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In passato ci si è concentrati sull'assistenza fiscale, adempimento che riscontra sempre meno richiesta oggi da parte della clientela: cosa bisogna inventare per il futuro?
Dovremmo rifletterci più spesso noi Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili.
Forse è il caso di rifletterci subito, senza altri indugi.
Nel corso degli ultimi venti o trent’anni, la nostra categoria si è un po’ “accontentata”, diciamocelo.
La mia opinione è che, come spesso succede in questi casi, non si sia trattato di una scelta premeditata: è successo che, da un lato, la complessità del sistema fiscale è cresciuta costantemente e intensamente e, pertanto, ha imposto allo Studio del Commercialista una specializzazione professionale quasi totalizzante.
L’altra condizione che si è verificata è consistita in una situazione economica apparentemente stabile e immutabile (a posteriori abbiamo ben compreso che tali caratteristiche erano tutto meno che definitive) che per anni ha garantito alla maggior parte delle piccole e medie imprese la possibilità di prosperare o, quantomeno, di continuare ad esistere senza, tuttavia, imporre un’evoluzione gestionale e strategica (certamente non a livello di singola impresa).
Nella migliore delle ipotesi, il mitico “key man” che nelle PMI è tipicamente rappresentato dal fondatore o, al massimo, dai due o tre soci fondatori, si è sobbarcato gli oneri (certi) e gli onori (probabili) della gestione assecondando il proprio intuito e la propria esperienza e, talvolta, semplicemente improvvisando o, al limite, seguendo il corso del mercato.
In alcuni casi, le richieste e le innovazioni di processo “imposte” da importanti clienti e fornitori, decisamente più strutturati, hanno contribuito ad organizzare meglio e, di conseguenza, ad evolvere la gestione della PMI.
La crescente complessità dell’ambiente esterno, che comunque si è verificata anche negli anni più “tranquilli”, ha poi introdotto in azienda la collaborazione di altri validi professionisti quali ad esempio:
- consulenti per la certificazione della qualità dei processi,
- consulenza per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro,
- consulenti gestionali per il calcolo dei costi,
- consulenti per l’informatica
- e altri ancora.
In questo quadro il Commercialista ha continuato a fare due cose, forse tre: contabilità generale, consulenza fiscale e, se va bene, una consulenza finanziaria che spesso si è limitata a preparare una situazione di periodo da presentare in banca o a prendere atto delle condizioni proposte da due o tre Istituti e scegliere, ovviamente, le meno peggio.
Ora, a scanso di equivoci, non sto criticando o attaccando nessuno.
Il senno di poi è inutile e, probabilmente, anche irritante.
Continuando il discorso, perché poi arriverò al punto, vorrei introdurre altri due macro-elementi di discontinuità che, invece, hanno connotato pesantemente lo scenario più recente.
Il primo è la crisi epocale che le economie occidentali si sono trovate ad affrontare in conseguenza del fatto che la globalizzazione ha messo a confronto o, per meglio dire, in competizione stili di vita e sistemi di valori sociali, politici ed economici assolutamente separati fino all’avvento dell’era di internet e all’apertura all’economia mondiale di stati ed economie tradizionalmente chiusi (o che, al massimo, recitavano il ruolo di “terzisti” a costi irrisori) con l’inedita intenzione di recitare un ruolo attivo e paritario, diventando veri e propri competitor (e che competitor).
Questo primo aspetto ha messo pesantemente in discussione la redditività, la solidità e le prospettive di crescita (o anche solo di conservazione) di aziende fondamentalmente disorganizzate e, in un’ultima analisi, inadeguate a competere in un’arena densa di complessità e di nuove sfide.
L’altro aspetto, legato a doppio filo al primo, è l’impennata del progresso tecnologico sotto due aspetti: digitalizzazione e, conseguentemente, disponibilità di dati.
Questo secondo aspetto (il progresso tecnologico) ha creato enormi opportunità che, però, per essere sfruttate e gestite richiedono innovazione, competenze ed organizzazione.
Analizzare i dati senza un contesto di riferimento è praticamente inutile se non fuorviante.
Il contesto deriva, ancora una volta, dall’elaborazione e dall’attuazione di una visione strategica.
