In caso di contestazione IVA relativa a fatture soggettivamente inesistenti: spetta al destinatario provare la propria buona fede, che non può essere ricavata dal giudizio penale…
In tema di IVA, ove l’Amministrazione finanziaria contesti operazioni soggettivamente inesistenti, spetta al destinatario della fattura, ai fini della detrazione dell’imposta, la prova della propria buona fede, che non può essere ricavata dal giudizio penale.
E’ questo, sinteticamente, il principio espresso dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 25426 dell’11 novembre 2020.
Sulle operazioni inesistenti, dello stesso autore abbiamo pubblicato anche:
“Utilizzabili in sede penale gli atti amministrativi, anche senza garanzie”
“Il reato di dichiarazione fraudolenta in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti”
Fatture soggettivamente inesistenti: il fatto
Una SPA ha impugnato un avviso di accertamento con il quale, in relazione al periodo di imposta dell’anno 2009, venivano recuperate a tassazione IRES e IRAP e disconosciuta la detrazione IVA, a fronte del fatto che la contribuente si sarebbe avvalsa di fatture fittizie per operazioni inesistenti («soggettivamente false»).
La CTP di Isernia ha parzialmente accolto il ricorso relativamente all’IVA e la CTR del Molise, ha rigettato l’appello principale dell’Ufficio e l’appello incidentale del contribuente, relativo alla statuizione sulle spese.
Ha osservato il giudice di appello, per quanto qui rileva:
“che la società contribuente ha operato con soggetti realmente esistenti che avevano avviato a loro volta rapporti con soggetti privi di organizzazione aziendale, circostanza della quale la società contribuente – trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti – non era a conoscenza, come accertato in sede penale”.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio, deducendo, fra l’altro, la violazione degli artt. 19, 54 e 60-bis d.P.R. n. 633/1972, 109 TUIR, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la società contribuente avesse assolto il proprio onere probatorio dimostrando di non essere consapevole di partecipare a una operazione fraudolenta.
“Deduce l’Ufficio ricorrente che la frode, attuata nel campo dei metalli ferrosi, è stata documentata dall’Ufficio in maniera adeguata.
Deduce il ricorrente che, a fronte della prova da parte dell’Ufficio di una partecipazione alla frode, il contribuente ha l’onere di provare non solo la propria estraneità, ma anche l’inconsapevolezza della falsità delle fatture, essendo posto a carico del cessionario un obbligo di diligenza specifico sia nella scelta del fornitore, sia in relazione ai requisiti del cedente”.
Il pensiero della Corte
Per la Corte:
“E’ principio condiviso quello secondo cui in tema di IVA, il principio di neutralità dell’imposizione comporta che l’Amministrazione finanziaria, ove contesti che siano state poste a fondamento della detrazione della relativa imposta