Proseguiamo l’analisi sul comportamento del contribuente nel caso in cui questi abbia erroneamente fatturato applicando il regime forfetario pur non avendone i requisiti.
Nel presente contributo andremo a vedere l’esatto momento in cui matura il diritto del contribuente a richiedere il rimborso dell’IVA versata all’Erario nei casi di: fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato fallimentare; concordato preventivo, piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti, procedure esecutive individuali e collettive.
Errata applicazione del regime forfetario: premessa
Clicca qui per leggere “Errata applicazione regime forfetario e omessa indicazione dell’IVA in fattura – prima parte”.
Riprendiamo l’analisi sul corretto comportamento che un contribuente deve adottare per rimediare al caso in cui lo stesso abbia fatturato applicando il regime forfetario pur non avendone i requisiti.
La scorsa settimana abbiamo visto che in mancanza di un chiarimento ufficiale da parte delle Autorità competenti, un contribuente che erroneamente emette una fattura in regime forfetario, non avendone i requisiti, può regolarizzare la sua posizione solo seguendo le indicazioni rese dall’Amministrazione Finanziaria con le risposte a interpello n. 499/2019 e n. 500/2019.
In particolare, il documento di prassi:
-
500/2019 ha chiarito che l’omessa indicazione dell’IVA sulle fatture erroneamente emesse in regime forfetario può essere rettificata dal contribuente:
- con l’emissione e la trasmissione al cessionario/committente di “una nota di variazione in aumento” a integrazione della fattura originaria, addebitando a titolo di rivalsa l’IVA da versare, ed esponendo eventualmente la ritenuta d’acconto;
- con l’emissione e la trasmissione al cessionario/committente di una “nota di variazione in diminuzione” a storno integrale della fattura emessa e al contempo con l’emissione e la trasmissione di una nuova fattura, sostitutiva di quella originaria, comprensiva dell’IVA da addebitare a titolo di rivalsa e della eventuale ritenuta d’acconto;
- 499/2019 ha evidenziato che se il committente sostituto d’imposta non provvede al pagamento della ritenuta d’acconto esposta nella fattura integrativa o sostitutiva, il prestatore – sostituito non matura alcun credito IRPEF da utilizzare in compensazione nella dichiarazione dei redditi;
- con l’emissione e la trasmissione al cessionario/committente di “una nota di variazione in aumento” a integrazione della fattura originaria, addebitando a titolo di rivalsa l’IVA da versare, ed esponendo eventualmente la ritenuta d’acconto;
Con la risposta a interpello n. 500/2019 l’Ufficio ha, inoltre, precisato che la riscossione del credito IVA per il cedente/prestatore è del tutto ininfluente ai fini del funzionamento del meccanismo dell’imposta.
L’obbligo di versare l’IVA all’Erario, infatti:
- rimane in capo al cedente/prestatore;
- sorge al momento dell’emissione della fattura;
- è indipendente dal pagamento o meno della fattura.
Per queste ragioni, a parere dell’Ufficio, la possibilità di recuperare l’IVA addebitata con la fattura integrativa o sostituiva è vincolata all’attivazione di una procedura civilistica di recupero del credito, che solo se infruttuosa consentirà al cedente/prestatore di emettere una nota di variazione in diminuzione per l’importo non incassato.
Sempre la scorsa settimana abbiamo, infine, appreso che il momento in cui emettere la nota di variazione in diminuzione dell’imposta non incassata varia in base al tipo di procedura concorsuale o esecutiva a cui il debitore è assoggettato.
Nel proseguo di questa trattazione andremo a vedere l’esatto momento in cui matura il diritto del contribuente a richiedere il rimborso dell’IVA versata all’Erario nel caso del:
- fallimento;
- liquidazione coatta amministrativa;
- concordato fallimentare;
- concordato preventivo;
- piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti;
- procedure esecutive individuali e collettive.
Fallimento
In presenza di una procedura fallimentare infruttuosa è prevista la possibilità per il creditore di recuperare l’IVA versata emettendo una nota di variazione in diminuzione per l’importo non incassato.
Occorre, però, distinguere tra:
- un fallimento con attivo da distribuire. In tal caso per emettere la nota di variazione è necessario attendere la pubblicazione del decreto con il quale il giudice delegato alla procedura dichiara l’esecutività del piano di riparto[1], ovvero, più prudenzialmente, occorre aspettare il decorso del termine per le osservazioni al progetto di ripartizione[2];
- fallimento senza attivo da distribuire. In questa ipotesi si deve rispettare il decorso del termine per proporre reclamo avverso il decreto di chiusura della procedura[3].
