A fronte di un sempre più interessante e vivace mercato dell’arte dedichiamo un intervento alla fiscalità attuale e futura della vendita di opere d’arte.
Partiamo dall’ultima sentenza di Cassazione che è intervenuta sulle figure del mercante e collezionista d’arte per arrivare alla riforma fiscale e all’arte digitale, ad esempio gli NFT.
A cura di Fabio Gallio, Giulia Giora e Alice Brugnera
La vendita di opere d’arte: il corretto regime fiscale
Il 2022 entrerà a pieno titolo tra gli anni migliori per l’arte e i beni da collezione e questo conferma l’andamento crescente di questo mercato, che sta assumendo sempre più rilevanza.
Ad aiutare questa crescita sono soprattutto le nuove tecnologie collegate all’arte che favoriscono l’incontro tra domanda e offerta raggiungendo nuovi target di mercato.
Si pensi per esempio all’espansione degli NFT delle opere d’arte diffusi con la blockchain.
Oltre a coloro che acquistano e vendono le opere per puro collezionismo, si stanno moltiplicando le figure che operano solo per fini speculativi quali, ad esempio, i mercanti d’arte.
Tuttavia, una grande problematica in quest’ambito riguarda il regime fiscale da applicare alle plusvalenze derivanti dalla cessione tra privati; un argomento molto discusso in dottrina, la cui rilevanza non riguarda solamente le opere d’arte in senso stretto ma l’intero insieme dei beni mobili di alto valore (orologi, auto d’epoca, mobili, francobolli, gioielli, monete, tappeti, minerali rari, libri antichi, armi storiche, ecc…).
In passato, l’articolo 76 del D.P.R. n. 597/1973 ricomprendeva con certezza, tra le operazioni aventi fini speculativi,…
…“senza possibilità di prova contraria (…) l’acquisto e la vendita di oggetti d’arte, di antiquariato e in genere da collezione, se il periodo di tempo intercorrente tra l’acquisto e la vendita non è superiore a due anni”
prevedendo che:
“le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi e non rientranti fra i redditi d’impresa concorrono alla formazione del reddito complessivo per il periodo d’imposta in cui le operazioni si sono concluse”.
In altre parole, veniva previsto tassativamente che non vi era alcuna tassazione se l’opera d’arte veniva venduta trascorsi due anni dall’acquisto.
Con l’entrata in vigore del T.U.I.R. e la scomparsa dell’articolo 76, si è creato un vuoto normativo che costringe chi deve procedere alla vendita di opere collezionabili a chiedersi se i proventi derivanti dall’operazione siano o meno tassabili.
Negli anni si è molto dibattuto, sia in giurisprudenza che in dottrina, sul corretto regime fiscale da applicare, senza mai arrivare a superare le criticità interpretative.
In particolare, si sono formati due filoni: il primo considera i redditi ottenuti dalla vendita come redditi diversi ex art. 67, lett. i) del T.U.I.R., vale a dire “redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente”; per il secondo, invece, dall’abrogazione del suddetto articolo 76 D.P.R. n. 597/1973, tali redditi sarebbero non imponibili.
Rimane, comunque, assodato per la maggior parte della dottrina che, qualora non ci sia stato un acquisto a titolo oneroso prima della vendita, ad esempio, si è entrati in possesso dell’opera per donazione o successione, l’eventuale maggior reddito conseguito non sia tassabile.
Di recente, però, due importanti interventi si sono diffusi all’interno del mondo della fiscalità dell’arte: in primis l’Ordinanza n. 6874 dell’8 marzo 2023 della Cassazione e in secundis il Disegno di Legge Delega per la riforma fiscale e la Relazione che lo accompagna.
La recente ordinanza della Corte di Cassazione
Nell’Ordinanza n. 6874 dell’8/03/2023 viene analizzato un caso in cui, dapprima, l’Agenzia delle Entrate aveva messo in dubbio