Le ASD perdono automaticamente la qualifica di Ente Non Commerciale a seguito dello svolgimento di attività di natura commerciale qualora le entrate derivanti da queste siano quantitativamente prevalenti rispetto alle entrate derivanti dall’attività istituzionale?
Con riguardo alle Associazioni Sportive Dilettantistiche, si deve sempre distinguere tra qualità dell’ente e qualificazione delle attività poste in essere, ai fini fiscali, in commerciali o non commerciali?
Il fisco può dimostrare che il fine o l’oggetto principale del soggetto in questione è rappresentato dall’esercizio delle attività commerciali ovvero che il soggetto presenta solo formalmente la veste di associazione, ma nella sostanza rappresenta ad ogni effetto un’impresa?
Associazione Sportiva Dilettantistica: premessa
Gli enti di tipo associativo che svolgono in via esclusiva o principale attività commerciale non possono fruire del regime di favore previsto dall’art. 148 del TUIR e dall’art. 4, commi 4 e 6, del D.P.R. n. 633.
Per detti enti la natura commerciale fa sì che anche le quote e i contributi associativi concorrano alla determinazione del reddito d’impresa.
Per gli enti commerciali residenti di cui al citato art. 73, comma 1, lettera b), del TUIR, il reddito complessivo è considerato, ai sensi dell’art. 81 del citato testo unico, reddito di impresa da qualsiasi fonte provenga.
Infatti, a quest’ultima categoria reddituale, definita dall’art. 55 del TUIR, vengono attratti i redditi fondiari, di capitale e diversi posseduti dagli enti commerciali.
Diversamente, il reddito complessivo degli enti non commerciali è formato dai redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione, ad esclusione di quelli esenti dall’imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva.
L’esercizio di attività commerciale da parte di tali enti non è vietato in senso assoluto ma solo nei limiti in cui esso sia principale o esclusivo.
Un ente non commerciale è un soggetto giuridico che può svolgere, pertanto, contemporaneamente un’attività istituzionale ed un’attività commerciale.
All’ente non commerciale non è precluso lo svolgimento di attività commerciali; tale facoltà deve, tuttavia, rispettare alcuni limiti al fine di non mutare, dal punto di vista fiscale, la natura dell’ente stesso.
Ai fini fiscali, il riconoscimento della veste imprenditoriale (e degli effetti giuridici) agli enti non commerciali comporta, qualora l’attività d’impresa dovesse essere esclusiva o principale, la perdita dello “status” di ente non commerciale cui conseguono rilevanti conseguenze di natura giuridica e fiscale.
La perdita della qualifica di ente non commerciale comporta tra l’altro in particolare, il cambiamento delle regole di determinazione del reddito nonché l’assoggettamento ad IVA di tutte le operazioni attive che rientrano nel campo di applicazione del tributo, oltre chiaramente l’obbligo di predisporre un complesso sistema di contabilità.
Pertanto, per gli enti non commerciali, i redditi di impresa si configurano come una delle categorie reddituali che concorrono a formare il reddito complessivo da assoggettare ad imposta.
In buona sostanza, per gli enti non commerciali, a differenza di quanto avviene per le società e per gli enti commerciali, il reddito complessivo imponibile non è formato da un’unica categoria reddituale (reddito di impresa) nella quale riportare i proventi di qualsiasi fonte, ma è formato dalla somma dei redditi delle varie categorie reddituali (redditi fondiari, di capitale, redditi d’impresa e redditi diversi).
ASD: regime agevolativo
Sussistono semplificazioni e agevolazioni in materia di adempimenti e di imposizione diretta e indiretta; si pensi alle agevolazioni previste dalla legge 398/1991, relativamente alla tassazione forfettaria delle attività commerciali svolte dalle Associazioni Sportive Dilettantistiche e alla disposizione ex art. 25, l. 133/1999 [1] e successive modificazioni – recepita dall’art. 67, c.1, lett. m) T.U.I.R., relativa alla qualificazione di reddito diverso dei premi compensi e rimborsi spese erogati agli sportivi dilettanti.
La Legge 398/1991 disciplina una serie di agevolazioni, sia di natura formale (esonero dalla certificazione dei corrispettivi, esonero dalla tenuta della contabilità, esonero dalla presentazione della dichiarazione IVA) sia di natura sostanziale (quantificazione forfettaria sia dell’IVA da versare che del reddito di impresa assoggettabile ad imposizione diretta) delle quali le a.s.d. possono usufruire in relazione alla eventuale attività commerciale dalle stesse esercitata.
Perdita qualifica
E’ necessaria un’indagine complessiva [2] sulla natura dell’ente (circolare 124/E/1998).
Vi sono requisiti, di carattere sostanziale, che concorrono ad escludere la esclusiva natura di ente non profìt: a) la presenza di una diversificazione delle quote sociali annuali (c.d. quote di frequenza) in ragione del tipo e della frequenza dei servizi utilizzati.
La diversificazione dei prezzi praticati nei confronti di coloro che risultano iscritti come soci contrasta con la logica propria degli enti di promozione sportiva (improntata al principio della parità contributiva della quota) ed evidenzia il carattere commerciale dell’attività che offre servizi differenziati a fronte di differenti prezzi corrisposti.
La modulazione a monte della quota sociale di frequentazione annuale in ragione delle attività che praticate snatura il carattere di associazione sportiva dilettantistica, finendo per ricadere nell’ambito delle attività commerciali e degli usi a quest’ultime connessi.
In tal caso, infatti, l’associazione finisce pe