Le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur non potendo costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumono tuttavia il valore di dati di fatto che devono essere valutati liberamente dal giudice penale, unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa.
In tema di reati tributari è obbligato a presentare una delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto colui che ha la residenza fiscale in Italia, per tale dovendosi intendere anche chi, pur risiedendo all’estero, stabilisca in Italia, per la maggior parte del periodo d’imposta, il suo domicilio, inteso come la sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle relazioni personali.
La Cassazione sul tema della residenza fittizia all’estero
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 42567 del 17/10/2019, ha chiarito alcuni rilevanti profili, in particolare di ordine probatorio, in tema di residenza fittizia all’estero.
Nel caso di specie, la Corte di appello di Genova aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale aveva condannato un contribuente alla pena di anni 2 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole di tre distinti episodi, tra loro unificati sotto il vincolo della continuazione, per il delitto di cui all’art. 4 del Dlgs. n. 74 del 2000.
Tale reato veniva contestato per avere il contribuente, al fine di evadere le imposte sui redditi, in veste di intermediario finanziario fittiziamente residente all’estero, omesso di indicare i compensi percepiti nelle dichiarazioni annuali relative agli anni 2010, 2011e 2012.
Avverso tale sentenza il contribuente proponeva quindi ricorso per cassazione, lamentando l’erronea applicazione dell’art. 32, comma 1, del Dpr. n. 600/73 e la carenza assoluta di motivazione, ed evidenziando che la pronuncia di colpevolezza si era basata esclusivamente sulle indagini bancarie esperite dalla Guardia di Finanza, che, tuttavia, si erano rivelate incomplete, non essendo stata accertata la provenienza degli assegni versati sui conti correnti dell’imputato e della consorte.
Né, a suo avviso, poteva ritenersi esauriente, nel caso di specie, la presunzione tributaria di cui all’art. 32 cit., essendo quest’ultima applicabile al processo penale solo a condizione che il giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e provveda ad un’autonoma valutazione degli elementi evidenziati nel processo verbale di contestazione, il che, nel caso in esame, non era avvenuto, essendosi fondata la condanna solo sulla depo