Cessione all’esportazione, furto e riflessi IVA

Come noto, le cessioni all’esportazione godono di una specifica causa di non applicazione dell’IVA: ma cosa accade se la merce da esportare viene rubata?

Costituisce condizione indispensabile, ai fini dell’esenzione Iva dell’operazione di cessione all’esportazione, la circostanza che il bene esca fisicamente al di fuori del territorio dell’UE.

Dopo il perfezionamento della cessione, il furto della merce durante il trasporto è a rischio e pericolo dell’acquirente, nuovo proprietario; il caso di furto non può però giustificare il mantenimento dell’esenzione IVA, dato che (benché senza colpa della contribuente) non s’è potuta compiutamente realizzare l’uscita del bene dal territorio nazionale.

 

Cessione all’esportazione: il caso di Cassazione

iva esportazione La Corte di Cassazione ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di cessione all’esportazione, con particolare riferimento all’ipotesi in cui la merce sia stata oggetto di furto.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato alla società contribuente un avviso di accertamento, recuperando l’IVA dovuta per € 33.047,00, oltre sanzioni, in relazione ad una operazione di esportazione extraUE intervenuta nel 2006.

Tale operazione non era andata a buon fine, dato che la merce non era stata consegnata alla destinataria a causa di un furto avvenuto in Italia, in danno del vettore incaricato del prelievo della merce presso il produttore dallo spedizioniere doganale.

La ripresa era dunque fondata sul presupposto che la stessa operazione, trattata dalle parti in esenzione d’IVA ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. a), Dpr. n. 633/1972, doveva invece considerarsi come cessione interna e quindi assoggettata ad imposta ad aliquota ordinaria, in quanto alla cessione, perfezionatasi con la consegna al vettore, non aveva poi fatto seguito il passaggio fisico della merce dalla frontiera doganale individuata (Francoforte, in Germania) e quindi l’uscita dal territorio UE, necessario presupposto per fruire dell’esenzione.

La società contribuente aveva impugnato l’avviso con ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, che lo aveva accolto.

Avverso detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate aveva quindi proposto appello, e la CTR lo aveva rigettato.

In particolare, nel confermare la sentenza di primo grado, il giudice d’appello aveva evidenziato che, in modo inequivoco, al momento della consegna della merce allo spedizioniere, essa era regolarmente accompagnata dall’intera documentazione occorrente ai fini dell’esportazione negli USA, sicché potevano configurarsi due ipotesi alternative, che confermavano entrambe l’erroneità dell’accertamento:

  • o il furto era da considerare quale causa di forza maggiore, ex art. 53 Dpr. n. 633/1972, con conseguente esenzione IVA;
     
  • oppure, poiché la cessionaria statunitense aveva effettuato il pagamento della merce senza IVA, si aveva la riprova che, ai fini del paese importatore, l’operazione aveva comunque avuto conclusione.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva infine per cassazione, denunciando la falsa applicazione dell’art. 53 e violazione dell’art. 8, comma 1, lett. a) e lett. b), nonché degli artt. 2 e 6, del Dpr. n. 633/1972, per aver la CTR ritenuto comunque giustificata l’esenzione IVA sulla descritta operazione, benché la merce non fosse mai uscita dal territorio UE, necessario presupposto dell’esenzione stessa, fermo restando l’intervenuto perfezionamento della cessione tra le parti, nel momento della consegna della merce allo spedizioniere.

Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.

 

Esenzione IVA in caso di esportazione: regole generali

Evidenziano i giudici di legittimità che l’art. 8, comma 1, lettere a) e b), Dpr. n. 633/1972, disciplina distinte ipotesi:

  • la lettera a), in particolare, concerne sia le esportazioni “dirette (il cedente italiano effettua la cessione direttamente al cessionario extra-UE, e cura la spedizione o il trasporto dei beni al di fuori della UE), sia le esportazioni “dirette triangolari (la prima cessione avviene ad un operatore italiano, che a sua volta cede all’operatore extra-UE, mentre il primo cura la spedizione o il trasporto);
     
  • la lettera b), invece, si occupa delle esportazioni a cura del cessionario non residente: l’operatore italiano effettua la cessione dei beni nei confronti di un operatore non residente e glieli consegna in Italia, non curando dunque la spedizione o il trasporto degli stessi al di fuori del territorio della UE; il cessionario non residente deve però procedere all’esportazione dei beni entro 90 giorni dalla consegna.

