Operazioni inesistenti nel reato di dichiarazione fraudolenta: inquadramento normativo e contrasti giurisprudenziali

Proponiamo un’analisi del reato di “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”: quali sono le fattispecie sanzionate, quali sono i profili di rischio fiscale, quali le recenti posizioni della giuriprudenza di merito e di legittimità

“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”

Il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti è previsto e punito dall’art. 2, D.Lgs. n. 74/2000, che così enuncia:

“È punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi.

Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria”.

Tale fattispecie sanzionatoria è quella più grave fra quelle regolate dalla normativa di riforma del sistema penale tributario.

La previgente normativa, all’art. 4, comma 1, lett. d), D.L. n. 429/1982 (convertito nella Legge n. 516/1982), prevedeva, infatti, la punibilità di chi emetteva o utilizzava fatture o altri documenti per operazioni in tutto o in parte inesistenti, o recanti l’indicazione dei corrispettivi o dell’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale; ovvero, emetteva o utilizzava fatture o altri documenti recanti l’indicazione di nomi diversi da quelli veri, in modo che risultasse impedita l’identificazione dei soggetti cui si riferivano.

Invece, l’ipotesi di dichiarazione fraudolenta mediante uso di documentazione falsa era oggetto di distinta disposizione normativa, indicata nell’art. 4, comma 1, lett. f), d.l. n. 429/1982, a norma del quale era punibile chi indicava, nella dichiarazione dei redditi ovvero nel bilancio o rendiconto ad essa allegato, al di fuori dei casi previsti dall’art. 1 del d.l. n. 429/1982, ricavi, proventi od altri componenti positivi di reddito, ovvero spese od altri componenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva, utilizzando documenti attestanti fatti materiali non corrispondenti al vero, oppure ponendo in essere altri comportamenti fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento di fatti materiali.

Nella nuovo addentellato normativo contenuto nell’art. 2 citato, vi è la nuova nozione di “frode fiscale”, accolta dal Legislatore del 2000.

Tale definizione consiste nella dichiarazione fraudolenta fondata su falsa documentazione, idonea a fornire una falsa rappresentazione contabile della situazione fiscale del contribuente.

Come per le altre ipotesi delittuose di cui al D.Lgs. n. 74/2000, il bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame coincide con l’interesse dell’Erario alla percezione dei tributi, a differenza di quanto disposto dalla previgente legge del 1982, che proteggeva principalmente l’interesse del Fisco al corretto svolgersi dell’azione di accertamento tributario.

Soggetto attivo del reato può essere unicamente colui il quale è contribuente ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, oppure è amministratore, liquidatore o rappresentante del contribuente soggetto a imposizione (art. 1, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 74/2000).

L’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 2 appare dunque ampio, potendo riguardare anche i titolari di redditi di lavoro dipendente, di terreni, di fabbricati o comunque di entrate non soggette all’obbligo di tenuta delle scritture contabili, bensì soltanto all’obbligatoria presentazione della dichiarazione annuale. È rilevante anche la condotta di chi si limita a detenere la falsa documentazione fiscale, previa registrazione nelle scritture contabili obbligatorie, pur se per fini diversi da quelli di prova nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria.

La fattispecie indicata nell’art. 2 citato individua un reato di pericolo o di mera condotta, avendo il legislatore inteso rafforzare la tutela del bene giuridico protetto, anticipandola al momento della commissione della condotta tipica (Cass. Pen., SS.UU., 19 gennaio 2011, n. 1235).

In riferimento all’elemento soggettivo, il reato è punito a titolo di dolo specifico poiché è caratterizzato dalla finalità di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto.

Inoltre, il reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D.lgs. n. 74/2000 è a consumazione istantanea e si realizza nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale (Cass. Pen., Sez. II, 2novembre 2010, n. 42111). Infatti, la predisposizione e la registrazione dei documenti attestanti le operazioni inesistenti sono condotte meramente preparatorie e non sono punibili, nemmeno a titolo di tentativo, per espressa previsione del legislatore: “i delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo” (art. 6, D.Lgs. n. 74/2000).

La pena prevista per il reato di cui all’art. 2 è della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.

L’art. 2 D.Lgs. n. 74/2000 punisce chi

“al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi”.

 

Affinché, pertanto, possa ritenersi realizzata la condotta prevista da tale normativa, è necessario che siano posti in essere due comportamenti diversi:

  • la confezione delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti e la loro registrazione nelle scritture contabili obbligatorie o la loro detenzione a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria (art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 74/2000);
  • l’indicazione nella dichiarazione annuale di elementi passivi fittizi o di attivi inferiori a quelli reali suffragando tali circostanze con i documenti previamente registrati (Cass. Pen., Sez. VI, 31 agosto 2010, n. 32525).

 

Sul punto, lumeggia poi l’art. 1, lett. a) del D.Lgs. n.74/2000, il quale precisa che

“per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti s’intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilevo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.

 

Dal tenore letterale di predetta norma, emerge l’impossibilità d’individuare una fattispecie giuridica univoca di “operazione inesistente”, dovendosi piuttosto tenere presente una vera e propria bipartizione tra inesistenza oggettiva e inesistenza soggettiva.

.[continua…]

CONTINUA… LEGGI IL TESTO INTEGRALE DELL’ARTICOLO NEL PDF QUI SOTTO

Avv. Maurizio Villani
Avv. Lucia Morciano

4 luglio 2018

Scarica il documento