L'inquadramento giuridico delle criptovalute

Il primo (necessario) passo per definire il trattamento fiscale e la collocazione contabile nel bilancio d’esercizio delle criptovalute. Vediamo come procedere…

Bitcoin, Bitcoin cash, Ether, Litecoin e Stellar ed ancora Binance Coin, Tether, Solana, Cardano e USD Coin, ecc.

Si tratta di denominazioni che ormai sono entrate nel linguaggio comune e che da tempo riempiono le pagine dei quotidiani e dei siti internet, anche quelli non specialistici: sono le criptovalute.

Quello delle valute virtuali è infatti un fenomeno in esponenziale sviluppo, ma sotto il profilo giuridico e fiscale non è stata ancora trovata una definizione che metta tutti d’accordo a livello globale.

Nei vari Stati le criptovalute sono difatti qualificate – anche se molto spesso in via provvisoria, in attesa di indentificare un inquadramento definitivo – in modo diverso, con un conseguente trattamento fiscale che non risulta chiaro e univoco.

Cosicché, ponendo come obiettivo del presente elaborato la definizione del trattamento fiscale e delle modalità di contabilizzazione nel bilancio d’esercizio delle criptovalute in Italia, preliminarmente si rende necessario provare ad inquadrare le stesse sotto il profilo giuridico.

In particolare, con tutte le difficoltà del caso, occorre indagare la natura giuridica delle criptovalute, per comprendere se possano qualificarsi come beni, valute o quant’altro.

A questo scopo, si può innanzitutto escludere che, in linea generale, le criptovalute possano, dal punto di vista giuridico, essere classificare come “beni”.

Infatti, le valute virtuali non sono riconducibili alla nozione giuridica di “bene” ex articolo 810 del codice civile, ossia alle “cose che possono formare oggetto di diritti”.

Questo perché risultano “beni” materiali, sotto il profilo giuridico, le “cose” esistenti nel mondo fisico che risultano suscettibili di percezione con sensi o strumenti materiali (ad esempio, un albero, un animale, un’automobile).

Quindi, deve trattarsi di beni dotati di materialità (le criptovalute non possono certo risultare beni materiali).

Si possono invece definire, dal punto di vista giuridico, beni immateriali quei beni che possono risultare oggetto – attuale o potenziale – di situazioni soggettive giuridicamente protette.

Ma questo non è il caso delle valute virtuali.

Conseguentemente, le criptovalute non possono dunque essere considerate beni e nemmeno possono essere qualificate come “security” o strumenti finanziari: manca infatti un soggetto emittente.

Parimenti, difettando il requisito della “tangibilità” non si può pensare di equiparare le valute virtuali ad una “commodity”.

Ma, allora, le criptovalute possono essere considerate “moneta”?

inquadramento giuridico criptovaluteOccorre al riguardo rilevare che esistono, in termini generali, tre tipologie di moneta: moneta fiat, moneta merce e moneta rappresentativa.

La moneta fiat è una moneta che prescinde dal valore intrinseco del materiale utilizzato per crearla, ma è dichiarata a corso legale da un’autorità ed emessa da una banca centrale.

Caratteristiche che evidentemente non sono riscontrabili nelle criptovalute.

La moneta merce è invece un oggetto fabbricato utilizzando un materiale (di valore) che, in passato, aveva il riconoscimento di valore di mercato, come ad esempio le monete d’oro o d’argento.

Il valore intrinseco rappresentava dunque il valore stesso della moneta.

Nulla a che vedere con le criptovalute.

Infine, la moneta rappresentativa era costituita da banconote che potevano essere cambiate con una certa quantità di oro o argento.

In sostanza, la banconota garantiva il diritto a ricevere un determinato ammontare di oro o argento.

Anche in questo caso le criptovalute non presentano elementi in comune: le criptovalute risultano infatti rappresentative solo di sé stesse.

Va dunque indagato se, residualmente, si è al cospetto di una “valuta”.

