Le indagini bancarie sugli amministratori di condominio non possono essere estese ai conti correnti dedicati e intestati ai singoli condomìni.
Le indagini finanziarie nei confronti di un amministratore di condominio non possono essere estese ai conti correnti dedicati e intestati ai singoli condomìni per il solo fatto che egli abbia la delega ad operare sugli stessi.
Incombe all’Amministrazione finanziaria la prova, anche presuntiva, che tali conti siano stati utilizzati per occultare operazioni fiscalmente rilevanti.
E’ questo il principio di diritto che si può trarre dalla recente Ordinanza della Cassazione n. 3211 dell’11 febbraio 2020.
Indagini finanziarie su amministratore di condominio: il fatto
La controversia che occupa i giudici di Piazza Cavour, scaturisce dal ricorso in Cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una pronuncia della Commissione Tributaria della Campania, la quale aveva accolto parzialmente l’appello proposto da un’amministratrice professionale di condominio.
In particolare, i giudici campani di secondo grado avevano annullato l’avviso di accertamento emesso, ai fini IRPEF, IVA e IRAP per l’anno 2011, utilizzando le risultanze dei conti correnti bancari intestati ai singoli condomìni amministrati dalla contribuente e sui quali la stessa aveva la delega ad operare.
L’ordinanza della Cassazione ha confermato la decisione dei giudici campani ritenendola immune dai vizi sollevati dall’Agenzia delle Entrate.
Le ragioni della decisione: a chi spetta l’onere della prova
Gli Ermellini poggiano la decisione – che riguarda prevalentemente l’individuazione del soggetto su cui ricada l’onere della prova nell’ipotesi di accertamenti emessi, all’esito di indagini bancarie di cui all’art. 32 d.p.r. 600/1973 e all’art. 51 comma 2 n. 2 d.P.R. n. 633/1972, nei confronti di terzi non intestatari dei conti – sulla giurisprudenza più recente.
I precedenti citati nella pronuncia in commento, seppure relativi a fattispecie in parte differenti, sono da ricondurre a quel filone giurisprudenziale di cui è espressione anche la recente pronuncia sempre della Cassazione n. 2386 del 2019 (richiamata nell’ordinanza) nella quale si statuisce:
“in tema di a