In conclusione sulle prospettive della professione di commercialista
Riassumendo, intanto che il Commercialista continuava indaffarato a soddisfare le più disparate esigenze fiscali (create in modo miope e ottuso da un legislatore ancora più disorientato delle imprese e dei professionisti), l’impresa:
- reagiva in modo istintivo e slegato ad una serie di crescenti necessità gestionali (qualità, sicurezza, privacy, etc.),
- assumeva rischi crescenti (tipicamente quello sul credito che, a fronte di un sistema in progressivo deterioramento, diventava sempre più incerto),
- incontrava nuovi e inediti problemi (timing di produzione e consegna sempre più stringenti, accesso al credito bancario sempre più difficile e “spersonalizzato”, assottigliamento diffuso della redditività sui singoli beni e servizi ceduti e forniti):
in una parola diventava più fragile.
Ho affermato qualche riga fa che non sto puntando il dito contro nessuno, oltretutto facendomi forte del senno di poi: in un certo senso le cose sono andate in un modo molto umano e naturale.
Bisogna, peraltro, sottolineare che sarebbe forse ingiusto sostenere che, nel corso degli ultimi venti o trent’anni, non sia mai stato attuato, da parte del Commercialista, il tentativo di sensibilizzare la PMI su temi strettamente gestionali.
Tale tentativo probabilmente c’è anche stato e, con altrettanta probabilità, è spesso caduto nel vuoto (o, al massimo, ha ricevuto una risposta “tiepida” e poco convinta quando non di mera cortesia o, addirittura, di vero e proprio rifiuto).
L’imprenditore, o la ristretta cerchia dei soci alla guida della PMI, ha illusoriamente creduto di aver determinato autonomamente, nella qualità e nell’entità, i risultati patrimoniali e finanziari che si sono manifestati nel corso degli anni “d’oro”, ignorando, anche se in buona fede, il ruolo decisivo delle condizioni esterne e di sistema che li avevano, in gran parte, resi possibili (ad esempio, con riferimento agli anni ottanta, un ruolo enorme fu rivestito dal debito pubblico che creò le condizioni per un livello di consumi ipertrofico).
Il fatto importante in questa sede è che ciò ha indotto la Direzione Aziendale della PMI ad una sottovalutazione sostanziale (diciamo pure che ha totalmente depennato il tema da qualsiasi ordine del giorno) dell’importanza dell’organizzazione aziendale e, prima ancora, dell’implementazione di una chiara visione strategica.
Mi rendo conto di metterla giù in modo piuttosto duro, non sto minimamente mettendo in discussione la serietà, l’abnegazione e la disponibilità al lavoro e al sacrificio quotidiano e pluriennale delle imprese e dei loro professionisti, non sto dicendo che il successo passato sia piovuto dal cielo.
Sto cercando, invece, di trasmettere un messaggio del tutto diverso: si è lavorato tanto, tutti, e anche bene se è vero che le aziende hanno investito, distribuito redditi (a vario titolo e varie categorie di soggetti) e sono cresciute: si è, però, grandemente sottovalutata la necessità di imprimere una direzione consapevole e coerente alla gestione aziendale.
La buona notizia, in tutto ciò, è che abbiamo tutti gli strumenti per risollevarci e migliorare.
Iniziamo dall’impresa, che è il centro di tutto, poi vengono i consulenti.
L’idea di poter gestire in modo “padronale” una qualsivoglia attività economica va del tutto accantonata (se mai abbia avuto un senso): ormai o si hanno patrimoni (per giunta liquidi, denaro o asset assimilabili) assolutamente preponderanti rispetto all’indebitamento aziendale e, dunque, anche a fronte di scelte gestionali estemporanee e istintive si avrà la possibilità di “coprire” autonomamente i danni che si andranno a creare (bisognerebbe poi chiedersi se un tale modo di fare possa definirsi realmente “fare impresa”) oppure ogni fantasia e “colpo di testa” (anche fatto in buona fede) può rivelarsi irreversibile, anche fatale.
Al contrario, la visione strategica diventa l’unica possibilità per organizzare coerentemente le risorse disponibili.
La tecnologia, il cloud e la rete diventano gli strumenti indispensabili, i dati la materia prima più preziosa (ma solo se contestualizzati adeguatamente).
Solo avendo una visione chiara e sfruttando al meglio gli strumenti più moderni si può sperare di organizzare le risorse aziendali in modo funzionale ed economico.
Veniamo ai professionisti, in questo caso partiamo dai Commercialisti.
