Scioglimento dell’impresa familiare e successivo conferimento

L’operazione di conferimento preceduta dallo scioglimento dell’impresa familiare e dal mutamento del regime di comunione tra i coniugi, non costituisce, ai fini delle imposte dirette, un’operazione abusiva, non consentendo la realizzazione di alcun vantaggio fiscale indebito.

Scioglimento dell’impresa familiare, comunione de residuo e abuso del diritto

L’operazione di conferimento preceduta dallo scioglimento dell’impresa familiare e dal mutamento del regime di comunione tra i coniugi, non costituisce, ai fini delle imposte dirette, un’operazione abusiva, non consentendo la realizzazione di alcun vantaggio fiscale indebito.

L’Agenzia delle Entrate si è occupata di un caso in cui i coniugi intendono sciogliere l’impresa familiare regolando i diritti patrimoniali al collaboratore dell’impresa (che è il soggetto che ha presentato l’istanza d’interpello).

L’atto con il quale i coniugi provvedono alla divisione dei beni poiché attiene ai rapporti interni tra gli stessi coniugi, non rientra tra le tipologie di reddito previste dal TUIR, per cui la somma non è tassabile per la percipiente e non è deducibile in capo all’impresa, si tratta di esigenze estranee all’esercizio dell’attività imprenditoriale.

Ai fini delle imposte indirette, il conferimento di azienda è un operazione esclusa da IVA.

L’atto di conferimento dell’impresa individuale nella S.r.l. sarà soggetto a registrazione in termine fisso ed assoggettato all’imposta in misura fissa di 200 euro.

La fattispecie di seguito analizzata consta in:

  • scioglimento dell’impresa familiare;
     
  • mutamento del regime patrimoniale matrimoniale da comunione legale a regime di separazione ex articolo 215 codice civile, ai sensi dell’articolo 191, comma 1, del codice civile;
     
  • conferimento dell’impresa individuale nella s.r.l., procedendo all’aumento del capitale sociale ed avvalendosi del regime di neutralità fiscale di cui all’articolo 176, comma 1, del TUIR.

 

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Scioglimento impresa familiare

Riguardo alle imposte dirette, la quota di reddito maturata alla data di scioglimento dell’impresa familiare deve essere regolarmente assoggettata a tassazione Irpef in capo all’istante (collaboratore), mentre le somme liquidate all’istante in qualità di collaboratore dell’impresa familiare e per effetto dello scioglimento della stessa non assumono rilevanza fiscale.

Ai fini delle imposte indirette e con riferimento allo scioglimento dell’impresa familiare, l’Agenzia osserva che è necessario formalizzare la cessazione con una scrittura privata autenticata o con atto pubblico per provare con atto avente data certa la cessazione della produzione del reddito da parte del collaboratore.

L’atto di scioglimento sconterà l’imposta in misura fissa ai sensi dell’art. 4 lettera c) della Tariffa, parte prima allegata al d.P.R n. 131 del 1986 (TUR).

Anche la convenzione con la quale le parti determinano la quota di liquidazione della collaboratrice ai sensi dell’art. 230-bis del codice civile va registrata in misura fissa ai sensi dell’art. 4 lettera c) della Tariffa , parte prima allegata al TUR.

 

Natura fiscale delle somme liquidate al collaboratore

Con riferimento alla natura fiscale, ai fini delle imposte dirette, delle somme che verranno liquidate all’Istante quale quota spettante del valore de residuo (ex articolo 178 del codice civile ) dell’impresa individuale del coniuge al momento dello scioglimento della comunione legale, viene osservato in via preliminare che, in base alle norme del codice civile, ove i coniugi provvedano congiuntamente all’esercizio dell’impresa, entrambi acquisteranno la qualifica di imprenditori e si applicherà la comunione immediata ex 177, comma 1, lettera d), del codice civile, mentre in assenza di cogestione, come nel caso di specie, la qualifica di imprenditore spetterà solamente al titolare dell’impresa e troverà applicazione il successivo articolo 178 del codice civile secondo cui i «beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa» (cd. comunione “de residuo”).

Come chiarito dalla Corte di Cassazione con sentenza 6 marzo 2019, n. 6459, «lo scioglimento della comunione apre, invero, la fase di liquidazione della stessa, potendo ciascuno dei coniugi realizzare la propria quota, pari alla metà dei diritti già acquisiti e dei proventi delle attività separate non consumati» (compresi i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi ex articolo 178 del codice civile).

Con successiva ordinanza 11 novembre 2020, n. 25415, la Cassazione ha chiarito incidentalmente che:

«Anche la disposizione contenuta nell’ultimo periodo dell’art. 4, lett. a), [del Tuir] risulta in linea con il principio della capacità contributiva, poiché stabilisce che il criterio dell’imputazione ripartita non opera per i redditi che derivano dall’attività separata, professionale o imprenditoriale, di ciascun coniuge.

Infatti, i proventi di questa attività separata sono imputati al coniuge che esercita quell’attività, in perfetta coerenza con quanto dispone l’art. 177 c.c., comma 1, lett. c), secondo il quale i frutti dell’attività separata appartengono alla comunione de residuo, il che comporta che gli stessi diventeranno oggetto di condivisione da parte dei coniugi solo al momento in cui si scioglierà la comunione, se non consumati.

