Prescrizione quinquennale delle cartelle INPS e INAIL

In questo articolo affrontiamo le numerose problematiche sottese a prescrizione quinquennale e impugnazione avanti il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro di cartelle esattoriali INPS ed INAIL
Principale giusrisprudenza di merito e di legittimità

Prescrizione quinquennale cartelle INPS e INAILCon questa sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano il 5 agosto 2019 (n. 952/2019) affrontiamo le numerose problematiche sottese a prescrizione quinquennale e impugnazione avanti il Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro di cartelle esattoriali INPS ed INAIL tramite gli estratti di ruolo (rilasciati dal concessionario della riscossione – l’ex Equitalia), che nel corso degli ultimi 2 anni hanno visto notevoli e non sempre lineari oscillazioni e ripensamenti nella giurisprudenza di merito e di legittimità.

Anzitutto riassumiamo brevemente le 3 tipologie di opposizioni avverso gli atti del procedimento della riscossione coattiva di crediti previdenziali.

 

Opposizione entro il termine di 40 giorni

In primo luogo il contribuente può proporre opposizione al giudice del lavoro entro il termine perentorio di 40 giorni dalla notifica della cartella contro l’iscrizione a ruolo ex art. 24 D. Lgs. n. 46/1999 ed il relativo processo è regolato dagli artt. 442 e ss. codice procedura civile.

Trattasi di strumento finalizzato ad “ottenere una verifica giudiziale della fondatezza della pretesa contributiva” come affermato dalla Cassazione nella nota sentenza n. 17978/2008.

E’ lo strumento con cui viene contestata ab origine e nel merito l’asserita pretesa contributiva previdenziale, ragion per cui costituisce l’impugnativa di più ampia portata

 

Opposizione oltre il termine di 40 giorni

Spirato il termine perentorio dei 40 giorni di cui sopra, il contribuente può proporre opposizione all’esecuzione, secondo il combinato disposto degli artt. 615 e 618 bis cpc, contestando il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata (Ente previdenziale ovvero Agente della Riscossione), dal momento che l’art. 29 comma 2 D. Lgs. n. 46/1999 lascia espressamente salva l’operatività delle opposizioni esecutive nell’ambito delle procedure di riscossione delle entrate non tributarie (e quindi previdenziali), stabilendo che “le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi si propongono nelle forme ordinarie”.

Rispetto al primo mezzo, si tratta di un’impugnativa di portata più circoscritta, in quanto il giudizio può investire solamente l’an dell’esecuzione, ovverossia il diritto di procedere ad esecuzione forzata per difetto originario o sopravvenuto, totale o parziale, del titolo esecutivo (cartella esattoriale od il più recente strumento dell’avviso di addebito notificato direttamente dall’INPS) o della pignorabilità dei beni.

La prescrizione costituisce un difetto sopravvenuto della pretesa creditoria e questo tipo di opposizione non è soggetta ad alcun termine, se non quello rappresentato dal compimento dell’esecuzione.

Evidenziamo che può essere proposto ricorso ex art. 615 cpc avanti il giudice del merito anche se l’azione esecutiva non è ancora iniziata (nel qual caso dovrebbe essere proposto ricorso avanti il Giudice dell’Esecuzione), e ciò in quanto sussiste pur sempre il titolo esecutivo costituito dal ruolo esattoriale.

Può essere così superata la dicotomia tra azione ed eccezione per far valere la prescrizione avanti il Giudice del Lavoro, sconfessando chi invoca l’art. 2938 Codice Civile per sostenere che la prescrizione può essere solo eccepita, mai azionata.

Sotto l’angolo visuale dell’art. 615 cpc, questo diviene un falso problema, rimanendo, semmai uno sterile esercizio di logica giuridica.

 

Opposizione agli atti esecutivi

Il terzo, e più limitato strumento, sia per quanto concerne l’ampiezza del mezzo, sia per quanto riguarda gli stretti termini decadenziali (20 giorni), è rappresentata dall’opposizione agli atti esecutivi ex artt. 617- 618 cpc.

Questo tipo di giudizio investe infatti la ritualità formale della cartella esattoriale o i vizi strettamente attinenti alla notificazione della cartella e quelli riguardanti i singoli atti dell’esecuzione.

