Il radiologo appoggiato a strutture di terzi non sconta l'IRAP

Con recente ordinanza la Corte di Cassazione ha ritenuto non soggetto IRAP, il radiologo che si appoggia a strutture di terzi nello svolgimento della sua attività. Segnaliamo un ulteriore caso di esenzione IRAP in vista della scadenza delle dichiarazioni

Con l’ordinanza n. 10916 del 7 maggio 2018 la Corte di Cassazione ha ritenuto non soggetto Irap il radiologo che si appoggia a strutture di terzi. 

Il fatto 

Con ricorso in Cassazione, il contribuente impugnava la sentenza della CTR dell’Emilia-Romagna, relativa al diniego di rimborso Irap opposto dall’Amministrazione finanziaria relativamente agli anni 2001-2004, lamentando la violazione dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446/97, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., in quanto, erroneamente, i giudici d’appello, avrebbero ritenuto sussistere il requisito dell’autonoma organizzazione, per un verso, attribuendo valore ai fini della ricorrenza del presupposto impositivo alla disponibilità da parte del professionista, medico radiologo, di beni strumentali e locali messigli a disposizione da strutture sanitarie esterne, e dall’altro, al sostenimento, nell’esercizio della propria attività, di elevati costi di gestione. 

Il pensiero della Corte di Cassazione 

Secondo l’insegnamento della Corte, “(…) ai fini della soggezione ad Irap dei proventi di un lavoratore autonomo (o un professionista) non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia “autonoma”, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, bensì anche sotto il profilo organizzativo. Non sono, pertanto, soggetti ad Irap i proventi che un lavoratore autonomo percepisca come compenso per le attività svolte all’interno di una struttura da altri organizzata (Cass. 9692/2012), sicchè non sono soggetti ad IRAP i compensi che un medico percepisca per le attività da lui svolte “extra moenia” presso strutture sanitarie (Cass. 14878/2015)”. (Cass. ord. n. 21561/16, secondo Cass. n. 25245/17, “il giudice del merito non può desumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione dal solo fatto che l’esercente attività professionale si avvalga di una compagine di supporto, senza estendere l’accertamento alla natura, ossia alla struttura ed alla funzione dei vari rapporti giuridici, v. Cass. n. 961/15, in motivazione”). 

Nel caso di specie, “i giudici d’appello hanno ritenuto sussistere un’idonea struttura organizzativa imputabile al contribuente, benché la stessa facente capo a strutture terze, e ciò, sulla base degli elevati costi di gestione (v. Cass. ord. n. 23557/16), senza verificare se fossero sintomatici del ruolo organizzativo assunto da professionista nell’ambito di tali strutture, e per il valore dei beni strumentali (Cass. ord. n. 23552/16), senza verificare se tali beni, pur nella sua disponibilità, appartenessero, in effetti, ad altri; secondo, Cass. 25245/17 cit., ciò comporta per il giudice di merito la necessità di verificare se ciò avviene all’interno di una struttura sanitaria di cui abbia la personale disponibilità (Cass. sez. un. n. 9451/15, conf. Cass. nn. 1861 e 1869/17)”. 

La sentenza di secondo grado, viene, pertanto cassata e la causa rinviata alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, affinché, alla luce dei principi sopra esposti, riesamini il merito della controversia. 

Brevi note 

La questione affrontata dalla Corte, con frequenti richiami a precedenti pronunce, appare particolarmente interessante.

Già con l’ordinanza n. 27032 del 2 dicembre 2013 (ud 14 novembre 2013) la Corte di Cassazione aveva cassato la sentenza impugnata e rinviato la controversia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in ordine all’Irap dei medici che si appoggiano a strutture esterne.

Nel caso di specie si trattava di un primario di cardiologia che denunciava redditi professionali assai elevati. Per la Corte, “tali redditi non costituiscono però di per sè sintomo sufficiente della esistenza di una “autonoma organizzazione” (si vedano le ordinanze di questa Corte n. 9276 del 7 giugno 2012 e n. 9693 del 13 giugno 2012 relative ad esercenti la professione medica); in quanto ben può accadere che professionisti di chiara fama svolgano la loro attività utilizzando strutture da altri predisposte (ad esempio in cliniche private o con il regime dell’intra moenia) così come sostenuto dal contribuente”.

Osserva la Corte che “la tesi del contribuente è poi resa credibile dal quadro delle spese da lui affrontate ove non figurano oneri per dipendenti e per immobili, ma solo oneri per compensi a terzi non dipendenti (attribuite al commercialista) ed altri oneri non meglio precisati e non specificamente valutati dal giudice di merito”.

Ricordiamo ancora che, con l’ordinanza n. 9692 del 13 giugno 2012 (ud 17 aprile 2012), la Cassazione ha fissato importanti principi in materia di Irap, escludendo dall’imposta, di fatto, tutti quei professionisti che si avvalgono di strutture esterne organizzate, per l’esercizio della professione.

Nel caso in esame si è in presenza dell’attività di un medico che non potrebbe effettuare alcun intervento chirurgico senza l’organizzazione posta a sua disposizione dalla Clinica ove egli effettua i suoi interventi.

