In tema di IRPEF, qualora un bene sia acquistato da un coniuge in regime di comunione legale, ma rientri nell’attività d’impresa esercitata separatamente, la plusvalenza conseguita dal maggior prezzo di cessione è fiscalmente imputata per l’intero al coniuge esercente l’impresa, costituendo esso il provento della propria attività e trovando applicazione la fattispecie secondo cui, tra i redditi suddivisi tra i coniugi in regime di comunione legale non sono compresi quelli derivanti dall’attività separata di ciascuno di essi, che vanno dunque imputati per intero al coniuge percipiente.
La Corte di Cassazione ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di imputazione di una plusvalenza collegata alla cessione di un bene rientrante nell’attività di impresa esercitata in via esclusiva da uno solo dei coniugi, in caso di sussistenza del regime di comunione legale.
Il caso di Cassazione: area edificabile comprata al di fuori dell’attività d’impresa
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate aveva notificato alla contribuente un avviso d’accertamento, con il quale, rilevando che nella dichiarazione dei redditi, relativa all’anno 2006, era stata omessa una plusvalenza di Euro 574.789,00, derivante dalla cessione a titolo oneroso di un’area edificabile, ne aveva rideterminato il reddito, con maggiori imposte, oltre interessi e sanzioni.
L’area edificabile era stata acquistata nel 1998 dal coniuge della contribuente, quale titolare di una ditta individuale, e rivenduta dalla medesima impresa, con atto del 28 dicembre 2006.
I coniugi, con atto del 21 settembre 2006, erano transitati dal regime patrimoniale della comunione dei beni a quello della separazione.
Secondo la prospettazione dell’ufficio finanziario il bene alienato era però da intendersi compreso nella comunione de residuo, così che la tassazione, al netto dei costi detratti, doveva gravare su entrambi i coniugi per la metà.
La contribuente, contestando la pretesa dall’Amministrazione finanziaria, impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, la quale rigettava il ricorso.
La Commissione Tributaria Regionale accoglieva invece l’appello della contribuente, annullando l’atto impositivo.
Il giudice di secondo grado, dopo aver evidenziato che il terreno alienato era stato acquistato dal coniuge della ricorrente nello svolgimento della propria attività di impresa edile, nella cui contabilità ordinaria era stato registrato, per poi essere rivenduto con fatturazione soggetta ad IVA, aveva ritenuto che, nella fattispecie, trovasse applicazione l’art. 4, lett. a), ultima parte, del Dpr. 22 dicembre 1986