Le firme digitali di tipo CAdES e PAdES sono entrambe valide ed efficaci

Le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES sono entrambe ammesse e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di Cassazione, senza eccezione alcuna. In questo articolo trattiamo alcuni aspetti delle notifiche via PEC e delle connesse firme digitali

Principio di diritto

La Suprema Corte, con sentenza n. 10266/2018, pubblicata il 27 aprile 2018, statuisce il seguente principio di diritto: “secondo il diritto dell’UE  e le norme, anche tecniche, di diritto interno, le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES sono entrambe ammesse e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di Cassazione, senza eccezione alcuna”.

Caso       

La Società U. ricorre per la cassazione della sentenza con la quale il Tribunale di Palermo ha confermato l’ordinanza del giudice dell’esecuzione di rigetto dell’opposizione contro il provvedimento di accoglimento della contestazione del credito proposta dai creditori procedenti nel procedimento di espropriazione presso terzi, promosso nei confronti del Consorzio per l’area di sviluppo industriale di Palermo.

Una volta formulata la proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. per la decisione sull’inammissibilità  del ricorso, la ricorrente deposita memoria, con la quale, tra i motivi di doglianza, solleva questione circa la ritualità della notifica del controricorso di P.Z., giacchè avvenuta con allegazione al messaggio di PEC di tre files con estensione < *.pdf > e non <*.p7m > e, quindi, da ritenersi privi di firma digitale; in tale memoria, altresì, la ricorrente ribadisce pure la ritualità della procura allegata al secondo ricorso, poiché sottoscritta digitalmente con estensione <*.p7m >.

In seguito alla proposta di tale quesito, la Sez. 6-3 investe le Sezioni Unite della questione di diritto, relativa alla scelta tra “l’alternativa PAdES, opzionata da uno dei controricorrenti, o CAdES della modalità strutturale dell’atto del processo in  forma  di documento informatico e firmato da notificare direttamente dall’avvocato, circa la configurabilità o meno, al riguardo, ed in particolare, quando l’atto da notificare comprende anche la procura speciale indispensabile per la ritualità del ricorso o del controricorso in sede di legittimità, di una prescrizione sulla forma dell’atto indispensabile al raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c, secondo comma c.p.c., posta a pena di nullità, nonché della stessa fattispecie, sull’applicabilità del principio di sanatoria dell’atto nullo in caso di raggiungimento dello scopo”.

La motivazione della sentenza

A parere del Collegio rimettente, premesso che il formato dell’atto del processo è regolato dal provvedimento ministeriale (art. 12, provv. 28/12/2015), ossia che la struttura del documento, firmato PAdES o CAdES, e che, in quest’ultimo formato, il file generato si presenta con un’unica estensione <*.p7m >, per tale motivo, “[…] risulterebbe sempre  indispensabile l’estensione <*.p7m>  a garanzia unica dell’autenticità del file, cioè dell’apposizione della firma digitale al file in cui il documento informatico generale è stato formato, solo per il secondo caso, in cui cioè il documento informatico originale è creato in formato diverso da quello <*pdf >”.

Ciò sarebbe ulteriormente avvalorato dal fatto che la notifica, insieme all’atto del processo in forma di documento informatico, è  consentita se quest’ultimo è in formato <*.pdf >, ma se questo è firmato digitalmente dovrebbe, appunto, recare sempre l’estensione <*.p7m>, a garanzia della sua autenticità, così come previsto dagli artt. 12, comma 2 e 13, lett. a), provv. 28/12/2015.

Appare opportuno premettere che il legislatore non ha ancora esteso il processo telematico al giudizio di cassazione che resta, a oggi, ancora  un processo essenzialmente analogico; da ciò ne discende che la necessità di estrarre copie analogiche degli atti digitali ha portato il legislatore a disciplinare la materia mediante il combinato disposto degli artt. 3, 3-bis,6 e 9 della Legge 21/01/1994 n. 53 e dell’art. 23,comma1, cod. amm. digitale.

Dall’esame del controricorso, della nuova procura speciale e della ulteriore relazione di notifica, il collegio rimettente deduce che gli estremi identificativi dei tre allegati della PEC recano il suffisso “signed.pdf”, che denota la firma pdf.

Le Sezioni Unite risolvono la quaestio iuris sottoposta, enunciando il seguente principio di diritto in relazione agli atti del processo in forma di documento informatico: «Secondo il diritto dell’UE e le norme, anche tecniche, di diritto interno, le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>, e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione, senza eccezione alcuna”.

Secondo la Suprema Corte, predetto principio ermeneutico deriva dal diritto dell’UE, e, in particolare, dalla Decisione di esecuzione (UE) 2015/1506 della Commissione dell’8 settembre 2015, e dal Regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE.

