Contrasto tra motivazione e dispositivo

E’ inammissibile il rimedio della correzione dell’errore materiale quando si rileva un insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo.
Non è, infatti, consentito individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni facenti parte della decisione, con il conseguente riconoscimento della nullità della sentenza.

Contraddittorietà tra motivazione e dispositivoContrasto tra motivazione e dispositivo: nullità della sentenza

Contrasto tra motivazione e dispositivo: spiegano i giudici palermitani che la non pertinenza della motivazione all’oggetto del giudizio dà luogo a motivazione apparente, che la parte può far valere attraverso la proposizione del ricorso per Cassazione finalizzato a determinare la nullità della sentenza (Sentenza del 26/09/2019 n. 5475/6 – Comm. Trib. Reg. per la Sicilia).

 

Ordinanza n. 26074/2018 Cassazione Civile – Sezione VI

Il contrasto tra formulazione letterale del dispositivo (di rigetto della domanda) e pronunzia adottata in motivazione (di accoglimento) integra, non un vizio incidente sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione, bensì un errore materiale, come tale emendabile con la procedura ex art. 287 cod. proc. civ. (applicabile anche al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie), e non denunciati (in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5) con ricorso per Cassazione Ordinanza n. 26074/2018 Cassazione Civile).

Il contrasto tra motivazione e dispositivo che da luogo alla nullità della sentenza si deve ritenere configurabile solo se ed in quanto esso incida sulla idoneità del provvedimento, considerato complessivamente nella totalità delle sue componenti testuali, a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale.

Una tale ipotesi non è ravvisabile nel caso in cui il detto contrasto sia chiaramente riconducibile a semplice errore materiale, il quale trova rimedio nel procedimento di correzione al di fuori del sistema delle impugnazioni – distinguendosi, quindi, sia dall’error in indicando deducibile ex art. 360 c.p.c., sia dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4.

E’ quello che si risolve in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza, e che, come tale, può essere percepito e rilevato ictu oculi, senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza.

Se c’è contrasto fra dispositivo e motivazione sul punto delle spese processuali prevale senz’altro la seconda in quanto il primo esprime in forma riassuntiva la decisione.

Ciò perché il dispositivo ha la funzione di esprimere in forma riassuntiva la decisione, il contrasto tra motivazione e dispositivo, nel quale le spese processuali di secondo grado sono integralmente compensate tra le parti, non può che essere sciolto nel senso della prevalenza della motivazione sul dispositivo.

L’ordinanza in commento è stata resa a seguito del ricorso proposto da un danneggiato in un incidente stradale avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma che presentava un contrasto tra motivazione e dispositivo in relazione al capo attinente alla spese processuali.

Il principio di diritto espresso dalla Corte nella pronuncia de quo si presenta piuttosto innovativo rispetto all’orientamento generalmente sostenuto dalla Cassazione in tema di contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza.

Invero, secondo il costante indirizzo della Suprema Corte, l’insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo determina la nullità della sentenza non essendo consentito individuare una statuizione prevalente.

Il contrasto fra motivazione e dispositivo rende nulla la sentenza, non consentendo di individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle divergenti affermazioni contenute nel pronunciamento.

Nè può farsi ricorso alla interpretazione complessiva della decisione perché tale indagine presuppone e postula una sostanziale coerenza tra le diverse parti e proposizioni di cui essa si compone, con la conseguenza che la contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza ne determina la nullità, ai sensi dell’art. 156, c. 2, c.p.c..

 

Sentenza n. 11299 del 23 maggio 2011 Cassazione

Così si esprime la Corte di Cassazione con la sentenza n. 11299 del 23 maggio 2011, richiamandosi a precedenti pronunzie (Cass. n. 3528/1997, n. 11895/1995, n. 5808/1995, n. 7671/1995, n. 2281/1992) e, comunque, (ri)affermando il principio della portata precettiva della pronunzia giurisdizionale che va individuata tenendo conto sia del dispositivo che della motivazione.

Nel contenzioso tributario, il contenuto della sentenza è disciplinato dall’art. 36 del D.Lgs. 546/1992 che ricalca sostanzialmente la corrispondente norma del codice di procedura civile (art. 132).

Oltre ad alcuni requisiti formali (deve essere pronunciata in nome del popolo italiano, contenere l’intestazione della Repubblica Italiana, essere redatta in forma scritta ed in lingua italiana anche in quelle regioni nelle quali è possibile utilizzare altre lingue negli atti pubblici e nel processo, deve contenere la composizione del collegio, delle parti e dei difensori, se vi sono), essa deve brevemente ragguagliare sullo svolgimento del processo e sulle richieste delle parti, esponendo i motivi di fatto e di diritto che hanno dato origine al contenzioso.

 

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Corte di Cassazione sezione I Civile

Sentenza 7 luglio – 10 settembre 2015, n. 17910

Si legge in sentenza:

con riferimento alle sentenze pubblicate oltre il termine di trenta giorni successivo all’entrata in vigore della legge n. 134 del 2012 (che ha convertito il DL n. 83 del 2012), ha dettato un diverso tenore della previsione processuale invocata (360 n. 5 c.p.c.) la cui interpretazione è stata così chiarita dalle SU civili (nella Sentenza n. 8053 del 2014): la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

 

A cura Luca Labano

Sabato 30 novembre 2019