Società cartiere: indicatori e giurisprudenza

Le società cartiere si contraddistinguono per la scarsità di beni strumentali, assenza di utenze, mancato versamento delle imposte pur avendo una movimentazione bancaria rilevante ma con saldo praticamente zero.
Dal punto di vista economico l’esistenza delle cartiere distorce l’efficienza dei mercati, attribuendo indebiti vantaggi ai partecipanti.
Al fine di riconoscerle l’UIF (ufficio informazioni finanziarie) della Banca di Italia ha elaborato indici che rappresentano tale realtà.

La società cartiera: le caratteristiche tipiche

società cartiereLa società cartiera si rivela per l’omissione degli adempimenti fiscali per cui tramite operazioni oggettivamente inesistenti di cui all’art. 1 comma 1 del d.lgs n. 74/2000 esplicita una struttura artificiosa priva di qualsivoglia elemento di attività di impresa.

Fra le caratteristiche delle cartiere individuate dalla UIF (Unità Informazione Finanziaria della Banca d’Italia) vi sono, da un punto di vista soggettivo (UIF, 2016, 2020), società con una dotazione patrimoniale minima prive di finanziamenti bancari che spesso entrano in liquidazione dopo pochi anni di vita e che effettuano frequenti variazioni della sede sociale e risultano gestite da soggetti molto anziani o giovanissimi che, nella maggior parte dei casi, non hanno una storia imprenditoriale alle spalle o risultano nullatenenti o sono stati oggetto di precedenti fallimenti, pignoramenti, protesti, ecc..

Spesso la compagine sociale e/o gestoria di una cartiera varia frequentemente e a volte si accompagna con modifiche dell’oggetto sociale molto spesso ampio ed eterogeneo.

Questa fluidità è ricercata per sottrarre la cartiera da accertamenti fiscali e per consentirle di accendere nuovi conti eludendo, temporaneamente, il vaglio dell’intermediario bancario.

Da un punto di vista oggettivo (UIF, 2015, 2016, 2020), la cartiera si caratterizza per una movimentazione bancaria molto rilevante con entrate a cifra tonda riferite al pagamento di fatture da parte di altre società e da uscite, proporzionali alle entrate, dovute a ripetuti prelievi da parte degli amministratori giustificati come pagamenti a fornitori ovvero di consulenze anche a imprese estere.

Frequenti sono anche le monetizzazioni attraverso ricariche di carte prepagate intestate a persone fisiche compiacenti ovvero agli stessi esponenti aziendali che provvedono ad effettuare successivi prelevamenti.

Sovente si riscontrano anche trasferimenti di fondi all’estero a favore di società collegate alle stesse cartiere che provvedono alla successiva monetizzazione, anche in Italia, attraverso carte di credito estere.

Sui conti delle società cartiere raramente si osservano operazioni tipiche delle imprese reali, come pagamenti di utenze, di tributi, emolumenti ecc., mentre in genere il saldo contabile del rapporto è prossimo allo zero.

Il bilancio, se presente, è di norma di tipo abbreviato con un attivo molto elastico, mentre il passivo ha, in genere, un ridotto capitale d’apporto.

Il conto economico è connotato da elevati ricavi che crescono esponenzialmente in un breve arco temporale e contemporaneamente da uno scarso valore aggiunto operativo.

I costi tipici che si rinvengono sono quelli per materie prime e per servizi, mentre sono assenti o quasi i costi del personale.

L’andamento del bilancio non riflette neanche parzialmente la congiuntura del settore di appartenenza dichiarato.

Indicatori per la rilevazione delle società cartiere

Gli indici per la rilevazione di tali società sono i seguenti:

  • qimmat = immobilizzazioni materiali/attivo.
    Descrive la struttura operativa e produttiva della società. Il quoziente varia fra 0 e 1 e tende a zero se le immobilizzazioni materiali sono minime o nulle rispetto al totale dell’attivo, caso tipico delle cartiere.
     
