Accanto all’ottica tradizionale dell’analisi del bilancio, che guarda allo stato del patrimonio e al confronto tra ricavi e costi, privilegiando la valutazione economico-contabile, vi sono altre letture che concentrano la propria attenzione su aspetti complementari a quelli classici della rendicontazione aziendale, adeguando buona parte della normativa nazionale alla prassi internazionale. L’azienda e la sua gestione possono essere visti infatti sotto diversi punti di vista (finanziari, sociali, ambientali ecc.), in relazione alle finalità proprie di differenti interessi. Si è consolidata la tendenza ad analizzare i risultati di bilancio non solo in termini statici ed economici, ma anche cercando di cogliere i risvolti finanziari che, in termini dinamici, derivano da tali risultati economici. A cura di Augusto Santori
Accanto all’ottica tradizionale dell’analisi del bilancio, che guarda allo stato del patrimonio e al confronto tra ricavi e costi, privilegiando la valutazione economico-contabile, vi sono altre letture che concentrano la propria attenzione su aspetti complementari a quelli classici della rendicontazione aziendale, ottica che il D. Lgs. 139/2015 ha sviluppato ampiamente, adeguando buona parte della normativa nazionale alla prassi internazionale.
L’azienda e la sua gestione possono essere visti infatti sotto diversi punti di vista (finanziari, sociali, ambientali ecc.), in relazione alle finalità proprie di differenti interessi.
Negli ultimi decenni si è, in particolare, consolidata la tendenza ad analizzare i risultati di bilancio non solo in termini statici ed economici (quindi con l’analisi consuntiva dei margini e dei ratios già illustrata nei capitoli precedenti), ma anche cercando di cogliere i risvolti finanziari che, in termini dinamici, derivano da tali risultati economici.
L’analisi finalizzata alla redazione del rendiconto finanziario sottolinea più da vicino le conseguenze finanziarie dei risultati economici, che si manifestano come variazioni (flussi) delle condizioni patrimoniali e finanziarie dell’impresa, rispetto al preesistente stato (stock) delle partite di un bilancio aziendale che identificano la struttura patrimoniale dell’impresa ovvero un sistema di impieghi (attività) e di fonti finanziarie (passività).
Nel sistema di misurazione contabile dei risultati economici esistono dunque costi che non danno luogo a immediati effetti monetari (per esempio gli ammortamenti o gli accantonamenti), così come alcuni tipi di entrate o di uscite di cassa (per esempio accensione o rimborso dei mutui, ovvero aumenti di capitale o distribuzione di dividendi) non hanno alcuna corrispondenza nei ricavi, o nei costi, che determinano il risultato d’esercizio dell’impresa.
E’ allora evidente il grado di potenza informativa, anche in termini di innovazione (ma non solo!), che il nuovo dispositivo normativo ha sprigionato nell’aver reso obbligatoria la redazione di un rendiconto finanziario.
Tale analisi finanziaria risponde, tra l’altro, in linea generale alle seguenti domande:
- quali siano i flussi finanziari positivi, o negativi, che ha generato, o genererà, la gestione operativa e/o finanziaria;
- quale sia il fabbisogno finanziario assorbito dalle azioni e decisioni gestionali;
- quali siano state, o saranno, le fonti per finanziare tale fabbisogno.
I flussi finanziari sono governati da principi di rilevazione ovviamente diversi da quelli che sottendono al flusso economico. A una misurazione basata sul principio della competenza economica, per la quale è rilevante il momento della transazione economica (acquisto o vendita), si sostituisce la competenza finanziaria (l’accensione del credito o del debito per i flussi finanziari), dove è rilevante il momento della effettiva e concreta movimentazione delle risorse monetarie (l’incasso o il pagamento per i flussi monetari).
Si tratta pertanto di diverse letture di uno stesso complesso fenomeno, l’attività aziendale, che può essere vista sia dal punto di vista produttivo, sia da quello economico, oppure da quello finanziario e monetario: l’importante è essere consapevoli che, nella maggior parte dei casi, i predetti cicli e i loro momenti determinanti sono coerenti e integrati tra loro, almeno nel lungo termine, ma si differenziano nel breve periodo, soltanto perché non coincidono nei momenti delle loro manifestazioni.
Le valutazioni di lungo termine infatti e, in particolare, quelle che ricercano un giudizio di convenienza degli investimenti, sono ineluttabilmente costrette a misurare il manifestarsi degli eventi che ne conseguono, riferendoli ai momenti nei quali si realizzeranno concretamente nel futuro, e quindi considerano le evidenze finanziarie e monetarie databili nel tempo, in modo diverso dalle evidenze contabili (a volte soltanto convenzionali) registrate in omaggio al principio della competenza economico-contabile.