Sempre in campo fallimentare segnaliamo che:
- con risposta a interpello n. 954-789/2017 l’Agenzia delle Entrate, richiamando l’art. 26, comma 2 del DPR n. 633/1972 e il precedente documento di prassi n. 77/E/2000, ha rilevato che in caso di chiusura del fallimento con giudizi pendenti in essere, la nota di variazione in diminuzione può essere emessa solo dopo la chiusura di detti giudizi pendenti e successivamente all’esecutività del piano di riparto supplementare “…momento in cui si avrà certezza delle somme distribuite ai creditori”;
- la nota di variazione in diminuzione può essere emessa anche quando il curatore fallimentare ha chiuso la partita IVA e non è più in grado di registrare la nota di variazione ricevuta. Come chiarito, infatti, dalla circolare n. 3/E/1992, protocollo n. 446157, il curatore, quando non sono presenti operazioni rilevanti, può presentare la dichiarazione di cessazione dell’attività anche prima della chiusura del fallimento per accelerare le pratiche di rimborso delle eccedenze detraibili, maturate nelle more della procedura concorsuale.
Si ricorda, infine, che per recuperare l’imposta versata il creditore deve essere stato ammesso al fallimento.
Pertanto, come precisato dalla citata circolare n. 77/E/2000 il creditore dovrà a tal fine presentare apposita domanda di insinuazione allo stato passivo fallimentare.
In mancanza della domanda di ammissione, il creditore non è, infatti, in grado di dimostrare all’Amministrazione Finanziaria che il mancato pagamento dell’IVA addebitata a titolo di rivalsa dipende dall’incapienza dell’attivo fallimentare, decretata in sede di riparto.
Liquidazione coatta amministrativa
In presenza della procedura concorsuale di liquidazione coatta amministrativa il presupposto che dà diritto al creditore di emettere nota di variazione in diminuzione per recuperare l’IVA versata coincide con il decorso del termine per l’approvazione del piano di riparto.
Piano di riparto che s’intende formalmente approvato decorsi i termini indicati dalla Legge Fallimentare.
Concordato fallimentare
La procedura di concordato fallimentare è considerata infruttuosa ai fini del recupero dell’IVA versata solo con il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato.
Solo a partire da questo momento si producono, infatti, gli effetti sostanziale e processuali del concordato.
Per queste ragioni il creditore potrà emettere nota di variazione in diminuzione solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato.
Concordato preventivo
Con il concordato preventivo liquidatorio o con cessione di beni il presupposto per recuperare l’IVA versata si realizza solo quando il debitore concordatario adempie agli obblighi stabiliti in sede di concordato.
Come precisato dalla circolare n. 77/E/2000 è, infatti, solo a seguito della liquidazione che il creditore viene a conoscenza della misura in cui può essere soddisfatto il suo credito.
Le regole in questione valgono anche nel caso del concordato preventivo con continuità.
Ciò si ricava dalla risposta a interpello n. 54/E/2018, dove l’Ufficio ha ribadito ancora una volta che il creditore può emettere nota di variazione in diminuzione solo quando la procedura concorsuale diventa infruttuosa.
Nel caso specifico è stato chiarito che l’infruttuosità della procedura concordataria deve essere valutata tenendo conto “non solo al decreto di omologazione del concordato che, ai sensi dell’articolo 181, L.F. chiude il concordato, ma anche al momento in cui il debitore adempie gli obblighi assunti nel concordato stesso”.
Piani attestati di risanamento e accordi di ristrutturazione dei debiti
La possibilità di emettere una nota di variazione in diminuzione per recuperare il versamento IVA relativo ad un cliente insolvente che, a norma dell’art. 67, comma 3 della Legge Fallimentare[4], ha pubblicato un piano attestato di risanamento, ovvero, ai sensi dell’art. 182-bis della Legge Fallimentare[5] ha ottenuto l’omologa di un accordo di ristrutturazione dei debiti, decorre dalla data:
- di pubblicazione nel Registro delle Imprese del piano di risanamento;
- di omologa del decreto di ristrutturazione dei debiti.
Detto ciò si osserva, anzitutto, che diversamente dalle altre procedure concorsuali, quali fallimento, concordato, liquidazione coatta amministrativa, la nota di variazione in diminuzione emessa in presenza di un piano di risanamento attestato o di un accordo di ristrutturazione non richiede la constatazione dell’infruttuosità della procedura.