  • qonfin = interessi e altri oneri finanziari/ricavi.
    Il quoziente rappresenta il costo dell’indebitamento ed è un indicatore “debiti verso banche/passivo”.
    L’utilizzo di tale indice si è reso necessario in quanto la voce “debiti verso banche” non è presente nei bilanci redatti in forma abbreviata visto che i debiti non vengono distinti tra di loro se non per la durata (entro e oltre l’esercizio).
     
  • qpatr = (capitale sociale versato + riserve nette)/passivo.
    Descrive l’investimento diretto da parte dei soci nella società.
    Le cartiere si caratterizzano per un ridotto capitale sociale e scarse riserve, segno dell’assenza di progettualità imprenditoriale.
     
  • qacco = valore assoluto[(1 – (acquisti netti + costi per servizi e godimento di beni di terzi)/ricavi)].
    Le cartiere presentano ingenti ricavi, a causa dell’emissione di fatture, ma anche costi rilevanti per restituire i fondi ricevuti dalle imprese a favore delle quali emettono fatture.
     
  • qclav = spese per il personale/ricavi.
    Le cartiere si caratterizzano per un vorticoso volume d’affari in assenza di personale dipendente.
    Un valore prossimo allo zero di quest’indicatore è indicativo di una società che fattura in assenza di personale, elemento tipico delle cartiere.

Le società cartiera emettono fatture al fine di far acquisire un credito IVA all’utilizzatore ma essendo le operazioni oggettivamente inesistenti come soprariportato generano anche un costo fittizio al fine di ridurre le imposte dirette.

In caso di accertamento al reddito dichiarato saranno aggiunti i costi afferenti a tali operazioni inesistenti e contabilizzati che sono confluiti nella dichiarazione dei redditi ai fini Irpef, Iva ed Irap.

La somma tra reddito fraudolentemente dichiarato e costi fittizi sarà tassata ai fini Ires.

I minori componenti negativi di reddito così accertati sono recuperati a tassazione ed essendo indebitamente dedotti non rilevano ai fini della determinazione della base imponibile Irap per cui si rettifica la dichiarazione del contribuente non riconoscendo questa parte dei componenti negativi.

Riflessi giuridici

Per tali motivi il contribuente che detrae l’Iva a seguito dell’emissione di tali fatture fittizie dovrà rispondere di irregolare tenuta delle scritture contabili, di infedele dichiarazione annuale, di illegittima detassazione di imposta.

L’attività delle cartiere, per la sua rilevanza fra le frodi fiscali ha una connotazione frequentemente transnazionale e la complessità di alcuni schemi operativi costituisce una delle principali preoccupazioni per le amministrazioni finanziarie e per gli organismi italiani e internazionali deputati alla lotta al riciclaggio.

Le prime verifiche empiriche effettuate supportano la validità degli indicatori come strumento di primo livello nella selezione delle potenziali cartiere.

Un risultato interessante dell’analisi è l’eterogeneità settoriale e territoriale del fenomeno delle cartiere.

 

Un caso di Cassazione: spetta al Fisco l’onere di provare la fatturazione per operazioni inesistenti

La Corte di Cassazione con la sentenza 13 dicembre 2017, n. 29873 ha riaffermato il principio che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, deve provare che la prestazione o non è stata resa o che, anche se resa, era inserita in una frode perfettamente conoscibile dal cessionario.

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato (Cassazione, sentenza n. 25779/2014) che l’Amministrazione deve fornire la prova oggettiva della “inesistenza di una autonoma struttura operativa del cedente ed il mancato pagamento dell’IVA come modalità preordinata al conseguimento di un utile da parte della cartiera” ( …),

mentre per quanto riguarda l’aspetto soggettivo il riferimento è alla consapevolezza

…”degli elementi caratterizzanti di fatto la frode (…) anche attraverso presunzioni semplici”;

il cessionario è tenuto a sua volta

a fornire la prova liberatoria contraria di avere ignorato senza colpa l’effettiva natura delle operazioni (…) tale onere probatorio può essere assolto dimostrando di non essersi trovato nella situazione di oggettiva conoscibilità delle operazioni pregresse (…), oppure di non essere stato in grado (…) di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni (…) il contribuente non può limitarsi a far leva sulla regolarità formale delle scritture e della documentazione contabile, ovvero limitarsi a provare che la merce sia stata regolarmente consegnata ed il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanza compatibili (anzi insite) nella nozione stessa di operazione soggettivamente inesistente”.

