Un recente orientamento giurisprudenziale minoritario esclude che il reato di indebita compensazione possa riguardare i debiti previdenziali, in quanto il titolo del decreto attiene ai debiti tributari.
Compensazione dei crediti tributari: come funziona
L’art. 17, del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, dispone che i contribuenti effettuino singoli versamenti di imposte, di contributi agli enti previdenziali, di altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni fiscali e non.
Il termine per effettuare la compensazione coincide con la data di presentazione della dichiarazione successiva.
In particolare, la compensazione dell’IVA, riveniente dalla dichiarazione annuale o dalle liquidazioni periodiche infrannuali, qualora siano di importo superiore a € 5.000 annui, può essere effettuata a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui il credito emerge.
Tipologie di crediti utilizzabili in compensazione
Inoltre, la compensazione riguarda i crediti rivenienti da (si indicano, di seguito, i più significativi):
- le imposte sui redditi, le relative addizionali e le ritenute alla fonte;
- l’IVA;
- le imposte sostitutive delle imposte sui redditi e dell’IVA;
- l’IRAP;
- l’addizionale regionale all’IRPEF;
- i contributi previdenziali, comprese le quote associative;
- i contributi previdenziali ed assistenziali dovuti dai datori di lavoro e dai committenti di prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa;
- i premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
- gli interessi previsti in caso di pagamento rateale;
- ecc.
A tal proposito, la Corte di Cassazione penale, Sez. III, con sentenza del 3 ottobre 2018, n. 43627, ha sottolineato che i crediti di Iva, che possono essere utilizzati per la compensazione, sono solo quelli che risultano dalle dichiarazioni; di conseguenza, nella fattispecie alla sua attenzione, ha rilevato che i crediti portati in compensazione sono stati ritenuti inesistenti, in quanto non riguardavano crediti IVA desumibili da dichiarazioni presentate dal contribuente (dato non contestato in tutti i gradi di giudizio, dal ricorrente).
L’indebita compensazione dei crediti tributari
Dopo aver esaminato parzialmente il predetto art. 17, del D.Lgs. n. 241/1997, si riporta l’art. 10-quater, del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, rubricato: “Indebita compensazione” (in vigore dal 22 ottobre 2015, dopo le modifiche apportate dall’art. 9, del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158), che richiama il suddetto art. 17:
“1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro.
2. E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro”.
L’anzidetto art. 9, del D.Lgs. n. 158/2015, voluto dal legislatore fiscale, ha inteso non modificare, per il reato di cui al suddetto art. 10-quater, la soglia di punibilità di € 50.000, per ciascun periodo d’imposta, che prima era stabilita attraverso il richiamo all’art. 10-bis, dello stesso D.Lgs. n.74/2000; richiamo non più attuabile a seguito dell’innalzamento della soglia di punibilità prevista per quest’ultima disposizione.
Chiarimenti di prassi
L’Agenzia delle Entrate, con Circ. del 4 agosto 2006, n. 28/E, commentando l’originaria disposizione del ridetto art. 10-quater (Indebita compensazione), ebbe a evidenziare che detta norma introduceva una nuova fattispecie delittuosa in materia di violazione degli obblighi di versamento, che punisce (tuttora) la