L’opposizione agli atti esecutivi attiene, infatti, al quomodo del procedimento, investendo la legittimità dello svolgimento dell’azione esecutiva e deve essere proposta nel termine perentorio di venti giorni stabilito dall’art. 617 cpc che decorre dal compimento del singolo atto esecutivo ricordando che, essendo il processo esecutivo strutturato nella forma di singoli atti subprocedimentali tendenti ad assicurare la stabilità, con l’impugnazione di un atto successivo non può essere investito l’atto precedente, laddove quest’ultimo si sia consolidato per la decorrenza dei 20 giorni.

 

Impugnazione delle cartelle esattoriali

Esaurita questa premessa illustrativa, nell’ambito del secondo mezzo di cui sopra, il punto di partenza non può che essere la possibilità o meno di impugnare le più disparate cartelle esattoriali (non solo quindi quelle in materia strettamente previdenziale) attraverso l’estratto di ruolo, che sembrava aver trovato la definitiva conferma nella sentenza emessa dalle Sezioni Unite della Cassazione n. 19704/2015.        

La problematica non è di poco conto, dal momento che, nella pratica, avviene sovente la “discovery” di una pendenza esattoriale solo nel momento in cui il contribuente accede agli uffici del concessionario della riscossione per verificare la propria posizione, giacché sempre più frequentemente le cartelle vengono notificate, (rectius, spedite) attraverso i canali della PEC o della posta ordinaria per cui, per una inveterata fictio, la notifica si considera perfezionata per compiuta giacenza se entro il termine di 30 giorni la missiva non viene ritirata.

Dunque, alla luce della sentenza surrichiamata, dovrebbe essere sempre possibile impugnare una cartella esattoriale attraverso l’estratto di ruolo rilasciato dal concessionario della riscossione, assumendo appunto (nel linguaggio processuale “allegando”) che la notifica non si sia mai perfezionata.

E qui iniziano a sorgere i primi problemi.

 

Il concetto di allegazione

Va infatti chiarito che per allegazione, nel processo civile, si intende l’attività attraverso la quale vengono affermati ed introdotti in giudizio determinati fatti storici, al fine precipuo di delimitare l’ambito decisorio del giudice, indipendentemente dal raggiungimento prova, che attiene al diverso profilo della fondatezza della domanda.

Allegare”, non significa affatto “provare” e quindi, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione della cartella, il ricorrente non dove assolutamente provare l’invalidità della notifica (anche in virtù del noto brocardo negativa non sunt probanda), a costui basta solo allegare la mancata conoscenza della cartella assumendo come tesi l’invalidità della notifica.

Tuttavia, certuna giurisprudenza di merito, evidentemente confondendo questi due oneri processuali, è giunta a dichiarare inammissibile un ricorso in seguito alla prova che il concessionario della riscossione ha fornito in merito alla notifica della cartella impugnata.   

Si cita ad esempio la sentenza del Tribunale di Milano n. 1979/2019 secondo cui:

Quanto all’eccezione di prescrizione, la giurisprudenza […] statuisce che la prescrizione non possa essere eccepita in via di azione per difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., in quanto non è ammessa l’azione di accertamento dell’estinzione per prescrizione del credito portato nella cartella, quando il ricorrente ha già ricevuto la notifica della cartella e sostenga di esserne venuto a conoscenza solo attraverso un atto successivo come l’estratto di ruolo.

Ciò in quanto, con riferimento alla prescrizione del credito maturata precedentemente alla notifica della cartella, una diversa tesi implicherebbe rimettere in termini il ricorrente che non aveva opposto la cartella a suo tempo”.

Di fronte però alla sempre più grande difficoltà dell’esattore di fornire la prova della validità della notifica (versando cioè in atti una la relata di notifica ovvero la ricevuta di ritorno della raccomandata), certa giurisprudenza, per così dire “creativa”, è andata ben oltre, bypassando di fatto l’insegnamento delle Sezioni Unite sull’impugnabilità dell’estratto di ruolo, valorizzando la categoria pregiudiziale dell’interesse ad agire del ricorrente.

E’ in questo solco che si inserisce la sentenza del Tribunale di Pavia n. 116/2018 del 15/06/2018 che è stata poi impugnata vittoriosamente in appello nella sentenza oggetto del presente contributo.

Infatti, malgrado la contumacia dell’Agente della Riscossione e quindi la mancata prova della notifica delle cartelle INPS impugnate, il Tribunale di Pavia ha rigettato il ricorso di primo grado statuendo perentoriamente che:

Difetta l’interesse ad agire del debitore per l’accertamento negativo del credito dell’amministrazione, una volta trascorsi i termini per l’impugnazione della cartella, in assenza di previa istanza di sgravio all’amministrazione e in assenza di iniziative esecutive”.