La Corte di merito non ha fornito la prova contraria richiesta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di non aver avuto la possibilità di rendersi conto dell’esistenza della frode, a fronte della dimostrazione da parte dell’Amministrazione finanziaria (circostanza non contestata) del carattere di mera cartiera della società emittente, tenuto conto del fatto che la stessa ricorrente era consapevole che il settore dei pneumatici si caratterizza per frequenti frodi IVA.

 

La pericolosità fiscale della cartiera

Nel caso di specie, la “pericolosità fiscale” delle due società poteva essere desunta con un comportamento diligente.

Già dai semplici rapporti commerciali e di corrispondenza, dalle fatture ricevute e dai documenti di trasporto, nonché da ordinarie visure camerali, la società avrebbe dovuto appurare con facilità che sia la srl sia la ditta individuale erano in sostanza imprese neocostituite. 

Mancavano di strutture operative per lo svolgimento delle attività.

Non avevano mai avuto in essere contratti di lavoro dipendente o di collaborazione.

Non risultavano intestatarie di alcuna utenza.

Non erano destinatarie reali dei trasporti dei beni, che pervenivano direttamente dai fornitori comunitari. 

La rappresentante in passato aveva svolto un’attività completamente diversa da quella tipica delle due società, risultava operante nel campo della ristorazione e dei bar e nel periodo 2007/2013 ha continuato a percepire compensi da bar, night, discoteche e ristoranti.

A seguito di notifica del processo verbale la società aveva presentato varia documentazione atta a dimostrare che gli acquisti erano stati concretamente effettuati ed i pneumatici poi ceduti ad altre società.

Pertanto, la società ha sostenuto che a partire dal 2009 gli acquisti di pneumatici erano stati effettuati dapprima dalla F. Srl, che successivamente aveva continuato l’attività con affitto d’azienda alla ditta P. P. Srl.

Le trattative avvenivano con i signori B. G. e T. A. (legale rappresentante della P. P. Srl).

Nel 2010 le fatture di acquisto pervenivano invece dalla T.P. Srl e dalla ditta individuale T. G. I. con la giustificazione che si trattasse di società appartenenti allo stesso gruppo, senza che la C. si ponesse alcun problema riguardo al cambio di soggetto emittente la fattura.

In sede di verifica veniva riscontrato che, nonostante gli acquisti fossero fatturati da due soggetti distinti con distinta partita IVA (T. P. Srl e ditta individuale T. G. I.), la società aveva provveduto a registrarli genericamente con la dicitura del fornitore T. P. di G. I. T.

Inoltre, il fornitore P. P. aveva emesso nei confronti della società verificata una fattura per vendita pneumatici, subito dopo annullata con nota di credito e inviata una nuova fattura, emessa dalla T. P. Srl senza che la C. P. chiedesse alcuna spiegazione in merito.

L’appellante ha depositato una memoria illustrativa nella quale segnala la più recente giurisprudenza della Cassazione in materia di ripartizione dell’onere della prova in caso di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.

Assume l’appellante che, comunque, il giudice tributario dovrebbe dare rilievo in fatto alla pronuncia del giudice penale e a sostegno della sua tesi fa riferimento ad una ordinanza della Cassazione n. 17619 del 5 luglio 2018.

Il testo della ordinanza – però – è riportato in modo incompleto.

Leggendo il provvedimento interamente emerge un principio esattamente contrario a quello affermato dall’appellante.

