La valuta virtuale deve essere considerata strumento di investimento perché consiste in un prodotto finanziario, per cui deve essere disciplinata con le norme in tema di intermediazione finanziaria.
Nel caso in cui la vendita di bitcoin venga reclamizzata come una proposta di investimento, si ha una attività soggetta agli adempimenti del T.U.F., la cui omissione integra la sussistenza del reato di esercizio abusivo dell’attività finanziaria.
La Corte di Cassazione ha chiarito alcuni rilevanti aspetti in tema di criptovalute, indicandone anche espressamente la natura di “strumenti di investimento”.
Il caso: sequestro di criptovalute per esercizio abusivo di attività finanziaria
Nel caso di specie, il Tribunale, in funzione di giudice del riesame, confermava l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari nella parte in cui aveva rigettato la richiesta del Pubblico Ministero di disporre il sequestro preventivo di un wallet contenente 30 bitcoin, asseritamente oggetto del delitto di cui all’art. 648 ter 1 codice penale, per difetto del fumus commissi delicti in relazione alla sussistenza del delitto presupposto di esercizio abusivo dell’attività finanziaria.
Avverso l’ordinanza del Tribunale ricorreva per cassazione il Pubblico Ministero, eccependo che l’ordinanza aveva erroneamente affermato l’insussistenza del reato presupposto.
I giudici avevano ritenuto che, quanto alla fattispecie di cui all’art. 166 T.U.F, relativo appunto all’esercizio abusivo dell’attività finanziaria, era necessario stabilire se la condotta addebitata al soggetto indagato integrasse “offerta di servizio o attività di investimento”, come descritta dal comma 5 dell’art. 1 T.U.F, ritenendo che tale dimostrazione, in assenza di ulteriori indagini, anche di natura tecnica, non era stata raggiunta.
In realtà, affermava il PM, i giudici avevano però erroneamente ricondotto condotte sussumibili nell’esercizio dell’attività finanziaria esclusivamente all’ipotesi tipizzata di cui all’art. 1 comma 5 T.U.F le, così automaticamente escludendo l’attività alla quale era riconducibile la contestazione, pubblicizzata peraltro come un’offerta di investimento.
La Guardia di Finanza aveva infatti in particolare evidenziato come il progetto, descritto ai potenziali investitori, era relativo alla creazione di nuove start-up ed iniziative da avviare nel mondo virtuale, non ess