Per questa tipologia di procedure concorsuali è sufficiente, infatti, che lo “stralcio” del credito sia contenuto nel piano di risanamento pubblicato, ovvero nel decreto di omologa dell’accordo di ristrutturazione.
Sotto un profilo operativo la nota di variazione può essere emessa nel momento in cui viene rilevata la perdita su crediti ai fini delle imposte sui redditi.
Sul punto l’Agenzia delle Entrate chiarisce, infatti, che:
“…a seguito della stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis, ovvero di un piano attestato ex articolo 67, comma 3, lettera d), L.F., pubblicato nel Registro Imprese, oltre alla possibilità di dedurre le perdite su crediti ai fini della determinazione del reddito d’impresa, il fornitore/prestatore che ha emesso una fattura in relazione a operazioni successivamente falcidiate per effetto dell’omologazione, potrà ora recuperare l’Iva originariamente versata all’Erario al momento di effettuazione della fornitura/servizio anche oltre il termine dell’operazione originaria”.
Da ultimo, ma non per questo meno importante, ricordiamo che il creditore potrà emettere una nota di variazione in diminuzione solo per l’importo del credito rimasto insoddisfatto, così come risulta dal piano attestato di risanamento registrato presso il Registro delle Imprese o dall’omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti.
Procedure esecutive individuali o collettive
Come stabilito dall’art. 26, comma 2 del decreto IVA il cedente/prestatore a causa del mancato saldo di una fattura, matura il diritto ad emettere una nota di variazione in diminuzione solo in presenza di una procedura esecutiva, mossa nei confronti del cessionario/committente, rimasta infruttuosa.
A tal proposito, con risoluzione n. 195/E/2008, l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che il mancato pagamento della fattura assume rilevanza quando il creditore ha messo in atto tutte le azioni finalizzate al recupero del credito, ma non ha trovato alcuna soddisfazione.
Con la recente modifica apportata dall’art. 1, comma 126 della Legge n. 208/2015, norma che ha introdotto il nuovo comma 12 nell’art. 26 del DPR n. 633/1972, il Legislatore ha, inoltre, ben specificato quando una procedura individuale esecutiva deve essere considerata infruttuosa. In particolare, il nuovo comma stabilisce che “una procedura esecutiva individuale si considera in ogni caso infruttuosa:
- nell’ipotesi di pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare;
- in ipotesi di pignoramento di beni mobili, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti la mancanza di beni da pignorare ovvero l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore ovvero la sua irreperibilità;
- nell’ipotesi in cui, dopo che per tre volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta, si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità”.
Sulla questione della infruttuosità della procedura esecutiva individuale è intervenuta successivamente anche l’Amministrazione Finanziaria con la risposta a interpello n. 64/2018 rilevando che:
“ai fini dell’emissione delle note di variazione in diminuzione, né sono invocabili i principi contenuti nella circolare n. 26/E/2013, che definisce il concetto di antieconomicità della riscossione del credito per la diversa disciplina della deducibilità della perdita su crediti di “modesta entità” ai fini delle imposte dirette.
Tale categoria di crediti è stata, del resto, espressamente individuata dall’art. 101, TUIR”.
Pertanto, sulla base del chiarimento reso dall’Ufficio un creditore non può emettere una nota di variazione in diminuzione dell’IVA “invocando” l’antieconomicità dell’operazione. Per l’Agenzia delle Entrate il contribuente deve, infatti, essere sempre in grado di documentare di aver effettuato tutte le azioni necessarie ai fini del recupero del credito.
Si segnala, ad ogni modo, che nel caso oggetto di interpello n. 64/2018, l’Amministrazione Finanziaria ha riconosciuto la possibilità di interrompere la procedura esecutiva e di procedere all’emissione della nota di variazione per recuperare l’imposta, perché la Guardia di finanza:
“ha confermato l’inesistenza di beni mobili ed immobili aggredibili da una eventuale procedura esecutiva.
Dai fatti emerge dunque, una similitudine tra la situazione descritta e le ipotesi contemplate dall’art. 26, comma 12, lett. a) e b) del DPR n. 633/1972 sopra richiamate, laddove è previsto che l’infruttuosità della procedura sia acclarata da un organo terzo e non rimessa alle valutazioni e determinazioni del creditore.
