Secondo le recenti sentenze di merito il contribuente ha sempre la possibilità di proporre un ricorso contro l’ente di riscossione nel caso di accettazione del piano di rateizzo perchè non implica accettazione del debito ma mera adesione al pagamento delle rate. Tuttavia, la corte di Cassazione ha mutato orientamento ultimamente sostenendo che il pagamento delle stesse implica accettazione implicita ed esplicita del debito stesso
Secondo le recenti sentenze di merito il contribuente ha sempre la possibilità di proporre un ricorso contro l’ente di riscossione nel caso di accettazione del piano di rateizzo perchè non implica accettazione del debito ma mera adesione al pagamento delle rate. Tuttavia, la corte di Cassazione ha mutato orientamento ultimamente sostenendo che il pagamento delle stesse implica accettazione implicita ed esplicita del debito stesso.
La giurisprudenza di merito e legittimità ha negli ultimi anni affrontato la questione dibattuta tra ammissibilità del ricorso, riconoscimento del debito e piani di rateizzo spostando l’orientamento verso un’interpretazione dell’art. 1988 a favore del contribuente in quanto esso deve essere interpretato richiedendo un quid pluris consistente nella manifestazione espressa ed univoca dell’intenzione da parte del dichiarante di riconoscere il diritto altrui.
Il problema riguarda la volontà del debitore di aderire al piano di pagamento previsto dall’agente di riscossione e l’inoltro del ricorso oltre alla possibilità di interrompere i pagamenti a seguito di azioni di recupero quali notifiche di cartelle, intimazioni di pagamento, diffide ed espropriazioni future o prevedibili.
In principio la Corte di Cassazione e le commissioni tributarie concordavano sul fatto che il pagamento delle rate o l’accettazione del piano fosse accettazione implicita ed esplicita del riconoscimento del debito e quindi non si potesse accettare la tesi contraria (art. 2944 c.c. – Cass. 6651/2003; Cass. 19253/2004).
La corte di legittimità con sentenza n. 23822/2010 sentenziò che per riconoscimento del debito deve intendersi:
a) una dichiarazione unilaterale recettizia con la quale il dichiarante si riconosce debitore di un altro soggetto;
b) un comportamento diverso il quale si manifesti, in maniera inequivoca la medesima dichiarazione di riconoscimento. In qesst’ultimo caso, ai fini del riconoscimento deve potersi escludere che la dichiarazione e/o il comportamento possano essere diretti ai fini diversi dalla volontà di riconoscere il debito (Cass, sez, trib, n. 3347 del 08/02/2017).
Nel tempo la posizione della Cassazione è mutata radicalmente sostenendo in diverse sentenze che la sola accettazione ed anche il pagamento delle rate, seguito dalla sospensione del pagamento di quelle residue, non fosse causa di inammissibilità e nullità del ricorso perchè non sufficiente a considerare la volontà del contribuente come implicita accettazione della pretesa tributaria.
Inoltre, il pagamento delle rate iniziali nel timore di future azioni di recupero coattivo da parte dell’agente di riscossione è ammesso dalla giurisprudenza perchè non comporta mala fede da parte del soggetto passivo del debito e quindi il giudice di merito deve verificare caso per caso questo elemento.
Secondo la CTR Campania che ha emesso la sentenza n. 5406 del 25/05/2018 in linea con quella della corte di legittimità l’adesione al piano di rateizzo, pur non essendo incompatibile con il timore di futuri gravami sul patrimonio del contribuente, implica che il pagamento dell’ultima rata interrompe i termini di decadenza.
In contrasto con la sentenza precedente, la Cassazione con la recente Ordinanza n. 7820 del 27/03/2017, ha infatti confermato il proprio orientamento (si veda Cass. n. 4324/2010) con il quale ha deciso che il pagamento parziale della dilazione concessa dall’Agente della riscossione non è idoneo ad interrompere il corso della prescrizione dell’obbligazione tributaria.
Il riconoscimento del diritto non deve necessariamente concretarsi in uno strumento negoziale, cioè in una dichiarazione di volontà consapevolmente diretta all’intento pratico di riconoscere il credito, e può, quindi, anche essere tacito e concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore.
Pertanto, il pagamento parziale, ove non accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione «in acconto», non può valere come riconoscimento, rimanendo comunque rimessa al giudice di merito la relativa valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Sentenza n. 14927 del 2010; Ordinanza n. 24555 del 2017).
Per la Suprema Corte la dilazione non è un riconoscimento del debito con il Fisco (anche se valutato come tacito comportamento), perché non vi è la chiara volontà del debitore (il contribuente) di corrispondere solo alcune rate del piano di dilazione come pagamento parziale del dovuto.
Pertanto, solamente il totale pagamento della dilazione conclusa con il fisco interromperà la prescrizione del credito tributario (decadenza del servizio di riscossione dall’azione di recupero delle imposte) (art. 2946 se decennale; art. 2953 se quinquennale).
Negli ultimi anni tuttavia diverse sentenze di alcune commissioni tributarie in contrasto con quelle precedenti hanno mutato orientamento della giurisprudenza di merito a favore del contribuente.
La Ctp di Calttanissetta 1072/1/2014: non si forma alcuna acquiescenza se il debitore accetta il piano di rateizzo e provvede al pagamento delle prime o delle rate successive quindi il ricorso è ammissibile in quanto l’atto emesso dal servizio di riscossione è viziato da inesistenza.
La ctp di Catania sentenza 652/14/16 del 17/02/2016 ha deciso che l’impegno a pagare le rate previste dal piano di rateizzo non è riconoscimento della pretesa tributaria quindi l’atto dell’agente di riscossione basato su tale assunto non implica inammissibilità ma anzi il contribuente può sempre inoltrare ricorso perchè non si forma acquiescenza.
La ctp di Varese in linea con le sentenze emesse dalle commissioni su indicate ha deciso che il pagamento delle rate del piano di rateizzo non è un atto impositivo né motivo di inammissibilità del ricorso e, anzi, il dies a quo da cui decorre la prescrizione dei tributi non si riferisce ai suddetti pagamenti perchè comunque costituiscono mera adesione al piano dell’agente di riscossione e non accettazione dello stesso quindi esso deve riferirsi alla data di notifica della cartella.
Questa è fondamentale per valutare se il ricorso è inammissibile. Infatti, secondo alcuni la data di decorrenza dell’azione di accertamento del servizio di riscossione è l’unico elemento da considerare mentre altri ritengono che essa debba far riferimento al pagamento delle rate, in particolare dalla prima, e quindi il ricorso non può essere ammesso in quanto presentato oltre i termini di legge.
Secondo altri il ricorso proposto dopo l’accettazione del piano di rateizzo implica nullità dell’atto rinnovabile se il termine di decadenza si fa decorrere dal pagamento della prima rata o delle successive in quanto il dies a quo fa riferimento alla data di notifica della cartella.
Quindi, a nostro modo di vedere l’interesse del debitore a tutelarsi tramite l’inoltro del ricorso consiste nella valutazione di non accettare una situazione che vede il piano di pagamento dell’agente di riscossione non come riconoscimento del debito tributario ma come possibilità di evitare futuri gravami sul suo patrimonio anche se il pagamento delle rate a cominciare dalla prima, deve essere interpretato a tutela del creditore.
Luca Labano
20 dicembre 2018