Se da molti, dunque, l’ottica finanziaria era considerata come la misurazione delle esigenze di “breveperiodismo” di manager e mercati, una riflessione più completa difficilmente può suggerirci la stessa conclusione.
Nel lungo termine, infatti, non è importante il confronto tra ricavi e costi, accertabile in una data frazione del tempo, bensì il loro conseguente divenire tra entrate e uscite, ovvero il flusso finanziario, che è l’unica nozione che permette di giudicare della validità di un progetto di investimento, misurando correttamente il rapporto che corre tra il capitale investito e il suo ritorno finanziario, nel lungo termine appunto.
Nel contesto competitivo attuale, infatti, l’assetto finanziario e i flussi monetari della gestione acquistano peso più rilevante, proprio perché management e investitori sono premiati e concentrati sulla valutazione finanziaria dei flussi di medio-lungo termine, dei quali si apprezza la maggiore “oggettività” rispetto all’analisi economico-reddituale, condizionata dalle valutazioni e dalle convenzioni contabili necessarie, ma in certi casi opinabili, in sede di rilevazione dei fatti consuntivi rilevanti per la redazione del bilancio d’esercizio.
Appare chiaro dunque che l’azienda, nel suo sviluppo, debba trovare risorse finanziarie (capitale di rischio e di indebitamento) sufficienti per permetterle di avviare i predetti cicli in condizioni di equilibrio dinamico, in modo che possano, a loro volta, generare risorse tali da permettere l’espansione dell’attività, nonché la remunerazione degli apporti finanziari che ne hanno permesso lo sviluppo.
Per trarre da dette movimentazioni significative informazioni finanziarie, si è soliti presentare un documento, noto con il nome di rendiconto finanziario, che può assumere diverse strutture logiche e forme, con complementari finalità.
Il rendiconto finanziario esplicita come e quanto in un dato intervallo temporale (l’esercizio) siano variati gli impieghi di una azienda e come questa li abbia sostenuti con risorse finanziarie autoprodotte (l’autofinanziamento), ovvero ottenute dall’esterno (nuovo capitale di rischio e/o indebitamento), collegando i due stati patrimoniali emergenti all’inizio e alla fine dell’esercizio e fornendo fondamentali informazioni che integrano quelle offerte dal conto economico in relazione allo stesso periodo.
Al conto economico, che testimonia dell’esistenza di un utile o di una perdita, allora si associa, con il rendiconto finanziario, la possibilità di misurare quanto è avvenuto in termini di flussi finanziari, sia offerti o richiesti dai risultati della gestione, sia assorbiti od offerti dai movimenti del capitale circolante netto, dagli investimenti, nonché dalle operazioni di finanziamento esterno, al fine di conoscere quanto conseguentemente migliorato, o peggiorato, in termini di liquidità.
Il rendiconto finanziario è risultato nel tempo giustificato anche dalle prescrizioni della nota integrativa, sebbene la sua mancata presentazione non veniva considerata, in via generale, violazione del principio della rappresentazione veritiera e corretta del bilancio; tale mancanza, tuttavia, in considerazione della rilevanza delle informazioni di carattere finanziario fornite e della sua diffusione, sia su base nazionale che internazionale, era limitata soltanto alle aziende amministrative meno dotate delle necessarie capacità elaborative a causa delle loro piccole dimensioni
Tale prospetto dunque ha il compito di fornire elementi conoscitivi di natura finanziaria non ottenibili dallo stato patrimoniale che, nella sua diretta contrapposizione delle evidenze contabili di due anni successivi, non mostra chiaramente le variazioni avvenute nelle risorse finanziarie e patrimoniali e, meno che mai, le cause che hanno determinato tali variazioni. Le risorse finanziarie generate, o consumate, dalla gestione costituiscono infatti l’anello di congiunzione tra conto economico e stato patrimoniale, proprio attraverso le variazioni subite dalla situazione patrimoniale-finanziaria per effetto delle attività dell’esercizio.
Riassumendo dunque, il rendiconto finanziario è lo strumento d’informazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell’impresa che, nella sua funzione generale, dovrebbe esporre la misura delle risorse finanziarie generate o assorbite, per effetto dei risultati della gestione, e le variazioni avvenute nella liquidità, ovvero degli altri indicatori della situazione patrimoniale-finanziaria oggetto di analisi.