Le Sezioni Unite, infatti,   sottolineano che “secondo il diritto dell’UE, le firme digitali di tipo CAdES, ovverosia CMS (Cryptographic Message Syntax) Advanced Electronic Signatures, oppure di tipo PAdES, ovverosia PDF (Portable Document Format) Advanced Electronic Signature […] sono equivalenti e devono essere riconosciute e convalidate dai Paesi membri, senza eccezione alcuna”.

Il Supremo Consesso continua precisando che “[…] al fine di garantire una disciplina uniforme della firma digitale nell’UE, sono stati adottati gli standards europei mediante il c.d. regolamento eiDAS […] che impongono agli Stati membri di riconoscere le firme apposte secondo determinati standards tra i quali figurano sia quello CAdES sia quello PAdES(Cons.Stato,sez.3, 27/11/2017, n.5504)”.

Analogalmente, afferma la giurisprudenza di legittimità, “secondo la normativa nazionale, la struttura del documento firmato può essere indifferentemente PAdES o CAdES”.

Infatti, il certificato di firma è inserito nella busta crittografica, che è presente in entrambi gli standards  abilitati ; la differenza consiste  nel  fatto che nel caso del formato CAdES il file generato si presenta denominato con l’estensione finale <*.p7m>, mentre nel caso del formato PAdES, invece, l’art. 12 non fornisce alcuna indicazione perché tecnicamente il file sottoscritto digitalmente, in base a tale standard, mantiene il comune aspetto <nomefile.pdf>; quest’ultimo file solo apparentemente è indistinguibile, “…poiché la busta crittografica contiene  comunque  il documento, le evidenze informatiche e i prescritti certificati”, garantendo tutte le verifiche del caso, anche secondo il diritto eurounitario.

Da ciò ne discende che non è dirimente il formato del documento informatico “PDF” o “P7M”, ma ciò che rileva è che il documento informatico sia sottoscritto digitalmente, indifferentemente in uno dei due formati predetti, in forza delle garanzie che la firma digitale conferisce al documento medesimo.

Le Sezioni Unite richiamano, a tal proposito, i documenti ufficiali dell’Agenzia per l’Italia Digitale (c.d. AgID, istituita con Decreto Legge n. 83/2012 e sottoposta ai poteri di indirizzo e vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri), secondo cui «[…] la firma digitale è il risultato di una procedura informatica – detta validazione – che garantisce l’autenticità e l’integrità di documenti informatici.

Essa conferisce al documento informatico le peculiari caratteristiche di:
a) autenticità
, perché garantisce l’identità digitale del sottoscrittore del documento;
b) integrità (perché assicura che il documento non sia stato modificato dopo la sottoscrizione);
c) non ripudio (perché attribuisce validità legale al documento) [….]
», nonché le specifiche tecniche del processo telematico contenute nell’art. 12 del provvedimento direttoriale del 16 aprile 2014 (in attuazione dell’art. 34, co. 1, del D.M. n. 44/2001).

Predetta Agenzia specifica che la firma digitale in formato CAdES dà luogo a un file con estensione finale <*.p7m>, che può essere apposta a qualsiasi file e per visualizzare il documento  sottoscritto è necessaria un’applicazione specifica; mentre  la firma digitale in formato PAdES è un file con normale estensione <*.pdf >, che può essere letto con i comuni readers disponibili per questo formato.

Il Supremo Consesso, a seguito di predetto excursus logico e normativo,  conclude che si deve escludere che le disposizioni tecniche vigenti, sia a livello nazionale (anche il D.Lgs n. 217/2017 che apporta alcune modifiche al codice dell’amministrazione digitale), sia a livello eurounitario, “comportino in via esclusiva l’uso della firma digitale in formato CAdES, rispetto alla firma digitale in formato PAdES. Nè sono ravvisabili elementi obiettivi, in dottrina e prassi, per poter ritenere che solo la firma in formato CAdES offra garanzie di autenticità, laddove il diritto dell’UE e la normativa interna certificano l’equivalenza delle due firme digitali, egualmente ammesse dall’ordinamento sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf >”.

In ultimo, nel caso de quo, le Sezioni Unite, una volta non rinvenuta alcuna violazione di norme di diritto interno e/o dell’UE, dinanzi a rilievi del collegio remittente incentrati su modalità diverse di firma digitale «egualmente ammesse dall’ordinamento, nazionale ed euro-unitario, sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>», non hanno, tuttavia, affrontato – per assorbimento e perché ritenuta “non … strettamente rilevante”-, l’ulteriore questione circa l’operatività o meno della sanatoria per raggiungimento dello scopo
ex art. 156 c.p.c. , in caso d’ipotetica violazione di specifiche tecniche.

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Avv. Maurizio Villani
10 maggio 2018