Quella che veniva in rilievo nel caso in esame era l’ipotesi sub a), ed in particolare quella dell’esportazione diretta tra due sole parti (cedente italiano e cessionario extraUE).

Tanto premesso, la Corte rileva che le cessioni alle esportazioni in territorio extra-UE costituiscono la più rilevante tipologia di operazioni non imponibili e sono individuate dagli artt. 8 e 8-bis, Dpr. n. 633/1972, che ne esclude l’assoggettamento all’imposta.

Poiché all’esportatore è comunque riconosciuto il diritto di detrazione sugli acquisti, egli non esponendo l’IVA in fattura e non potendo pretenderla in via di rivalsa dal proprio cliente estero matura un corrispondente credito nei confronti dell’Erario, normalmente chiesto a rimborso.

Al di là di tale specifica tematica, ciò che qui più rilevava era però il fatto che che le esportazioni extra-UE, come tutte le operazioni esenti IVA, si caratterizzano per il fatto che — a differenza delle operazioni “escluse” o “fuori campo IVA” — sono senz’altro rilevanti ai fini dell’imposta, ma non vi restano assoggettate perché l’immissione in consumo del bene, o la fruizione del servizio, avvengono nello Stato “di destinazione”.

Sono quindi, come detto, operazioni non imponibili, perché l’imposta viene di regola assolta in quest’ultimo Stato (nell’ambito delle operazioni di sdoganamento) e non in Italia.

Tuttavia, la rilevanza ai fini IVA comporta che esse sono soggette agli obblighi di fatturazione e registrazione, concorrono alla determinazione del volume d’affari (fatta eccezione per le cessioni di beni ammortizzabili, ex art. 20 Dpr. n. 633/1972), determinano il diritto di detrazione sull’IVA assolta “a monte” e devono essere esposte nella dichiarazione annuale.

Tanto chiarito, nella specie, non era in dubbio che la cessione della merce, poi oggetto di furto da parte di ignoti, si era certamente perfezionata, sia ai fini civilistici, che ai fini IVA.

 

La consegna della merce e il furto

Infatti, ai sensi dell’art. 1510 codice civile, in caso di vendita di cose mobili da trasportare da un luogo ad un altro, la consegna al vettore o allo spedizioniere segna il momento traslativo del diritto di proprietà (v., ex multis, Cassazione n. 13377/2018).

Pertanto, già con la consegna della merce al vettore, la società aveva trasferito la proprietà alla società statunitense.

Il che valeva anche ai fini IVA, posto che l’art. 6, comma 1, Dpr. n. 633/1972, stabilisce che

Le cessioni di beni si considerano effettuate (…) nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili”.

La CTR aveva dunque in primo luogo osservato che, poiché il furto costituisce causa di forza maggiore non imputabile al contribuente (nel senso che la consegna della merce al destinatario finale non si era potuta eseguire e l’esportazione non era andata a buon fine proprio a causa del furto stesso), sussistevano le condizioni di applicabilità dell’art. 53 Dpr. n. 633/1972, che, appunto, a dire dei giudici di merito, prevede in casi consimili una ipotesi di esenzione IVA.

In via alternativa, la CTR aveva poi anche ipotizzato un diverso percorso motivazionale, rilevando che, poiché la società statunitense aveva effettuato il pagamento della merce senza IVA, l’operazione s’era comunque così conclusa nel Paese di destinazione, sicché restava confermata l’esenzione IVA prevista dal citato art. 8, comma 1, lett. a).