 

Prescrizione quinquennale delle cartelle INPS e INAIL

La succitata sentenza del Tribunale di Pavia prestava il fianco a critiche sotto molteplici profili, non ultimo il fatto che si poneva in netto contrasto anche con la notissima sentenza delle Sezioni Unite n. 23397/2016 in cui la Corte Regolatrice aveva dichiarato il principio della prescrizione quinquennale dei crediti portati dalle cartelle previdenziali, malgrado la regolare notifica della cartella sottesa e della successiva intimazione di pagamento.

E’ doveroso ricordare che, in questa epocale sentenza, le Sezioni Unite hanno deciso in senso favorevole al contribuente in una fattispecie di credito previdenziale prescritto, con regolare notifica di cartella ed intimazione di pagamento (che però non avevano impedito il successivo maturare della prescrizione quinquennale), laddove, in primo grado avanti il Tribunale di Catania, l’opposizione era stata dichiarata inammissibile perché proposta oltre il termine perentorio di quaranta giorni dalla notifica, di cui al D. Lgs. n. 46/1999, mentre il giudice di secondo grado (la Corte d’Appello di Catania) aveva riformato integralmente tale sentenza in quanto la domanda azionata deve essere qualificata come opposizione all’esecuzione, proponibile senza limiti di tempo ai sensi dell’art. 615 c.p.c., avendo con essa l’interessato fatto valere un atto estintivo successivo alla notifica del titolo, consistente appunto nella sopravvenuta prescrizione del credito.

 

La posizione della Corte d’appello di Milano

Accogliendo quindi le nostre tesi difensive, la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 952/2019 quivi allegata, ha statuito che:

Sussiste l’interesse ad agire dell’appellante ai sensi dell’art. 100 c.p.c., contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, il quale ha richiamato in motivazione la sentenza della Cassazione n. 22946/16, ma in quel caso la suprema corte era chiamata a pronunciarsi su una azione di mero accertamento negativo, laddove la presente fattispecie è quella prevista dall’art. 615, primo comma c.p.c.-

Come già sostenuto da questo Collegio in analoghe controversie (vedi sentenza CdA Milano, 5-11-2018, n. 1632 pres. Vitali rel. Casella), si deve evidenziare che la Cassazione ha espresso il predetto principio, avendo sempre cura di precisare che “l’impugnazione della cartella esattoriale, la cui esistenza risulti da un estratto di ruolo rilasciato dal concessionario per la riscossione su richiesta del debitore, è ammissibile a prescindere dalla notificazione di essa congiuntamente all’estratto di ruolo soltanto se il contribuente alleghi di non avere mai avuto conoscenza in precedenza della cartella per vizio di notifica, e quindi solo in funzione recuperatoria” (n. 22946/2016)”.

Ed ancora:

Nella specie, il ricorrente ha dato atto di non aver ricevuto la notificazione delle cartelle, la cui esistenza apprendeva dall’esame dell’estratto di ruolo. Peraltro, è da considerare tempestiva l’opposizione del […] anche ex art. 24, c. 6, d.lgs. n. 46/1999, in quanto, come correttamente rilevato dalla difesa appellante, la parte convenuta non ha assolto all’onere della prova circa la notifica delle cartelle esattoriali oggetto di causa.

Tanto basta per considerare ammissibile il ricorso proposto da […]”.

Pertanto, deve ritenersi ora pacifico in giurisprudenza l’approdo secondo cui, laddove il Concessionario della Riscossione o l’Ente impositore non forniscano la prova della notifica della cartella, l’opposizione ex art. 615 cpc per far valere la prescrizione è sempre esperibile.

Notevoli dubbi tuttavia permangono laddove venga invero fornita la prova della notifica della cartella, ed in questo modo sembra rivivere ancora una volta la questione dell’interesse ad agire, che appare però essere frutto di una fictio juris a discapito del contribuente.

 

Prova della notifica della cartella e prescrizione

In buona sostanza l’ultimo approdo giurisprudenziale è nel senso che, laddove si dimostri la notifica di una cartella anche in tempo risalente e laddove l’Agente della riscossione non abbia posto in essere né minacciato atti esecutivi, il credito non può essere dichiarato prescritto tramite ricorso ex art. 615 cpc (e quindi, sostanzialmente, in via d’azione, perché difetterebbe un interesse ad agire).

