Con l’ordinanza n. 3819 del 16 febbraio 2018, la Corte di Cassazione ha accolto, fra l’altro, uno dei motivi di ricorso avanzati dall’Agenzia delle Entrate, che lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 del D.P.R. n. 917/86 e 26, comma 5, del d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 2697 c.c., sostenendo che il finanziamento corrisposto alla società dai soci si debba ritenere oneroso, salva prova contraria, sicché l’Amministrazione è legittimata a recuperare la relativa ritenuta d’acconto.
“Questa Corte ha difatti già avuto occasione di chiarire che, in tema d’imposta sul reddito delle persone giuridiche, la dimostrazione della mancata percezione degli interessi attivi sulle somme date a mutuo incombe sul contribuente, già per il carattere normalmente oneroso del contratto di mutuo, quale previsto dall’art. 1815 c.c., nonché in virtù della presunzione fissata dal 2° comma dell’art. 45 del d.P.R. n. 917/86 (arg. ex Cass. 7 ottobre 2015, n. 20035; 21 aprile 2010, n. 9469).
Di qui la conseguenza che la società di capitali che abbia ricevuto somme di denaro a titolo di mutuo dai propri soci ha l’obbligo di effettuare la ritenuta d’acconto sugli interessi corrispettivi dovuti ai soci mutuanti in conseguenza del finanziamento, ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 600/73, non solo nel caso in cui la corresponsione dei suddetti interessi sia effettivamente avvenuta, ma anche quando essa sia soltanto presunta dalla legge (Cass. 30 luglio 2007, n. 16821; 7 luglio 2009, n. 15868)”.