Il testo omesso dall’appellante nella memoria è quello in neretto:

“…. una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento …….. “.

Si afferma cioè che il solo proscioglimento non può essere recepito acriticamente per affermare l’infondatezza della pretesa tributaria.

L’ appellante assume che nel caso di specie, dato che gli elementi valutati dal giudice penale sono identici a quelli posti a giudizio del giudice tributario, le conclusioni del primo dovrebbero essere recepite in questa sede.

L’argomento è erroneo in quanto non tiene conto delle diverse regole di giudizio esistenti nel processo penale e nel processo tributario.

Nel primo l’accusa deve provare (con riferimento al tema in esame) il dolo e cioè la consapevolezza che le fatture fossero state emesse a fronte di operazioni soggettivamente inesistenti.

Nel caso di insufficienza della prova o di mancanza di elementi per sostenere l’accusa in giudizio il giudice deve emettere sentenza di assoluzione o di proscioglimento.

Nel secondo si dà rilevanza a presunzioni non ammesse nel processo penale e, soprattutto, valgono diverse regole in materia di onere della prova, non occorrendo dare la prova di tale consapevolezza, ma essendo sufficiente la prova che il contribuente ha violato doveri di comune diligenza avendo la possibilità di rendersi conto che la merce era fornita da soggetto diverso dal fornitore apparente.

Ciò premesso ritiene il collegio che l’appello sia fondato nel merito.

L’appellante richiama la sentenza della Cassazione 29873 del 2017 nella quale si legge:

“E’ giusto il caso di osservare che, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente che la fatturazione attenga ad operazioni (solo) soggettivamente inesistenti e neghi il diritto del contribuente a portare in detrazione la relativa imposta, deve provare che la prestazione non è stata resa dal fatturante, spettando, poi, al contribuente l’onere di dimostrare, anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti.”

Correttamente l’appellante lamenta che la CTP non ha valutato le argomentazioni prospettate in punto conoscibilità della frode e non ha offerto una risposta al quesito circa il comportamento che avrebbe dovuto tenere per rendersi conto che l’effettivo cedente era diverso dal fatturante.

Le circostanze evidenziate nella sentenza che richiama quelle indicate nell’avviso di accertamento e sopra richiamate nelle controdeduzioni dell’appellata Agenzia non sono significative.

Non assume particolare rilievo la circostanza che la società cartiera fosse priva di magazzino talché la merce era spedita direttamente dai fornitori comunitari al destinatario, atteso che è frequente nella realtà imprenditoriale che operino ditte che effettuano ingrosso senza magazzino e come tali iscritte alla Camera di Commercio.

D’altra parte, la C. s.r.l. non aveva certo i poteri investigativi della Guardia di Finanza grazie ai quali è stata accertata la frode né aveva il dovere di effettuare verifiche sulla effettiva esistenza di strutture operative della ditta fornitrice.

Non si comprende come coloro che operavano per la C. avrebbero potuto verificare certe circostanze indicate nelle controdeduzioni relative all’attività svolta dalla rappresentante delle ditte fornitrici.

Risulta che i contatti commerciali avvenivano con un ente di commercio dotato di partita IVA, con il quale la C. aveva rapporti da numerosi anni e che a sua volta aveva rapporti con varie società del settore.

Ciò induce a ritenere che non costituivano elemento di sospetto neppure le circostanze evidenziate nelle controdeduzioni dell’Agenzia.

Tenuto conto che l’avviso di accertamento è stato emesso sulla base di elementi certi circa la natura di cartiere delle ditte fatturanti, ricorrono eccezionali motivi per dichiarare compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Con sentenza n. 1358 del 18 gennaio 2023, la Corte di cassazione ha confermato un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA emesso nei confronti di una Srl e notificato, tra l’altro, anche al soggetto considerato l’autore delle violazioni contestate alla società contribuente, ritenuta una mera cartiera.