Nel caso prospettato, infatti, la Guardia di finanza, investita dall’Avvocatura distrettuale dello Stato (organi della pubblica amministrazione), ha dato atto dell’inesistenza di beni mobili ed immobili aggredibili risultando così l’infruttuosità delle azioni di recupero astrattamente esperibili dall’istante”.
Errata applicazione regime forfetario e omessa indicazione dell’IVA in fattura: la consulenza giuridica dell’Agenzia delle Entrate n. 2/2019
Con la consulenza giuridica n. 2/2019, l’Ufficio ha fornito la sua interpretazione dell’art. 26, commi 2 e 12 del DPR n. 633/1972 ai fini della corretta individuazione del termine a partire dal quale il cedente/prestatore è legittimato ad emettere la nota di variazione in diminuzione nei confronti del cessionario/committente sottoposto ad una procedura di pignoramento.
In particolare, è stato chiarito che in caso di difficoltà o di impossibilità ad applicare le presunzioni, ex art. 26, comma 12 del decreto IVA, il creditore può emettere la nota di variazione in diminuzione quando:
- non trova soddisfacimento dalla distribuzione delle somme ricavate dalla vendita dei beni;
- l’incapienza del patrimonio del debitore assoggettato all’esecuzione è stata accertata e documentata dagli organi della procedura.
Le modalità di emissione e registrazione della nota di credito
A seguito della verifica dei presupposti di cui all’art. 26, comma 2 del DPR n. 633/1972, il creditore che vuole recuperare l’IVA non incassata può emettere una nota di variazione in diminuzione senza seguire particolari vincoli formali.
Da un punto di vista pratico è sufficiente, infatti, che la nota di variazione presenti le stesse caratteristiche della fattura oggetto di rettifica, ovvero:
- indichi le generalità dei soggetti interessati, nella specie cedente/prestatore e cessionario/committente;
- riporti la variazione della base imponibile IVA, dell’aliquota applicata, del tributo e i dati della fattura originaria;
- sia numerata e annotata nei termini di legge.
Si segnala, inoltre, l’importanza di riportare nella nota di variazione:
- gli estremi della/e fattura/e oggetto di rettifica;
- la procedura di riferimento con gli estremi che legittimano l’emissione. È il caso ad esempio della data di operatività del piano di riparto;
- l’aliquota IVA vigente al tempo della fattura originaria.
Sempre in merito alle formalità da seguire, l’Agenzia delle Entrate con il documento di prassi n. 77/E/2000 ha, infine, precisato che la variazione in diminuzione deve riguardare sia l’imponibile, che l’imposta.
Registrazione della nota di credito
Anche sotto il profilo contabile non sono previste particolari prescrizioni per registrare la nota di variazione in diminuzione.
A scelta del contribuente la nota di variazione può essere, infatti, rilevata:
- nel registro delle fatture emesse. In questo caso la registrazione comporterà una diminuzione dell’imposta a debito;
- nel registro delle fatture di acquisto. In tal caso la registrazione porterà ad un incremento dell’IVA detraibile.
***
Note
[1] Risoluzione n. 120/E/2009.
[2] Circolare n. 77/E/2000.
[3] Risoluzioni n. 195/E/2008 e n. 155/E/2001.
[4] L’art. 67, comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare prevede che: “Non sono soggetti all’azione revocatoria:
d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lett. a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore”.
[5] L’art 182-bis della Legge Fallimentare stabilisce che: “L’imprenditore in stato di crisi può domandare, depositando la documentazione di cui all’art. 161, l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d) sulla veridicità dei dati aziendali e sull’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini:
- entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data;
- entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.
L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione.
Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, né acquisire titoli di prelazione se non concordati. Si applica l’art. 168, secondo comma.
Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione in camera di consiglio con decreto motivato.
Il decreto del tribunale è reclamabile alla corte di appello ai sensi dell’art. 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.
Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma può essere richiesto dall’imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’art. 9 la documentazione di cui all’articolo 161, primo e secondo comma lett. a), b), c) e d), e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d), circa la idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare.
L’istanza di sospensione di cui al presente comma è pubblicata nel registro delle imprese e produce l’effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione.
Il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l’udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell’istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa.
Nel corso dell’udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per l’integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell’accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista a norma del primo comma. Il decreto del precedente periodo è reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile.
A seguito del deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma.
Se nel medesimo termine è depositata una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti di cui ai commi sesto e settimo”.
A cura di Gianfranco Costa e Alessandro Marcolla
Martedì 19 maggio 2020
L’intervento è tratto dalla circolare settimanale di CommercialistaTelematico
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