Ebbene, secondo la Corte, tale decisione era palesemente erronea.

Iniziando l’analisi dalla prima opzione, si osservava anzitutto che il riferimento all’art. 53 Dpr. n. 633/1972 non era pertinente.

Infatti, la disposizione disciplina l’ipotesi della presunzione di cessione o di acquisto e, in particolare, per quanto di interesse, prevede che se un dato bene – che in base alle scritture contabili risulta in carico al contribuente – non viene rinvenuto presso la sua azienda, o magazzino, ecc., esso si presume ceduto (ossia, si presume che sia stato oggetto di un’operazione imponibile ai fini IVA), tranne che ricorrano determinati casi, tra cui appunto la distruzione o la perdita (e quindi il furto).

Ciò integra dunque una causa di forza maggiore, idonea ad escludere la configurabilità della stessa operazione di cessione.

La forza maggiore, dunque, opera come eccezione all’ipotesi principale, impedendo quindi l’operatività della presunzione di cessione.

Insomma, se il bene è stato rubato all’imprenditore, ad esempio, dal proprio magazzino, può escludersene, in base alla disposizione in parola, la sua immissione in commercio, e perciò la stessa assoggettabilità all’imposta.

Al contrario, s’è già visto che, nel caso in esame, la cessione della merce s’era già certamente perfezionata, sia sotto il versante civilistico, che sotto quello tributario.

E tale circostanza, afferma la Cassazione, assumeva valore dirimente.

 

Il caso particolare: IVA ed esportazione negli USA

Infatti, se l’operazione si prefigurava come del tutto regolare ai fini dell’esportazione negli USA ex art. 8, comma 1, lett. a), Dpr. n. 633/1972, all’atto in cui essa era stata avviata, ciò non implicava necessariamente che l’esenzione da IVA restasse a quel punto “assicurata, specialmente ove l’evento furto avesse inciso sulla sua concreta fattibilità, rendendo di fatto impossibile – nonostante la già perfezionata cessione – il verificarsi di uno dei presupposti necessari ai fini della non imponibilità: l’effettiva uscita della merce dall’area doganale.

Costituisce infatti condizione indispensabile, ai fini dell’esenzione in parola, la circostanza che il bene esca fisicamente al di fuori del territorio dell’UE (Cassazione nn. 20575/2011, 3193/2015, 11112/2022).

Dopo il perfezionamento della cessione, come il furto della merce, durante il trasporto, è a rischio e pericolo dell’acquirente, nuovo proprietario, così il furto stesso non può giustificare il mantenimento dell’esenzione di una operazione che – benché senza colpa della contribuente – non s’è potuta compiutamente realizzare, come da programma.

La seconda linea motivazionale seguita dalla CTR (l’operazione sarebbe stata esente perché si era regolarmente perfezionata, posto che la società statunitense aveva pagato il prezzo senza versare l’IVA), secondo la Corte, era poi ancor più errata.

Al contrario di quanto ritenuto dal giudice d’appello, la circostanza che la società extra-UE avesse pagato il prezzo, da un lato confermava che l’operazione non poteva dissolversi nel nulla a causa del furto, e, dall’altro prescindeva comunque del tutto dalla circostanza che la merce non fosse uscita dal territorio dell’UE, presupposto indefettibile ai fini dell’esenzione dell’IVA sulle esportazioni.

In definitiva, la contribuente, a fronte della scoperta del furto, avrebbe dunque dovuto procedere alla rettifica della fattura, addebitando l’imposta alla cessionaria, il che avrebbe escluso qualsiasi conseguenza pregiudizievole nei suoi confronti, stante anche la neutralità dell’IVA.

 

Fonte: Corte di Cassazione, Ordinanza n. 37271 del 20/12/2022.

 

L’autore ha trattato anche in passato l’argomento nell’articolo “Cessioni all’esportazione: i presupposti per l’esenzione IVA”

 

A cura di Giovambattista Palumbo

Martedì 24 Gennaio 2023

 

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