La Corte di Cassazione è intervenuta a tutto campo in materia di accertamento, dettando una serie di regole di grande rilievo.
Accertamento IRPEF, IRAP e IVA su presunta società di comodo
La Commissione tributaria regionale della Lombardia – sezione staccata di Brescia – rigettava l’appello proposto da un contribuente, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Mantova, che aveva rigettato i ricorsi riuniti proposti dal predetto contribuente avverso distinti avvisi di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA, e avverso la cartella di pagamento riguardante IVA.
Dalla sentenza impugnata si desume che:
- gli atti impositivi e la cartella si riferivano al reddito d’impresa formalmente conseguito da una s.r.l. (esercente attività di intermediazione immobiliare), ma in realtà imputabile, ai sensi dell’art. 37 d.P.R. n. 600 del 1973, ai due soci, che gestivano di fatto due distinte imprese individuali, prive delle prescritte autorizzazioni, come emergeva dalle dichiarazioni rese dalla legale rappresentante della società, dalla consulente della società, e dalle stesse ammissioni di uno dei due soci;
- in presenza di elementi penalmente rilevanti, con riferimento ai delitti previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, il termine ordinario di decadenza dell’accertamento doveva ritenersi raddoppiato ex art. 43 d.P.R. n. 600 del 1972, non rilevando la richiesta di archiviazione presentata in sede penale;
- trattandosi di avviso di accertamento, emesso a seguito di verifica fiscale, non era prevista l’instaurazione obbligatoria del contraddittorio nella fase successiva alla verifica stessa e non erano ravvisabili difetti motivazionali con riferimento agli atti impugnati;
- nel merito, era emerso che la società era di comodo, che non aveva presentato le dichiarazioni dei redditi e non aveva versato le imposte per gli anni dal 2003 al 2006, creata dai due soci per consentire loro di evadere le imposte;
- l’Ufficio aveva, quindi, provveduto all’iscrizione a ruolo del 50% dell’imposta ex art. 15 del d.P.R. n. 602 del 1973, con l’emissione della relativa cartella di pagamento, in relazione alla quale l’appellato si era limitato a reiterare le doglianze avanzate avverso gli avvisi di accertamento, nulla contestando in ordine ad eventuali vizi propri della medesima.
Da qui l’impugnazione in Cassazione della sentenza della CTR da parte di uno dei soci.