Sebbene nell’ordinamento giuridico interno e anche in quello comunitario non risulti una nozione di “valuta”, quest’ultima deve intendersi quell’unità di scambio che ha lo scopo di facilitare il trasferimento di beni e di servizi.

La “valuta” viene emessa da uno Stato oppure da gruppi di Stati.

Più Stati possono quindi utilizzare la stessa valuta (è il caso dell’euro) oppure uno Stato può dichiarare a corso legale la valuta di un altro Stato (c.d. “dollarizzazione”, come nel caso del Montenegro che utilizza l’euro).

Il concetto di valuta ha comunque – come è evidente – un collegamento con uno Stato, che non necessariamente lo emette, ma che lo riconosce come mezzo di scambio.

Ma allora è evidente che un fenomeno chiaramente a-territoriale come quello delle criptovalute non può essere considerato una “valuta” (a meno che uno Stato non la riconosca come tale, come nel caso di El Salvador).

Si rileva comunque che, nell’ordinamento nazionale, il legislatore italiano ha inserito una propria regolamentazione del fenomeno delle criptovalute mediante il Dlgs 90/2017, con specifico riferimento all’ambito relativo all’antiriciclaggio.

Tale ultimo decreto ha difatti modificato, con efficacia dal 04/07/2017, il Dlgs 231/2007 in materia di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio del denaro e di finanziamento del terrorismo.

Il testo “aggiornato” del Dlgs 231/2007, attualmente in vigore, contiene infatti la definizione di valuta virtuale e regola l’attività dei prestatori di servizi relativi a quest’ultima, sotto il profilo dell’estensione di alcuni obblighi già previsti per altri operatori del settore finanziario.

Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera qq) del summenzionato decreto, per valuta virtuale si intende:

la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

Si può senz’altro affermare che tale definizione qualifichi in modo corretto le criptovalute.

Emerge infatti la “distanza” delle criptovalute rispetto ad una valuta avente corso legale e inoltre viene individuata la “polifunzionalità” delle stesse: può trattarsi sia di mezzo di scambio (non di mezzo di pagamento[1]) sia di strumento di investimento (funzione oggi prevalente).

Si osserva inoltre che nell’ordinamento italiano è stata introdotta più di recente un’altra definizione di valuta virtuale, contenuta nell’articolo 1, del Dlgs 184/2021 (attuativo della direttiva relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dal contante), il quale definisce le criptovalute come:

rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è legata necessariamente ad una valuta legalmente istituita e non possiede lo status giuridico di valuta o denaro, ma è accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio, e che può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.

Anche tale previsione avvalora la “distanza” delle criptovalute rispetto alle valute estere.

Sicché, è possibile concludere che certamente le criptovalute: (i) non possono essere considerate valute, stante l’assenza di corso legale e (ii) non sono estere, vista la loro connaturata a-territorialità[2].

Tali conclusioni devono essere tenute bene a mente per indentificare il corretto trattamento fiscale e contabile delle valute virtuali.

Come si vedrà nei paragrafi successivi, la disciplina fiscale e le regole contabili applicabili alle criptovalute non possono infatti prescindere dalla corretta qualificazione giuridica delle stesse.

continua… [N.d.R.: quanto riportato qui sopra  rappresenta l’introduzione all’importante tema delle Criptovalute la cui trattazione integrale è contenuta nel n. 5 del Magazine Diellepì, predisposto ad uso interno dallo Studio Deotto Lovecchio & Partners (del quale anche tu puoi far parte se vuoi! Vedi apposita pagina)
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NOTE

[1] Infatti, i mezzi di pagamento possono essere utilizzati in qualsiasi momento e ovunque per estinguere un debito, ma le criptovalute necessitano invece di un tempo e di un luogo per perfezionare uno scambio, risultando quindi più propriamente un mezzo di scambio.

[2] A. Tommasini, “Fiscalità societaria diretta e indiretta delle criptovalute”, Corriere Tributario, n. 6, 1 giugno 2022, p. 573.

 

A cura di Centro Studi Deotto Lovecchio & Partners

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Lunedì 22 luglio 2022