Questo filone giurisprudenziale è stato inaugurato dalla sentenza della Cassazione n. 18590/2019, secondo cui, l’eccezione di prescrizione non possa essere eccepita in via di azione per difetto di interesse ex art. 100 cpc, anche quando la prescrizione sarebbe maturata dopo la notifica delle cartelle, assumendo la sussistenza di uno strumento in via amministrativa quale l’eliminazione in autotutela della pretesa impositiva mediante il cd. “sgravio”.

Un approdo di questo tipo, a parere di chi scrive, è eminentemente teoretico ed avulso dalla realtà dei fatti.

Anzitutto il fatto che possa essere prospettato uno strumento alternativo (il ricorso amministrativo in autotutela per “sgravare” la cartella esattoriale), non conduce alla mancanza di interesse del ricorrente all’eliminazione in sede giurisdizionale dell’asserita pretesa impositiva.

L’interesse del ricorrente è infatti l’eliminazione con giuridica certezza dell’asserito credito previdenziale e non la percorrenza di una strada “alternativa” rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione.

Mettere sullo stesso piano l’interesse del ricorrente e gli strumenti eventualmente a sua disposizione è un’aporia giuridica; così inquadrata, la proposizione di un’istanza di autotutela si configura come una vera e propria “condizione di procedibilità per l’esperimento di un’azione giurisdizionale da parte del contribuente, cosa che non è assolutamente prevista dall’ordinamento.

Si ricorda, del resto il potere di agire in “autotutela” attiene ad una potestà eminentemente discrezionale della Pubblica Amministrazione, mentre lo stesso Ente Pubblico, come tutte le persone giuridiche pubbliche o private, evocato in un giudizio civilistico, è soggetto alla decisione di un giudice terzo e avanti il giudice, nessuno vieterebbe, in pratica, alla stessa PA di eliminare l’atto in autotutela.

 

Prescrizione quinquennale cartelle: esercizio dell’autotutela

L’autotutela può essere esercitata sì in via amministrativa e stragiudiziale, ma anche in un contenzioso avanti l’Autorità Giudiziaria.

Del resto, gli operatori del settore hanno pressoché giornaliera esperienza di come la strada amministrativa dell’autotutela sia solo astrattamente percorribile, visto che approda generalmente, dopo un lungo e tortuoso iter, alla reiezione dell’istanza e alla soggezione a tempo indeterminato della pretesa impositiva.

E permanendo l’iscrizione a ruolo dell’asserito credito, malgrado sia prescritto, continua a produrre notevoli interessi moratori; anche sotto questo profilo è evidentissimo l’interesse del ricorrente ad eliminare in radice e con certezza la pretesa esattoriale.

In ultima analisi, questo approdo, viene a smentire il surrichiamato insegnamento delle Sezioni Unite della Cassazione nell’epocale sentenza n. 23397/2016 che ha statuito la prescrizione indipendentemente dalla notifica della cartella esattoriale, insegnamento che ha trovato seguito nella successiva giurisprudenza della Sezione Lavoro della corte di Cassazione, a partire dalla sentenza n. 10809/2017.

Infatti, a prescindere dalla questione della validità della notifica o meno delle cartelle, deve essere sempre vagliata dal giudice la questione di merito del ricorso, ossia la prescrizione dei crediti esattoriali portati dalle suddette cartelle.

Si cita all’uopo il passo più significativo della cennata sentenza:

[…] che i primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono fondati avendo la Corte di appello omesso del tutto di verificare se, dopo la notifica della cartella esattoriale di cui sopra (avvenuta il 6 giugno 2001) fosse nuovamente decorso il termine di prescrizione quinquennale; ed infatti è stato definitivamente chiarito che:

“La scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D. Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c..

Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.

Lo stesso vale per l’avviso di addebito dell’INPS, che, dall’i gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)” (Cass. SU n. 23397 del 17/11/2016)”.

Giunti alla fine di quest’analisi, il contrasto giurisprudenziale appare davvero insanabile e si auspica una rimessione alle Sezioni Unite, affinché vengano ripristinati una volta per tutti i chiari e condivisibili principi enucleati nel 2016.

 

A cura di Roberto Molteni

Giovedì 25 giugno 2020