Effetti della mancata risoluzione del contratto di locazione

Affinchè la risoluzione anticipata di una locazione abbia efficacia contro l’Agenzia è necessario che l’interruzione del rapporto sia registrata. La intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del locatario, unitamente alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idonea, di per sé, ad escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef, salvo che non risulti la inequivoca volontà delle parti di attribuire alla risoluzione stessa efficacia retroattiva

Effetti della mancata risoluzione del contratto di locazioneAffinchè la risoluzione anticipata di una locazione abbia efficacia contro l’Agenzia è necessario che l’interruzione del rapporto sia registrata. La intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del locatario, unitamente alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idonea, di per sé, ad escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef, salvo che non risulti la inequivoca volontà delle parti di attribuire alla risoluzione stessa efficacia retroattiva.

La Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza n. 1575/5/18 del 17.09.2018, ha chiarito quali sono gli effetti fiscali in caso di mancata risoluzione del contratto di locazione.

IL CASO

Nel caso di specie, la contribuente presentava ricorso avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato, ai sensi dell’art. 41 bis del Dpr n. 600/73, il reddito imponibile dichiarato per l’anno 2008, avendo verificato l’esistenza di redditi da fabbricati non dichiarati, in relazione a tre contratti di locazione registrati presso la stessa Agenzia.

La ricorrente chiedeva di rettificare l’accertamento, riducendo il maggior reddito, in quanto uno dei contratti era terminato il 31/12/2006, a seguito del recesso della locataria comunicato con lettera raccomandata del 20/6/2006, come anche dimostrato dal fatto che la società, a cui l’immobile era astato affittato, nella propria dichiarazione annuale dei redditi non aveva poi portato in detrazione il canone di affitto di cui trattavasi.

La stessa contribuente aveva poi pagato con F23, in data 31/05/2010, € 67,00, indicando però come anno di riferimento del contratto il 2010, anziché il 2006, e senza versamento delle sanzioni previste per il ravvedimento operoso.

La Commissione Tributaria Provinciale, esaminata la documentazione prodotta dalle parti, e rilevato che la comunicazione della risoluzione del contratto era avvenuta solo il 31/5/2010, riteneva che l’assenza della prova certa della risoluzione del contratto di locazione, in conformità a quanto disposto dagli artt. 17 e 18 DPR 131/86, non consentisse di accogliere il ricorso.

La contribuente impugnava quindi la sentenza, ribadendo quanto già sostenuto in primo grado.

L’Amministrazione finanziaria, per conto suo, chiedeva la conferma della pretesa, evidenziando ancora come la comunicazione della risoluzione del contratto fosse avvenuta, tardivamente, solo il 31/5/2010, con l’apposito modello F23, laddove comunque il recesso, spedito a mezzo raccomandata, non consentiva di determinare la data certa di risoluzione del contratto di locazione, che poteva essere provata solo con il pagamento dell’imposta fissa di registro, da effettuarsi entro 30 giorni dalla risoluzione, ai sensi degli artt. 17 e 18 del DPR nr. 131/86.

L’Agenzia delle Entrate ribadiva inoltre che l’art. 26 TUIR fissa il principio per cui i redditi fondiari concorrono alla formazione del reddito indipendentemente dalla loro effettiva percezione, mentre la ricorrente ne aveva invece omessa la dichiarazione.

Secondo la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, l’appello del contribuente era infondato.

Evidenziano infatti i giudici di secondo grado che, quando un contratto si risolve anticipatamente rispetto alla sua naturale scadenza, la risoluzione è soggetta ad imposta fissa di registro, che, ex lege, deve essere liquidata dalle parti contraenti ed assolta entro 30 giorni dal verificarsi dell’evento.

Il pagamento con mod. F23 per la risoluzione anticipata, datato 31.05.2010, era dunque sicuramente tardivo e l’operato dell’Ufficio si rivelava del tutto legittimo, in quanto la ricorrente non aveva osservato quanto previsto dall’art. 26 del DPR 917/86, omettendo di adempiere gli obblighi dichiarativi cui era tenuto.