Il Commercialista che, da ultimo in ordine di tempo, ha probabilmente “maledetto” l’introduzione della fatturazione elettronica (cogliendone solo l’aspetto dell’organizzazione dell’“adempimento” e, allo stesso tempo, sottovalutandone le enormi potenzialità in termini di fonte di dati), ha fondamentalmente due opzioni: la prima è quella di continuare a ricoprire una funzione per l’azienda che ha natura prettamente contabile e fiscale e che rischia di sconfinare in un ruolo “impiegatizio evoluto” (passatemi il termine), peraltro in concorrenza con associazioni di categoria e realtà assimilabili.
La seconda possibilità è quella di rimettersi in gioco (ma veramente), (ri)cominciare a focalizzare la propria attività professionale sull’aspetto aziendale e sulla potenzialità della gestione consapevole dei dati e liberare, contemporaneamente, quel potenziale di conoscenze, che già possiede, per tornare al centro della gestione aziendale (pur restando consulente e non mettendosi a fare l’imprenditore).
La trasversalità delle competenze e, dunque, dei punti di vista che possiede il Commercialista può e deve consentirgli di riprogettare la gestione aziendale assieme all’imprenditore.
Non sto parlando di coordinare le specializzazioni degli altri professionisti, si dice, con una certa malignità, che coordina gli altri chi non sa fare qualcosa di meglio e di più specifico.
Sto parlando di fornire una consulenza specializzata che riguardi la strategia e l’organizzazione dell’azienda, il cuore e il cervello della gestione aziendale.
Mi riferisco ad una consulenza strategica e moderna (la Balanced Scorecard è un possibile approccio, il Budget uno strumento di straordinaria importanza, la Business Intelligence una risorsa decisiva) che consenta la gestione proattiva della crescente complessità dello scenario economico (le recenti norme sugli adeguati assetti organizzativi e sulla crisi d’impresa sono solo l’ennesimo esempio della necessità di un’evoluzione che riguarda la concezione di come poter gestire un’impresa ai nostri tempi: in altre parole, il sistema economico e normativo sta imponendo la “professionalizzazione” della gestione aziendale).
Il tema della sostenibilità, dunque, inteso come possibilità di vivere e prosperare oggi senza dimenticare di renderlo possibile anche per domani e, magari, per dopodomani, riecheggia anche in azienda e vede coinvolti molteplici attori che hanno, singolarmente e collettivamente, il compito di coesistere in modo efficace, responsabile e senza “guardarsi male”, anzi.
L’impresa manifesta già oggi e manifesterà sempre più in futuro un numero crescente di esigenze che, professionalmente parlando, rappresentano delle opportunità da cogliere e da sviluppare: c’è spazio per tutti quelli che siano in grado di fornire risposte professionali adeguate e tempestive.
Tuttavia, ciò che renderà possibile questa forma di consulenza “allargata” e partecipativa è l’elaborazione, a monte, di un disegno strategico complessivo che, per giunta, resti vivo nel corso del tempo e venga costantemente alimentato e rinnovato.
Non è un gioco a somma zero, possono vincere tutti contemporaneamente e, in proposito, ognuno può e deve fornire un contributo che porti valore all’azienda e ai singoli soggetti interni ed esterni.
Per chiudere, affronterò un aspetto molto pratico tentando di sminare la madre di tutte le obiezioni al mio ragionamento (o, almeno, è quella che mi aspetterei se vi avessi davanti).
Suonerebbe più o meno così: “Tutto bello, davvero. Intanto l’IVA chi la chiude?”.
Obiezione accolta, vostro onore.
La mia risposta è:
- integrazione degli studi professionali (stabile o con collaborazioni esterne strutturate)
- e recupero dell’economicità e di disponibilità di tempo cominciando a lavorare sulla nostra azienda, lo Studio.
Così, magari, continueremo a chiudere l’IVA ma, allo stesso tempo, ci limiteremo a chiudere quella ed eviteremo, invece, di chiudere lo Studio.
Perdonate la brutalità del concetto ma ho condiviso con voi quello che penso.
Per chiudere con il giusto spirito e con la giusta fiducia nel futuro che la nostra professione ci potrà riservare se avremo il coraggio e la passione necessari ad evolverne la concezione, vorrei condividere con voi anche una frase di Winston Churchill, magari la conoscerete già, che a me infonde coraggio e positività:
“Il successo non è definitivo, il fallimento non è fatale: ciò che conta è il coraggio di andare avanti.”
A cura di David Bianconi
Martedì 13 ottobre 2020
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