Proponiamo in questo contributo una sintesi dei principi espressi recentemente dalla Cassazione in una interessante sentenza, in tema di indagini finanziarie. La sentenza punta il mouse sul caso del contribuente che svolge attività in nero, dai cui ricavi nasce la verifica basata in primis sulle indagini finanziarie.
I principi di Cassazione in materia di indagini finanziarie
Una corposa ed interessante ordinanza della Corte di Cassazione gioca a tutto campo in materia di indagini finanziarie, fissando una serie di principi che in questa sede sintetizziamo:
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“In tema di accertamento delle imposte sui redditi, i dati e gli elementi risultanti dai conti correnti bancari vanno ritenuti rilevanti ai fini della ricostruzione del reddito imponibile, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, se il titolare del conto non fornisca adeguata giustificazione, a prescindere dalla prova preventiva che il contribuente eserciti una determinata attività e dalla natura lecita o illecita dell’attività stessa” (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10578 del 13/05/2011 Rv. 618084 — 01; Cass. Sez. 5-, Ordinanza n. 29572 del 16/11/2018 Rv. 651421 — 01; conforme Sez. 5-, Sentenza n. 1519 del 20/01/2017 Rv. 642454 – 01);
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“la scelta della tipologia di accertamento costituisce una opzione incensurabile spettante all’Ufficio, in presenza di diverse tipologie astrattamente applicabili, salvo che il contribuente dimostri un preciso interesse alla applicazione di una certa opzione in luogo di altra; per cui nessuna doglianza appare prospettabile da parte del contribuente nel caso in cui l’Ufficio abbia scelto di operare l’accertamento mediante il metodo della verifica dei conti correnti bancari, ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) del DPR n. 600 del 1973, il che dispensava dalla verifica della provenienza da reato dei proventi confluiti nei conti, mentre il contribuente ha usufruito del vantaggio della detrazione dei costi che non sarebbe spettato in caso di proventi da reato e ci