Conclude dunque la CTR, richiamando anche sentenze della Cassazione, che la intervenuta risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del locatario, unitamente alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idonea, di per sé, ad escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 23 (cfr., Cass. n. 12095/2007), salvo che non risulti la inequivoca volontà delle parti di attribuire alla risoluzione stessa efficacia retroattiva (cfr., Cass. n. 24444/2005).

Dovevano, pertanto, essere dichiarati, per competenza, i canoni di locazione annui risultanti dal contratto di locazione accertato.

Effetti della mancata risoluzione del contratto di locazioneE questo anche considerato che l’Agenzia delle Entrate, dapprima con la C.M. n. 150/E/1999 e poi con la C.M. n. 101/E/2000, nel commentare le modifiche all’ art. 27 (ora 26) del D.P.R. n. 917/1986, ad opera della L. n. 413/1998, ha confermato tale principio, affermando che “per gli immobili locali per uso diverso da quello abitativo, nonché in assenza di un procedimento giurisdizionale concluso, il canone di locazione va comunque sempre dichiarato così come risultante dal contratto di locazione, ancorché non percepito, rilevando in tal caso il momento formativo del reddito e non quello percettivo”.

In analoghi termini la CTR ricorda che si è poi espressa anche la Corte di Cassazione, con la sentenza 18.01.2012 n. 651 e la CTR del Piemonte, con la sentenza 08.07.2010 n. 53/5/10, la quale, in particolare, afferma che “quanto previsto per i redditi da locazione ad uso abitativo non può tuttavia estendersi alla mancata percezione di canoni relativi a locazione commerciale, trattandosi di norma eccezionale, e come tale, non suscettibile di applicazione analogica”.

La stessa interpretazione era stata infine fornita anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza 26.07.2000 n. 362, stabilendo che:

  • i canoni di locazione sono tassati, a prescindere dalla loro percezione, fino a quando risulta vigente un contratto di locazione e quindi risulta tecnicamente dovuto un canone locativo;
  • si potrà evitare la tassazione, quando la locazione è cessata oppure si è verificata una qualsiasi causa di risoluzione contrattuale (per inadempimento, per specifica clausola risolutiva espressa), con dichiarazione da parte del proprietario di avvalersene, provocando lo scioglimento delle reciproche obbligazioni e l’insorgenza del diritto alla restituzione dell’immobile.

CONCLUSIONI

Dunque, affinchè la risoluzione anticipata di una locazione abbia efficacia contro l’Agenzia, è necessario che l’interruzione del rapporto venga registrata e provata.

Nei casi, poi, in cui la risoluzione per inadempimento sia contemplata da una clausola risolutiva contrattuale ed operi quindi di diritto, al verificarsi dell’inadempimento, la parte non inadempiente deve comunque dichiarare di volersi avvalere della clausola, avendo l’interessato l’onere di manifestare alla controparte inadempiente, con atto stragiudiziale negoziale recettizio avente la stessa forma del contratto risolto, la propria volontà di avvalersi della risoluzione.

E, anche in tali ipotesi, in ogni caso, la risoluzione deve essere registrata.

L’art. 17 T.U.R., del resto, assoggetta ad imposta tutte le risoluzioni anticipate dei contratti di locazione, a prescindere dalla causa che le abbia determinate, non rilevando, ad esempio, neppure che nei procedimenti di convalida di sfratto non si configura l’obbligo di registrazione del relativo atto giudiziario.

Quanto ai redditi, l’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 917/1986, dispone che «i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore. Per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare».

Quanto a questo ultimo aspetto si evidenzia infine che il locatore che concede in locazione un immobile strumentale (opifici – D/1, uffici – A/10, ecc.) non gode del medesimo regime di “favore”, dovendo versare le imposte sui canoni non riscossi anche se il procedimento di convalida di sfratto si è concluso e non potendole poi recuperare. Per tali tipi di locazioni persiste quindi un principio di tassazione penalizzante.

Vero è che la sentenza che pronuncia la risoluzione, retrodata l’efficacia della risoluzione al momento dell’accertato inadempimento, ma il locatore, che nel frattempo è stato costretto a dichiarare il canone come da contratto, non ha poi (a differenza che per le locazioni ad uso abitativo) alcun efficace strumento per recuperare le imposte pagate.

Giovambattista Palumbo

15 marzo 2019