Omessa dichiarazione Irpef da parte di contribuente nato e residente in Svizzera

Si esamina il caso di un contribuente nato e residente in Svizzera ma il cui centro degli interessi economici sia in Italia: ai fini fiscali l’omessa dichiarazione IRPEF configura un reato tributario

Software per compilare il quadro rw nel 2018La Cassazione ha affermato che, ai fini delle imposte sui redditi, l’art. 2 T.U.I.R., secondo il quale soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche sia residenti (nei confronti delle quali l’imposta si applica a tutti redditi posseduti) che non residenti nel territorio dello Stato (obbligati per i soli redditi prodotti nello Stato), considera residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile, mentre sono definiti “non residenti” coloro che non sono iscritti nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni (184 per gli anni bisestili) e, ai sensi del codice civile, non hanno nel territorio dello Stato italiano nè il domicilio (sede principale di affari e interessi) nè la residenza (dimora abituale), con l’espressa precisazione che se manca anche uno soltanto dei suddetti requisiti, il contribuente viene automaticamente considerato residente.

*******

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONE PENALE – SENTENZA N. 13114 DEL 21/03/2018.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza in data 27.7.2017 il Tribunale di Ferrara, adito in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo per l’importo di Euro 2.230.776 disposto nei confronti di S.W. per l’importo di Euro 2.230.776 pari all’importo contestatogli come imposta IRPEF evasa per gli anni di imposta dal 2011 al 2013 con la conseguente formulazione dell’ipotesi accusatoria D.Lgs. 74/2000, ex art. 5, ritenendo che l’indagine eseguita dalla GdF nei suoi confronti evidenziasse una serie di elementi evidenzianti che il centro principale dei suoi interessi così come il fulcro della sua attività lavorativa fosse in Italia, malgrado la residenza anagrafica in Svizzera, e che pertanto dovesse essere soggetto all’imposizione tributaria nazionale.

Avverso la suddetta ordinanza l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando due motivi.

Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge, che l’art. 4 della Convenzione tra la Svizzera e l’Italia dispone che il paese titolare della pretesa impositiva è quello in cui il contribuente ha la sua residenza che nella specie è la Svizzera così come risultante dai documenti prodotti, costituiti non già da semplici certificazione anagrafiche, bensì da attestazioni rilasciate dall’autorità fiscale cantonale elvetica, su richiesta delle imprese italiane incaricate dell’esecuzione materiale delle opere dello stilista, con le quali si dichiara che l’indagato è residente a Ginevra agli effetti della Convenzione bilaterale con l’Italia al fine di evitare la doppia imposizione: per effetto delle suddette attestazioni le provvigioni corrisposte al ricorrente dalle imprese non contemplavano, in conformità al regime fiscale svizzero, nè IVA nè ritenuta di acconto.

In ogni a caso anche a voler disattendere le risultanze documentali, non sussistono riscontri sufficienti a fondare la presunzione che lo S. abbia in Italia il proprio domicilio, inteso come centro principale degli affari e degli interessi di un soggetto, tenuto conto che:

  1. il numero degli immobili di cui costui è titolare in Italia, corrisponde a quelli di cui è proprietario in Svizzera, a Parigi e a New York;
  2. le società di distribuzione dei suoi prodotti hanno sede a Ginevra e a Parigi;
  3. i suoi figli non sono residenti in Italia;
  4. egli non è residente in Italia nulla essendo stato dimostrato in ordine alla sua dimora abituale in Italia, sussistente invece in Svizzera, dove si concentrano i suoi interessi economici e la sua vita affettiva.

Conseguentemente egli può essere assoggettato alla sola imposizione fiscale elvetica, conclusione che non muterebbe applicando il secondo comma dell’art. 4 della Convenzione secondo cui se la persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati, ovvero non soggiorna in alcuno di essi, è considerata residente dello Stato del quale ha la nazionalità.

Con il secondo motivo censura il mancato vaglio degli elementi addotti dalla difesa con particolare riferimento ai documenti allegati alla dichiarazione di riesame, indebitamente qualificati come certificazioni anagrafiche, sostenendo che la motivazione del provvedimento, sviluppata soltanto in mezza pagina senza dar conto delle ragioni afferenti ai presupposti della misura cautelare, sia soltanto apparente, tanto più che nulla era stato dedotto in ordine alle attestazioni dell’autorità fiscale cantonale, che sarebbero state necessariamente revocate se il ricorrente non avesse devoluto il suo gettito all’Erario svizzero.

Considerato in diritto

  1. Ai fini delle imposte sui redditi, l’art. 2 T.U.I.R., secondo il quale soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche sia residenti (nei confronti delle quali l’imposta si applica a tutti redditi posseduti) che non residenti nel territorio dello Stato (obbligati per i soli redditi prodotti nello Stato), considera residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile, mentre sono definiti “non residenti” coloro che non sono iscritti nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni (184 per gli anni bisestili) e, ai sensi del codice civile, non hanno nel territorio dello Stato italiano nè il domicilio (sede principale di affari e interessi) nè la residenza (dimora abituale), con l’espressa precisazione che se manca anche uno soltanto dei suddetti requisiti, il contribuente viene automaticamente considerato residente.