Secondo la CTR, il coinvolgimento di quest’ultimo nella frode carosello posta in essere attraverso la Srl derivava dalla sua qualità di amministratore di fatto della società ed era documentato, peraltro:

  • dalla sentenza con cui la CTP aveva respinto il ricorso del medesimo avverso altro avviso di accertamento relativo a diverso anno d’imposta;
     
  • dalla sentenza di patteggiamento pronunciata dal Gip, emessa a seguito di un’imputazione del ricorrente, quale amministratore di fatto, per omessa dichiarazione annuale obbligatoria da parte della Srl.

L’uomo si era rivolto alla Suprema corte per impugnare la decisione di merito, ritenuta erronea sulla base dell’assunto secondo cui all’amministratore di fatto di una società di capitali, soggetto terzo rispetto a quest’ultima, non avrebbero potuto imputarsi direttamente l’attività e le imposte della società di capitali e tanto meno le sanzioni per le attività illecite ed evasive dell’ente.

Tale doglianza è stata giudicata infondata dagli Ermellini, i quali hanno evidenziato come dagli elementi considerati era emerso che il ricorrente avesse utilizzato la società uti dominus, al fine di porre in essere una frode consistita, nella specie, nell’acquisto di autovetture in Germania e nella rivendita delle stesse, omettendo il versamento dell’IVA e beneficiando direttamente dei proventi di tale attività illecita.

 

Il caso della SRL irregolarmente costituita

In altri termini, la Srl, irregolarmente costituita, era stato lo strumento attraverso il quale si è esplicata l’attività criminosa facente capo al deducente e ad altri soggetti, i quali direttamente erano chiamati a rispondere delle imposte non versate dalla società.

Era corretto, in tale contesto, che le connesse sanzioni fossero state irrogate anche nei confronti del ricorrente, in relazione al rapporto fiscale a lui strettamente riferibile in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa.

L’amministratore di fatto risponde delle maggiori imposte e delle relative sanzioni contestate alla società qualora quest’ultima risulti un mero schermo e la persona fisica abbia un diretto interesse nei redditi percepiti.

Sul piano della governance la cartiera ha molto spesso la forma giuridica di società a responsabilità limitata e gli amministratori sono di frequente delle teste di legno.

La sua organizzazione è pressoché inesistente: non ha immobili, capannoni, automezzi, magazzini, attrezzature, strutture di vendita ecc., ed è sprovvista o quasi di personale interno ed esterno.

Il contribuente ha l’onere di provare l’assenza di interposizione o la mancanza di percezione dei redditi della società (Cassazione, sez. trib., sentenza n. 1358/2023).

Quindi, in tema di accertamento sulle imposte dirette e sull’IVA, nei confronti del soggetto che abbia gestito uti dominus una società di capitali, si determina, ai sensi dell’art. 37, comma 3, del. D.P.R. n. 600/1973, la traslazione del reddito d’impresa, e delle relative imposte, in quanto effettivo possessore del reddito della società interposta.

Inoltre, in tale ipotesi, tra i due soggetti, si instaura un rapporto di mandato senza rappresentanza dove il mandatario è il gestore uti dominus e la mandante è la società, sicché, ove le prestazioni di servizi cui il primo abbia partecipato per conto della seconda siano soggette a IVA, pure il rapporto giuridico tra il mandatario e la società interposta è soggetto all’IVA, a tali fini incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, il totale asservimento della società interposta all’interponente, spettando quindi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria dell’assenza di interposizione ovvero della mancata percezione dei redditi del soggetto interposto.

In tema di sanzioni tributarie, invece, nell’interposizione del gestore uti dominus alla società di capitali interposta ai sensi dell’art. 37, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 non ha rilevato il rapporto fiscale proprio di quest’ultima ma quello che fa capo direttamente all’interponente in quanto effettivo possessore del reddito d’impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all’art. 7 del D.L. 269/2003 e le violazioni, pur formalmente dell’ente collettivo, vanno riferite alla sua attività.

 

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A cura di Luca Labano

Sabato 16 settembre 2023