Ciò significa che, quando si verificherà lo scioglimento della comunione e qualora dovessero far parte della comunione de residuo i redditi dell’attività separata del coniuge, già tassati in capo a questi, l’imputazione di tali frutti all’altro coniuge, perla sua quota di comunione de residuo, sarà atto che non avrà rilevanza dal punto di vista reddituale, ma dovrà essere inquadrato tra gli atti di trasferimento di carattere patrimoniale».

 

Il caso specifico

Con riferimento al caso di specie, posto che l’atto con il quale i coniugi provvedono alla divisione dei beni ha natura dichiarativa (cfr. circolare 29 maggio 2013 n. 18/E, paragrafo 2.2.1), l’Agenzia ritiene che la somma che verrà liquidata all’Istante sulla comunione de residuo (ex. art. 178 c.c.), in sede di divisione, attenga ai rapporti interni tra i coniugi e non rientri fra delle tipologie di reddito previste dal TUIR.

Tale somma risulterà, quindi, non tassabile per la percipiente e non deducibile in capo all’impresa, in quanto diretta a soddisfare esigenze estranee alla finalità e alla logica d’impresa e non collegabile all’esercizio dell’attività imprenditoriale.

 

Imposta di registro

Ai fini delle imposte indirette e per quanto riguarda il mutamento del regime patrimoniale e il passaggio dalla comunione legale alla separazione, l’Agenzia osserva che l’atto contenente la sola determinazione dei coniugi di mutare il proprio regime patrimoniale deve essere assoggettato ad imposta di registro in misura fissa ai sensi dell’art. 11 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR.

La natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi permane, sino al momento del suo scioglimento, allorquando i beni cadono in comunione ordinaria (cfr. Cass. Sez. 1, 05/04/2017, n. 8803).

Lo scioglimento della comunione apre, invero, la fase di liquidazione della stessa, potendo ciascuno dei coniugi realizzare la propria quota, pari alla metà dei diritti già acquisiti e dei proventi delle attività separate non consumati (compresi i beni destinati all’esercizio dell’azienda di uno dei coniugi).

Pertanto, l’atto con il quale i coniugi provvedono alla divisione dei beni dovrà essere assoggettato all’imposta di registro nella misura dell’1%, ai sensi dell’articolo 3della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, in quanto atto di natura dichiarativa.

Anche i rimborsi, le restituzioni ed i prelievi di beni costituiscono operazioni di natura dichiarativa comprese fra quella di divisione.

 

L’operazione comporta abuso del diritto oppure no?

Secondo l’Agenzia delle entrate l’operazione di conferimento preceduta dallo scioglimento dell’impresa familiare e dal mutamento del regime di comunione tra i coniugi, non costituisce, ai fini delle imposte dirette, un’operazione abusiva ai sensi dell’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, non consentendo la realizzazione di alcun vantaggio fiscale indebito.

In particolare, l’Istante evidenzia che tale operazione è finalizzata a contenere i rischi di impresa nell’ambito della responsabilità limitata propria delle s.r.l., nonché a favorire il futuro ingresso nel capitale e nella gestione dell’impresa da parte dei figli dei coniugi (operazioni non ancora realizzate al momento della presentazione dell’istanza qui in esame).

L’operazione di conferimento, in linea di principio, è fiscalmente neutrale, ai sensi dell’articolo 176 del TUIR, e il passaggio del patrimonio non determina la fuori uscita degli elementi trasferiti dal regime ordinario d’impresa.

In particolare, i plusvalori relativi ai componenti patrimoniali trasferiti alla società conferitaria, mantenuti provvisoriamente latenti dall’operazione in argomento, concorreranno alla formazione del reddito secondo le ordinarie regole impositive vigenti al momento in cui i beni fuoriusciranno dalla cerchia dei beni relativi all’impresa, ossia, verranno ceduti a titolo oneroso, diverranno oggetto di risarcimento (anche in forma assicurativa) per la loro perdita o danneggiamento, verranno assegnati ai soci, ovvero destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.

Sulla base delle dichiarazioni e delle affermazioni dell’Istante nonché dell’analisi delle argomentazioni contenute nell’istanza di interpello, l’Agenzia ritiene che l’operazione di conferimento preceduta dallo scioglimento dell’impresa familiare e dal mutamento del regime di comunione tra i coniugi, non comporti il conseguimento di alcun vantaggio fiscale “indebito”, costituito da “benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario”, risultando fisiologici rispetto all’obiettivo dichiarato dall’istante.

Non avendo riscontrato la sussistenza del requisito dell’indebito risparmio d’imposta, l’Agenzia non procede all’analisi degli ulteriori requisiti previsti dall’articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000 ai fini del richiamato comparto impositivo.

Ai fini delle imposte indirette, viene osservato che il conferimento di azienda è, ai sensi dell’art. 2, comma 3 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, operazione esclusa da IVA.

L’atto di conferimento dell’impresa individuale nella S.r.l. sarà soggetto a registrazione in termine fisso ed assoggettato all’imposta in misura fissa di 200 euro ai sensi dell’articolo 4 n. 3 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR.

Si tratta della risposta n. 195 del 18 marzo 2021 dell’Agenzia delle entrate.

 

A cura di Vincenzo D’Andò, dal Diario Quotidiano di CommercialistaTelematico

Martedì 23 Marzo 2021