    Sono pertanto tre i presupposti indicati in via alternativa ai fini dell’assoggettabilità all’imposta in esame, aggiungendosi al criterio formale, rappresentato dall’iscrizione nell’anagrafe, due criteri fattuali costituiti dalla residenza o dal domicilio nel territorio dello Stato: ne consegue che l’iscrizione nell’anagrafe dei soggetti residenti in altro Stato non è elemento determinante per escluderne la residenza fiscale in Italia allorchè si tratti di soggetto che abbia nel territorio dello Stato la sua dimora abituale ovvero il proprio domicilio, inteso come sede principale dei propri affari ed interessi economici, così come delle proprie relazioni personali, dovendo il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell’interessato essere a tal fine contemperato con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi (Cass. Civ., Sez.5, n.14434 del 25.6.2010, Rv. 61366801).

Nè a diversa conclusione conduce la Convenzione tra l’Italia e la Svizzera del 1976 ratificata con L. 23 dicembre 1978, n. 943 al fine di ad evitare la doppia imposizione tra i due Stati, la quale, avendo la funzione, al pari di tutte le convenzioni bilaterali in materia, di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali onde evitare che i contribuenti subiscano un maggior carico fiscale sui redditi percepiti nell’altro Stato che verrebbero perciò assoggettati ad un duplice prelievo, non muta il concetto di residenza sul quale si fonda l’obbligo fiscale avente ad oggetto i redditi prodotti dalla persona fisica o giuridica.

Invero l’art. 4 dell’accordo, ai fini della definizione di un soggetto come residente in uno dei due Stati contraenti, individua criteri del tutto analoghi a quelli stabiliti dalla legislazione interna facendo riferimento alle nozioni di domicilio, residenza ovvero a criteri di analoga natura per la cui definizione rimanda espressamente alla normativa degli Stati contraenti e comunque prevede espressamente l’ipotesi, in tal modo dando implicitamente conto della possibile inconsistenza del dato anagrafico, in cui lo stesso soggetto possa essere considerato residente da entrambi gli Stati indicando i criteri per la soluzione del conflitto.

Ciò premesso, la ordinanza impugnata ha ritenuto, sia pure limitatamente alla valutazione del fumus commissi delicti, che il signor S. dovesse ritenersi residente in Italia sulla base del dato fattuale, rimasto incontestato essendosi sul punto il ricorrente limitato ad opporre la propria residenza anagrafica in Svizzera, che egli dimori stabilmente, in conformità alla nozione civilistica di residenza, in Italia e segnatamente nella città di Ferrara, ed ha elencato una pluralità di elementi dai quali desumere che in Italia fosse anche il suo domicilio atteso che a Ferrara vi è il suo studio di design, che in Italia è titolare di plurimi conti correnti in proprio o tramite le società nelle quali è cointeressato, utilizza frequentemente in territorio italiano le carte di credito e altrettanto frequentemente percorre la rete autostradale italiana.

Anche tali dati fattuali, tra loro convergenti e puntualmente indicati dai giudici di merito in conformità ai requisiti previsti dal dpr 917/1986, art. 2, e art. 43 cod. civ., sono rimasti incontestati, avendo invece il ricorrente incentrato la propria difesa sulle risultanze di taluni documenti, peraltro non prodotti in questa sede in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, rilasciati dall’Autorità Fiscale Cantonale elvetica attestanti la sua residenza a Ginevra agli effetti della citata Convenzione italo-svizzera: siffatti attestati sono tuttavia privi di rilevanza, non emergendo da essi l’avvenuto pagamento delle imposte in Svizzera relativamente allo stesso reddito su cui si fonda la contestazione di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per gli anni di imposta 2010-2013 configurante il reato di cui al D.Lgs. 74/2000, art. 5, pagamento il quale soltanto avrebbe consentito di ritenere fondata l’eccepita violazione del divieto di doppia imposizione.

L’ordinanza impugnata deve pertanto ritenersi in relazione alle doglianze svolte insuscettibile di censura, con conseguente rigetto del primo motivo di ricorso (del contribuente).

  1. Il secondo motivo è inammissibile concernendo all’evidenza un vizio motivazionale fondato su una pretesa illogicità argomentativa, cui vanno ricondotte le doglianze esposte dalla difesa in ordine alla valutazione degli elementi indicati dall’ordinanza impugnata in punto di fumus commissi delicti.

    Va invero ricordato che il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o preventivo) può essere proposto esclusivamente per violazione di legge e non anche con riferimento ai motivi di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e), pur rientrando nella violazione di legge la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ovverosia sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 5876 del 28/1/2004, Bevilacqua, Rv. 226710, V. anche Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5, n. 35532 del 25/6/2010, Angelini, Rv. 248129; Sez. 6, n. 7472 del 21/1/2009, Vespoli, Rv. 242916).

    Non basta a configurare l’inammissibilità dello scrutinio in sede di legittimità l’invocazione di una motivazione apparente allorquando la censura svolta non evidenzi una motivazione del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento, ma concerna, invece, la valutazione della documentazione offerta a fondamento della residenza all’estero dell’indagato, ovvero il numero delle pagine di cui si compone l’ordinanza impugnata e dunque si appunti sull’adeguatezza e sulla congruenza logica delle argomentazioni spese dal giudice del riesame.

Segue all’esito del ricorso la condanna del ricorrente, a norma dell’art.616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso (del contribuente) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Antonino Pernice

16 agosto 2018