Imposta di registro: il conferimento di quote non cela una cessione d’azienda

Ai fini dell’imposta di registro, il conferimento con vendita di quote non può essere riqualificato in una cessione d’azienda: l’attuale situazione della giurisprudenza italiana e comunitaria.

conferimento quote cessioneAi fini dell’imposta di registro, il conferimento con vendita di quote non può essere automaticamente riqualificato in una cessione d’azienda.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione con sentenza dell’8 aprile 2022, secondo cui è necessario considerare soltanto il singolo contratto, senza fare riferimento a elementi extratestuali riferiti a un’articolata operazione societaria, complessivamente esaminata.

Un’interpretazione che, però, non sembra porre fine alla questione, da tempo dibattuta, sulla natura dell’art. 20 TUR (DPR 131/1986), tanto che alcuni giorni prima la stessa Corte di Cassazione ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia UE, con sentenza del 31 marzo 2022.

 

L’ambito di applicazione dell’imposta di registro

Con l’ordinanza 8 aprile 2022, n. 11435, la Corte di Cassazione interviene su una delle questioni più dibattute negli ultimi anni in materia di imposta di registro, escludendo che il conferimento di azienda in una nuova società e la cessione integrale delle partecipazioni possa essere riqualificata come cessione diretta di azienda.

Secondo la Suprema Corte l’art. 20 TUR (DPR 26 aprile 1986, n. 131) non contiene nessun riferimento all’abuso di diritto, essendo una norma sulla sola interpretazione degli atti.

Il conferimento di azienda seguito dalla cessione delle partecipazioni della società non configura di per sé un vantaggio indebito, realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

Si tratta di una precisazione di fondamentale rilievo, che si inserisce in un lungo dibattito giurisprudenziale e dottrinale sulla corretta interpretazione della normativa sull’imposta di registro.

Se negli ultimi anni l’orientamento prevalente della Suprema Corte sembrava ammettere che l’imposta di registro potesse applicarsi sull’operazione societaria complessivamente considerata, l’impostazione più recente sembra orientata nella direzione opposta.

Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha infatti riconosciuto che il conferimento con vendita di quote non cela una cessione d’azienda, per cui è illegittima la riqualificazione operata dall’Agenzia delle entrate ai fini della contestazione dell’imposta di registro.

 

Le norme di interpretazione autentica e le pronunce della Corte Costituzionale

La disciplina dell’imposta di registro è in continua evoluzione, tanto che, negli ultimi anni, si sono rese necessarie ben due norme di interpretazione autentica (art. 1, comma 87, lett. a), legge 205/2017 e art. 1, comma 1084, legge 145/2018) e due interventi della Corte Costituzionale (sentenze n. 158/2020 e 39/2021), oltre a un recente rinvio alla Corte di Giustizia.

Con le norme interpretative, il legislatore ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria deve applicare l’imposta di registro soltanto sul contratto singolarmente considerato, non potendo fare riferimento a elementi extratestuali riferiti a un’articolata operazione societaria, complessivamente esaminata.

L’attuale formulazione dell’art. 20 TUR stabilisce, infatti, che l’imposta deve essere applicata sulla base della natura e degli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, non essendo possibile considerare gli elementi extratestuali o eventuali altri atti ad esso collegati.

Poiché si tratta di una norma di interpretazione autentica, essa assume efficacia retroattiva, potendo, pertanto, applicarsi anche a fattispecie intervenute prima dell’intervento del Legislatore.

Anche la Corte Costituzionale è intervenuta sul punto, rilevando che l’imposta di registro ha natura di “imposta d’atto” e che, pertanto, non possono assumere rilievo eventuali atti collegati, privi di qualsiasi nesso testuale con l’atto oggetto di imposizione (Corte Costituzionale n. 158/2020).

 

Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione: conferimento quote o cessione d’azienda?

Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, l’Agenzia delle entrate aveva rettificato la natura dell’operazione effettuata, composta da atti distinti, in un’unica cessione di azienda, con contestuale applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale.

I giudici di merito avevano ritenuto legittima la pretesa dell’Amministrazione, dando rilievo alla riqualificazione societaria che emergeva soltanto dal collegamento negoziale tra più atti tra loro correlati.

Tale interpretazione si poneva, tuttavia, in chiaro conflitto con la natura stessa dell’imposta di registro.

Confermando l’indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale e richiamando le norme di interpretazione autentica dell’art. 20 TUR, la Suprema Corte ha chiarito che le operazioni strutturate mediante conferimento di azienda seguito dalla cessione delle partecipazioni della società non possono essere riqualificate in una cessione di azienda e non configurano di per sé il conseguimento di un vantaggio indebito, realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

 

Il rinvio alla Corte di Giustizia UE

La querelle, tuttavia, non pare avere fine, posto che, con un’ordinanza di alcuni giorni prima, la stessa Corte di Cassazione ha rimesso alla Corte di Giustizia UE la legittimità dello stesso art. 20 TUR (ordinanza n. 10283/2022).

L’obbligo previsto per l’Amministrazione finanziaria di qualificare l’operazione intercorsa tra le parti esclusivamente sulla base degli elementi testuali contenuti nel contratto potrebbe consentire il riconoscimento della detrazione Iva anche in assenza dei requisiti previsti dalle direttive unionali, in potenziale contrasto con i principi espressi dalla Corte di Giustizia.

Il Giudice europeo ha infatti chiarito che, ai fini Iva, la volontà e le intenzioni del contribuente possono e, in alcuni casi, devono essere prese in considerazione per operare una valutazione globale delle circostanze dell’operazione societaria.

Questo orientamento sembra contrastare con l’attuale formulazione della normativa sull’imposta di registro, che impone invece di considerare soltanto il singolo contratto, senza fare riferimento a elementi extra-testuali.

Con rinvio alla Corte di Giustizia è evidente che l’ampio dibattito sull’art. 20 TUR non è ancora terminato.

 

Fonti:

 

NDR. Sulle implicazioni dell’articolo 20 TUR leggi anche Autonomia negoziale e interpretazione dei contratti 

 

A cura di Sara Armella

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