imposta 2023 le imprese potranno continuare ad applicare la riduzione dell’imponibile IRES nella misura dell’1,30% e in presenza di eccedenza ACE non completamente assorbita sarà possibile utilizzare detta differenza fino al completo esaurimento anche negli esercizi successivi al 2023.
Abrogazione dell’Aiuto alla Crescita Economica: una scelta controversa
L’abrogazione dell’Aiuto alla Crescita Economica (ACE), disposta dalla L. n. 216/2023, ha suscitato un ampio dibattito tra gli operatori economici e gli esperti di diritto tributario.
La misura, introdotta nel 2011 con il decreto-legge n. 201, convertito in legge n. 214, aveva lo scopo di incentivare la patrimonializzazione delle imprese e gli investimenti, attraverso la possibilità di dedurre dal reddito imponibile la quota di rendimento figurativo che le imprese avrebbero dovuto conteggiare per aver scelto di finanziare gli investimenti con capitale proprio, piuttosto che con capitale di terzi.
Si trattava di una misura che voleva favorire il riequilibrio patrimoniale delle imprese verso una maggiore dotazione di capitale proprio e una minore incidenza del capitale di debito al fine anche di ridurre l’impatto economico sui conti delle imprese italiane, determinato dalla presenza di consistenti oneri finanziari, in un contesto imprenditoriale caratterizzato prevalentemente da fenomeni di sottocapitalizzazione.
L’ACE è stato oggetto di numerose modifiche nel corso degli anni, sia per quanto riguarda la sua estensione soggettiva che oggettiva, sia per quanto riguarda le modalità di calcolo.
In particolare, nel 2014 è stata estesa a tutte le imprese, indipendentemente dalla loro dimensione, purché non si trattasse di imprese non in condizione di continuità aziendale, in contabilità semplificata, di imprese sottoposte a procedure concorsuali caratterizzate da procedura liquidatoria, di imprese qualificabili società “di comodo” e di Enti non commerciali o trust.
Le motivazioni dell’abrogazione e gli effetti sul Sistema Italia
Le motivazioni dell’abrogazione dell’ACE affermano che la misura ha avuto un impatto limitato sulla crescita economica, in quanto ha rappresentato un incentivo fiscale per le imprese che già erano propense a investire. Inoltre, si è rilevato che l’ACE ha comportato un costo elevato per le finanze pubbliche.
La Relazione tecnica, infatti, attribuisce all’abolizione dell’ACE un recupero di gettito pari a 4,8 miliardi nel 2025 e 2,8 miliardi a regime.
Tale stima appare per certi versi prudente ma presenta alcuni fattori di incertezza soprattutto rispetto alla sua attribuzione annuale.
Con riferimento al primo aspetto, la quantificazione è basata sugli aumenti di capitale realizzati fino al 2021 – che includono l’espansione dovuta all’ACE innovativa – senza tenere conto degli ulteriori incrementi di capitale che hanno alimentato lo stock di rendimento deducibile nel 2022 e nel 2023.
Peraltro, nell’anno in corso un incremento significativo dello stock potrebbe riguardare il settore bancario, per il quale è stata prevista la possibilità di evitare il versamento dell’imposta straordinaria sugli extraprofitti attraverso un aumento di capitale pari a 2,5 volte l’importo dovuto (L. 136/2023).
Con riguardo al secondo aspetto, la quantificazione non sembra tenere conto del fatto che l’abolizione dell’ACE aumenterà dal 2024 la capienza delle imprese e, pertanto, consentirà loro di dedurre totalmente o parzialmente le quote di ACE pregresse (accumulate negli anni) non ancora utilizzate.
Queste ultime nel 2021 ammontavano a 16 miliardi, a cui corrispondono 3,8 miliardi di minori imposte (il 24 per cento) da ripartire negli anni futuri.
Qualunque sia l’ammontare finale nel 2023, le imprese potranno utilizzare lo spazio di capienza generato dalla abolizione dell’ACE già a partire dal 2024.
Di conseguenza, il maggiore gettito potrebbe risultare più contenuto nei primi anni dopo l’abolizione per poi aumentare a regime una volta recuperati completamente gli effetti pregressi.
Le critiche all’abrogazione dell’Aiuto alla Crescita Economica
L’abrogazione dell’ACE ha suscitato numerose critiche da parte degli operatori economici e degli esperti di diritto tributario.
In particolare, si è affermato che la misura ha rappresentato un importante incentivo per gli investimenti, in particolare quelli in ricerca e sviluppo, quest’ultimi successivamente serviti da specifiche disposizioni agevolative conclusesi con l’assegnazione di un credito di imposta.
Inoltre, si è rilevato che l’abrogazione dell’ACE rischia di penalizzare le imprese che sono già impegnate in un percorso di crescita e sviluppo.
Bisogna ammettere che la misura vigente per l’ultimo anno di applicazione dell’agevolazione ACE è così limitata (1,30%) da non suscitare tutta questa apprensione per la sua soppressione.
Sarebbe meglio pensare, oltre all’abrogazione dell’IRAP, di introdurre, compatibilmente con gli equilibri di bilancio dello Stato, un’IRES ridotta in presenza di investimenti strutturali che possano accrescere la competitività delle imprese.
In questo modo, quanto concesso dallo Stato, potrebbe ritornare allo stesso, sotto forma di una crescita delle imposte che si potrebbero avere come conseguenza dell’incremento degli utili realizzati dalle imprese più innovative.
Le conseguenze dell’abrogazione
L’abrogazione dell’ACE, come dicevamo prima, avrà un impatto significativo sul sistema tributario italiano. In particolare, si stima che la misura determinerà un aumento delle entrate fiscali per circa 4,8 miliardi di euro nel 2025 e per 2,8 miliardi di euro dal 2026.
Senza misure agevolative alternative, la misura avrà un impatto negativo sulla patrimonializzazione delle imprese, in quanto non avranno più la possibilità di dedurre dal reddito imponibile il rendimento figurativo che la misura oggi garantisce.
Conclusioni
L’abrogazione dell’ACE è una scelta controversa che ha suscitato un ampio dibattito tra i sostenitori e gli scettici della misura.
Ad onor del vero, riteniamo che dopo la riduzione della misura all’1.30% avvenuta nel 2019, questo strumento sia diventato una misura veramente agevolativa ed incentivante la capitalizzazione delle imprese solo nel 2021, con il varo dell’ACE innovativa (detta anche Super ACE) che aveva portato il rendimento nozionale al 15% dell’incremento di patrimonio netto realizzato solo nell’esercizio 2021 rispetto all’esercizio di partenza (2010 o iniziale per le società costituitesi dopo il 2010) e fino a 5 milioni di incremento di Patrimonio Netto, fermo restando la conferma dell’agevolazione dell’1,30% degli incrementi patrimoniali eccedenti il tetto sopra esposto.
Per il resto, riteniamo che la misura agevolativa avesse una portata limitata, rispetto a scelte di finanziamento fondate su capitale di prestito, sicuramente più onerose, ma fruenti di maggiori vantaggi in termini di deduzione fiscale.
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NOTA
[1] È quanto ha affermato Lilia Cavallari, presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio durante l’audizione sulla Manovra 2024 che si è tenuta il 14 novembre 2023. Nel progetto di riforma fiscale l’incentivo agli investimenti viene sostituito con l’agevolazione legata alle nuove assunzioni, ma resta scoperto lo stimolo alla patrimonializzazione.
Enrico Larocca
Venerdì 19 gennaio 2024