Da ciò discende che senza tale organizzazione il medico non potrebbe aggiungere alcun valore economico all’attività da lui svolta, asseritamente senza alcun ausilio, nel proprio studio professionale. D’altro canto anche la Clinica ove la propria sala operatoria non venisse utilizzata dal Chirurgo non avrebbe alcun interesse a tenerla allestita.

Da tali considerazioni discende che tra la Clinica ed il Chirurgo si è determinata una sinergia senza la quale non sarebbe stato possibile alla Clinica utilizzare la propria sala operatoria e neppure al Chirurgo di effettuare i propri interventi e di realizzare quindi il rilevante valore aggiunto alla propria attività professionale.

I giudici supremi constatano che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha costantemente respinto la tesi della Amministrazione secondo cui le parole “autonoma organizzazione“, introdotte nel D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, dal D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 137, costituirebbero soltanto un chiarimento ed una specificazione del requisito della “abitualità” già presente nel testo del 1997. Di guisa che la “autonoma organizzazione” ben potrebbe estrinsecarsi “nell’impiego dell’intelligenza e della cultura, nella (mera) capacità di acquisire clientela, di ottenere credito, di competere, di promuovere ogni legittima iniziativa“.

E di conseguenza l’IRAP non risulterebbe applicabile solo quando l’attività lavorativa autonoma abbia carattere meramente occasionale e quindi non sussista neppure una mera “autoorganizzazione“.

In buona sostanza, ciò che rileva ai fini della autonoma organizzazione, che determina la sottoposizione ad IRAP, “è l’esistenza di una struttura predisposta dal professionista con personale da lui dipendente. Questo requisito non si realizza quando il professionista operi all’interno di una struttura da altri gestita”. Pertanto, “ ben può accadere che l’IRAP risulti inapplicabile a soggetti che realizzino guadagni cospicui, quando tali guadagni siano frutto di capacità professionali od artistiche, senza il concorso di una “stabile organizzazione” di supporto avente consistenza oggettiva (perciò la sentenza n. 26681 dell’8 novembre 2008 cassa la pronuncia di merito che aveva rigettato la domanda di rimborso IRAP presentata da un avvocato, adducendo i considerevoli profitti professionali dell’avvocato stesso)”.

Su questa linea si colloca – ad esempio – la giurisprudenza della Corte che ha ritenuto non “soggetto ad IRAP l’attore che operi in un teatro, ricavandone magari cospicui guadagni, ma senza disporre di una propria organizzazione; scatta invece la soggezione all’IRAP quando l’attore organizzi una equipe di operatori addetti alla sua persona (sentenze n. 14379 del 15 giugno 2010; n. 7721 del 21 marzo 2008; n. 26144 del 30 ottobre 2008 (secondo cui non è sufficiente il ricorso da parte di un attore ad un notaio ad avvocati, ad una truccatrice occasionale, ed a due autori di testi“).

La Corte, quindi, afferma il seguente principio di diritto: “in base al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, (come modificato dal D.Lgs. n. 137 del 1988, art. 1), ai fini della soggezione ad IRAP dei proventi di un lavoratore autonomo (o un professionista), non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia “autonoma”, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi bensì anche sotto i profili organizzativi. Non sono perciò soggetti ad Irap i proventi che un lavoratore autonomo percepisca come compenso per le attività svolte all’interno di una struttura da altri organizzata“.

Sul versante di prassi, con la circolare n. 28/E del 28 maggio 2010, facendo seguito alle istruzioni fornite con la circolare n.45/E del 13 giugno 2008, l’Agenzia delle Entrate ha fornito una serie di indicazioni operative in ordine alla gestione del contenzioso pendente in materia di IRAP. La citata circolare n. 45/E del 2008 – punto 5.4.1 – ha precisato che “l’affidamento a terzi, in modo non occasionale, di incombenze tipiche dell’attività artistica o professionale, normalmente svolte all’interno dello studio, deve essere valutata ai fini della sussistenza dell’autonoma organizzazione”.

Inoltre, al punto 5.4.2, ha puntualizzato che “ai fini della verifica dell’autonoma organizzazione rileva comunque la disponibilità di beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lo svolgimento dell’attività, anche qualora non vengano acquisiti direttamente, ma siano forniti da terzi, a qualunque titolo”.

Tale posizione – per le Entrate – risulta avvalorata dalla Corte di Cassazione, la quale ha rilevato come agli effetti impositivi IRAP ciò che rileva è “la sussistenza di una organizzazione autonoma, restando indifferente il mezzo giuridico col quale quest’ultima è attuata (dipendenti ovvero società di servizi), che rende possibile lo svolgimento dell’attività dei professionisti, attraverso la disponibilità di beni strumentali, capitali e stabili forme di collaborazione, funzionali all’espletamento delle particolari incombenze; il che si realizza, come nel caso, con il contratto di outsourcing che impegna le parti a collaborare affinché la clientela percepisca l’attività come organizzazione unitaria fornitrice di più servizi” (Cass. 25 maggio 2009, n. 12078).

Gianfranco Antico

30 giugno 2018