È sufficiente lo scostamento dal valore normale per contestare la vendita sottocosto tra società infragruppo residenti in Italia tramite transfer price?
Per quanto concerne l’incidenza del valore normale sulla valutazione di antieconomicità, lo scostamento da tale valore assume rilievo quale parametro meramente indiziario?
L’operazione che si pone fuori dai prezzi di mercato costituisce una possibile anomalia, tale da poter giustificare, in assenza di elementi contrari, l’accertamento, con conseguente onere in capo al contribuente di dimostrare che essa non sussiste?
A tali interrogativi ha dato una concreta risposta il giudice di legittimità con la recente sentenza n. 16948, depositata il 25 giugno 2019, in contrasto con quell’orientamento della stessa giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione 17955/2013), secondo cui nell’ipotesi di transfer pricing “domestico” o “interno” deve essere applicato “il principio, avente valore generale, stabilito dall’art. 9 del D.P.R. 917/1986, che non ha soltanto valore contabile e che impone, quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi".
A fondo pagina è disponibile un estratto della sentenza in commento.
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Transfer pricing: che cos'è
Con la sentenza n. 16948, depositata il 25 giugno 2019, la Corte di Cassazione precisa che l'istituto del transfer price non si applica alle operazioni compiute da parte di società entro i confini nazionali (si veda nota 1).
L’istituto del transfer price risponde all’esigenza di garantire che le operazioni infragruppo tra enti soggetti a differenti discipline nazionali avvengano nel rispetto del principio della libera concorrenza, affinché vi sia una corrispondenza tra il prezzo praticato e quello che verosimilmente verrebbe pattuito tra imprese indipendenti.
In tema di operazioni domestiche, non è applicabile l’istituto del transfer pricing quando le operazioni oggetto di contestazione si sono perfezionate tra società del medesimo gruppo, che operano all'interno del territorio dello Stato.
Le disposizioni antielusive previste in tema di transfer price (si veda nota 2) rilevano solo tra imprese italiane e imprese non residenti, tutte appartenenti allo stesso Gruppo.
Pertanto, ne è esclusa l’applicazione alle operazioni tra enti nazionali, il cui eventuale scostamento dal valore normale di mercato può rilevare solo come mero indizio ai fini della valutazione dell’antieconomicità.
Nota 1. La Corte di cassazione con sentenza n. 23551 del 20.12.2012, aveva già escluso l’utilizzabilità del criterio del valore normale ex articolo 9 Tuir per determinare i ricavi derivanti da cessioni di beni avvenute tra società del medesimo gruppo tutte aventi sede in Italia, poiché detto criterio è dettato dalla Legge «solo per le cessioni tra una società nazionale ed una estera».
Nota 2. L’articolo 110, comma 7, Tuir prevede che:
"I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito.
La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all'articolo 31-quater del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, possono essere determinate, sulla base delle migliori pratiche internazionali, le linee guida per l'applicazione del presente comma".
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