Come accennato, l’art. 2425-ter specifica forma e contenuto del rendiconto finanziario, a dire il vero non proponendo uno schema specifico caratterizzato dalla rigidità propria degli schemi legali di Stato Patrimoniale e Conto Economico, proponendo uno schema da cui risultino:
- l’ammontare e la composizione delle disponibilità liquide, all’inizio e alla fine dell’esercizio;
- i flussi finanziari derivanti dall’attività operativa;
- quelli derivanti dall’attività di investimento;
- quelli derivanti dall’attività di finanziamento, ivi comprese, con autonoma indicazione, le operazioni con i soci.
Il dettame normativo chiede dunque non solo di specificare l’ammontare ma anche la composizione delle disponibilità liquide. Trattando espressamente di disponibilità liquide, esclude ogni altra nozione di risorsa finanziaria utile all’analisi, sia questa di capitale circolante o di posizione finanziaria netta, nozioni a dire il vero assai care soprattutto alla scuola italiana per l’innegabile contributo informativo che nel tempo sono state in grado di fornire agli analisti.
Permane certo il dubbio in merito agli aspetti definitori, con particolare riferimento all’attività operativa, che nell’ambito della trattazione domestica si tende invece a identificare con il più vasto concetto di gestione reddituale, più genericamente definita come l’insieme delle
“operazioni connesse all’acquisizione, produzione e distribuzione di beni e alla fornitura di servizi, nonché le altre operazioni non ricomprese nell’attività di investimento e di finanziamento”.
Come noto, due sono le modalità di redazione di un rendiconto finanziario: con il metodo diretto o con il metodo indiretto.
Il metodo indiretto consiste nella rettifica dell’utile (o della perdita) dell’esercizio quale saldo del conto economico, attraverso la considerazione degli elementi non monetari e delle variazioni del capitale circolante netto registrati nell’esercizio, mentre il metodo diretto è redatto attraverso la contrapposizione delle entrate e delle uscite monetarie che derivano dalla gestione caratteristica, richiedendo però uno sforzo informativo e organizzativo non trascurabile sul sistema azienda, a causa della necessità di discernere i movimenti di cassa tra l’attività corrente, di finanziamento e di investimento.
Per le suddette ragioni, in un quadro dove la dottrina internazionale e nostrana hanno certamente avuto modo di sviluppare nel tempo studi e proposte di ampio respiro e indubitabile valore, seppur attraverso l’emanazione di principi contabili non perfettamente sovrapponibili, e nella considerazione di un contesto che soffre ovviamente l’innovatività di una norma da poco emanata, apparirà dunque utile verificare ulteriormente quanto previsto dalla prassi internazionale, al quale è d’obbligo rimandare.
I principi contabili internazionali assumono come grandezza di riferimento la liquidità, e di fatto hanno ispirato l’abbandono della nozione di capitale circolante netto, cui la nostra prassi è risultata storicamente legata.
Lo Ias 7 ha tra le sue finalità quella di far sì che
“l’informazione sui flussi finanziari di un’impresa è utile per gli utilizzatori del bilancio per accertare la capacità dell’impresa a produrre disponibilità liquide e mezzi equivalenti e per determinare la necessità del loro impiego.
Le decisioni economiche da parte degli utilizzatori del bilancio richiedono una valutazione della capacità di un’impresa a produrre disponibilità liquide o equivalenti e la tempistica e il grado di certezza della loro generazione.
La finalità del presente Principio è quella di richiedere informazioni sulle variazioni nel tempo delle disponibilità liquide e dei mezzi equivalenti di un’impresa attraverso la predisposizione di un rendiconto finanziario che classifichi i flussi finanziari derivanti dall’attività operativa, di investimento e finanziaria durante l’esercizio”.
Quanto previsto dal nuovo Codice Civile dunque tende ad avvicinarsi nella sua struttura alla prassi internazionale, da cui ha evidentemente preso ispirazione, per quel che concerne la forma e i contenuti del rendiconto che
“deve presentare i flussi finanziari di ogni esercizio classificandoli tra attività operativa, di investimento e di finanziamento”.
Tale scomposizione, evidentemente ratio anche del recente dettame normativo, ha dunque la funzione di rendere il prospetto estremamente trasparente ed esplicativo, coerente nel costituire uno strumento utile a completare e ampliare l’informativa che gli altri prospetti di bilancio da soli non sono in grado di fornire. A dire il vero, similare schema di rendiconto, noto nella letteratura internazionale come “cash flow statement”, era stato già presentato nel Doc. 12/1994 (Cndcr).
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Il presente contributo è un estratto del testo “ANALISI DI BILANCIO. Manuale pratico e software“, Maggioli Editore, 2017
Augusto Santori