L’abuso del diritto permette di riqualificare in cessione di azienda un atto registrato come cessione di quote sociali?
Il Fisco ha uno strumento, offerto dalla legge, che consente di contestare le operazioni prive di sostanza economica, messe in atto, come la cessione di quote sociali, solo per conseguire un vantaggio fiscale indebito?
La risposta a tale quesito è fornita da un recente intervento del giudice di legittimità, in ragione dell’evoluzione normative e delle pronunce della Consulta.
Cessione di quote e abuso del diritto: il principio
In tema di imposta di registro, ai sensi dell’art. 20 del D.P.R. n. 131 del 1986 – nella formulazione successiva alla l. n. 205 del 2017 che, secondo l’art.1, comma 1084, della l. n. 145 del 2018, ne ha fornito l’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 158 del 2020[1] e n. 39 del 2021[2] – è legittima l’attività di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intriseco”, cioè senza alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoziali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto»[3].
Ed invero, per effetto dell’art. 20 cit. resta ferma la legittimità dell’attività di riqualificazione per via interpretativa dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intrinseco”, senza l’utilizzazione di elementi ad esso estranei, essendo viceversa la finalità antielusiva profilo affatto estraneo alla disposizione in esame.
Diversamente, a diversi limiti, soggiace la potestà dell’Amministrazione finanziaria quando la riqualificazione è diretta a far valere il collegamento negoziale e, più in generale, qualunque forma di abuso del diritto ed elusione fiscale, ai sensi dell’art. 10-bis, L. n. 212 del 2000, trattandosi di ipotesi estranea alla ermeneutica dell’atto da registrare.
L’azione accertatrice, in tali casi, si deve attuare mediante apposito e motivato atto impositivo, preceduto – a pena di nullità – da una richiesta di chiarimenti, che il contribuente può fornire entro un certo termine, il tutto da svolgersi all’interno di uno specifico procedimento di garanzia; procedimento che non è stato seguito nella fattispecie in esame.
Tale principio è stato statuito dalla Corte di Cassazione con ordinanza del 19 luglio 2021 n. 20641, in ragione dell’evoluzione normativa e dei recenti arresti della giurisprudenza costituzionale e di legittimità.
Il caso esaminato
Una società ha ceduto il 100% delle proprie quote di una S.r.l. ad un’altra società, liquidando l’imposta di registro in misura fissa ex art. 11 della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986 qualificando l’atto come cessione di quote sociali.
Il fisco, con atto di rettifica, ha riqualificato, ex art. 20 D.P.R. n. 131 del 1986, la suindicata cessione di quote sociali in cessione di ramo d’azienda, con conseguente applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale.
Avverso tale avviso le contribuenti hanno proposto ricorso introduttivo sul rilievo, tra l’altro, della non corretta applicazione dell’art. 20 cit., assumendo all’uopo rilievo i diversi effetti giuridici conseguenti dalla cessione di quote sociali rispetto a quelli derivanti dalla cessione di ramo di azienda, non ricorrendo nel caso di specie comunque alcun abuso del diritto o intento elusivo da parte delle ricorrenti.
Il giudice del gravame ha accolto l’appello del fisco e, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato legittimo l’avviso di rettifica, in ragione di elementi extratestuali all’atto sottoposto a registrazione.
In particolare, la CTR ha ritenuto che, in ragione della portata dell’art. 20 cit., fosse possibile qualificare, come fatto dall’Amministrazione finanziaria, le operazioni societarie sopra indicate come unica operazione di cessione di ramo di azienda.
La pronuncia di Cassazione
Gli ermellini, con la citata pronuncia, hanno accolto il ricorso in cassazione e annullato la pretesa erariale sulla base delle seguenti articolate argomentazioni.
L’art. 20 cit. prescinde dall’accertamento di eventuali profili elusivi/abusivi, assumendo rilievo, ai fini dell’imposizione, la sola causa concreta del negozio sottoposto a registrazione di talché, tenuto conto dell’assoluta incompatibilità quanto agli effetti tra le cessione di partecipazione sociale e quella di ramo di azienda, nel caso di specie risultava violato il disposto di cui all’art. 20 cit. in quanto applicato in violazione della reale volontà delle parti, e quindi delle norme che presiedono i criteri di interpretazione dei contratti.
Neanche il fisco ha ritenuto sussistere un’ipotesi di abuso del diritto, avendo, nel caso di specie, le operazioni poste in essere dalle contribuenti valide ragioni economiche o extrafiscali e non essendo ravvisabile neanche un indebito risparmio di imposta.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 39 del 2021 [4] ha,