La notifica dell'appello: il caso di sostituzione del domiciliatario

segnaliamo un interessante caso di notifica nel processo tributario: cosa accade in caso di sostituzione del domiciliatario mentre stanno decorrendo i termini per la proposizione dell’appello?

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 22248 del 25.09.2017, ha chiarito quali sono i presupposti di legittimità della notifica dell’appello in caso di modifica del domiciliatario del contribuente.

Nel caso di specie la Commissione Tributaria Regionale della Toscana aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado, in quanto tardivamente notificato presso lo studio dei difensori del contribuente, sebbene, nel corso del giudizio di prime cure, il trasferimento di detto studio in altra via dello stesso Comune fosse stato portato a conoscenza della medesima Agenzia con le memorie illustrative depositate in Commissione.

L’Amministrazione Finanziaria lamentava quindi error in procedendo per violazione e falsa applicazione degli artt. 156, 160, 162, 291, 325 e 330 c.p.c., osservando che la CTR, nonostante avesse dapprima disposto la rinnovazione della notificazione (poi, nei termini concessi, espletata presso lo studio dell’ Avvocato come risultante dal sito istituzionale dell’ordine), aveva poi tuttavia deciso nel senso della inesistenza, e non già della nullità, della notifica dell’impugnazione al procuratore della parte effettuata con esito negativo presso il domicilio dichiarato e poi trasferito, quando invece, ad avviso della stessa Agenzia, la prima notificazione non poteva considerarsi inesistente, ma semmai nulla, con conseguente sanatoria ex tunc a seguito della costituzione in giudizio della parte appellata.

Secondo i giudici di legittimità, tuttavia, il ricorso era infondato, e la sentenza impugnata andava quindi confermata, sia pure con integrazione della relativa motivazione.

Evidenzia infatti la Suprema Corte che, in punto di fatto, andavano preliminarmente richiamate le vicende rilevanti ai fini del decidere, da cui risultava che: nell’originario ricorso la contribuente aveva eletto domicilio presso lo studio dei difensori “in Roma, alla Via dei G…”; nella memoria illustrativa, depositata nel corso del giudizio di prime cure, la stessa risultava domiciliata presso i medesimi difensori, ma presso un diverso indirizzo, “in Roma, alla Via C. …”; l’intestazione della sentenza di primo grado recava ancora l’originaria elezione di domicilio “in Roma, alla Via dei G…”, ove l’appello dell’amministrazione veniva notificato, con restituzione del plico per irreperibilità del destinatario, in quanto “trasferito”.

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Con ordinanza la CTR, “vista la irregolarità della notifica dell’appello, assegnava termine all’Agenzia delle entrate di giorni sessanta per nuova notifica dell’appello ai sensi dell’art. 291 c.p.c.” e l’Ufficio rinnovava quindi, nei termini indicati, la notifica presso il nuovo studio del difensore, “in Roma, via F…”, al nuovo indirizzo come risultante dal sito dell’Ordine.

Tanto premesso, la Corte di Cassazione afferma che “nel processo tributario, le variazioni del domicilio eletto o della residenza o della sede, a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17, comma 1, sono efficaci nei confronti delle controparti costituite dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata loro notificata la denuncia di variazione; tale onere è previsto per il domicilio autonomamente eletto dalla parte, mentre l’elezione del domicilio dalla medesima operata presso lo studio del procuratore ha la mera funzione di indicare la sede dello studio del procuratore medesimo. In tale caso, il difensore domiciliatario non ha a sua volta l’onere di comunicare il cambiamento di indirizzo del proprio studio ed è, invece, onere del notificante di effettuare apposite ricerche per individuare il nuovo luogo di notificazione, ove quello a sua conoscenza sia mutato, dovendo la notificazione essere effettuata al domicilio reale del procuratore, anche se non vi sia stata rituale comunicazione del trasferimento alla controparte, ai sensi dell’art. 17, comma 3, del D.Lgs. citato” (cfr Cass. n. 7527/17; n. 26313/05; n. 13366/13), e comunque fatta “salva la legittimità della notifica o comunicazione dell’atto presso la segreteria della commissione tributaria ai sensi del medesimo art. 17, comma 3, in caso di esito negativo di tali indagini” (cfr Cass., n. 17717/17 e n. 13238/16).

Ciò premesso, concludono i giudici, la declaratoria di inammissibilità dell’appello era quindi corretta, poiché l’Amministrazione appellante, dopo essere pervenuta in possesso delle indicazioni sufficienti a riattivare il procedimento notificatorio, a seguito della prima notifica non andata a buon fine, non vi aveva provveduto tempestivamente, attendendo oltre un anno prima di procedervi, peraltro solo dopo il rilievo giudiziale di irregolarità della notificazione e la contestuale assegnazione di apposito termine per il suo rinnovo.

Sul tema in esame, la Corte evidenzia che, in un primo momento, la stessa giurisprudenza di legittimità aveva affermato che “se la notifica dell’atto di impugnazione, tempestivamente consegnato all’ufficiale giudiziario, non si perfeziona per cause non imputabili al notificante, questi non incorre in alcuna decadenza, ove provveda con sollecita diligenza (da valutarsi secondo un principio di ragionevolezza) a rinnovare la notificazione, a nulla rilevando che quest’ultima si perfezioni successivamente allo spirare del termine per proporre gravame” (Cass. n. 6547/08, proprio in fattispecie in cui una prima notificazione non si era perfezionata a causa dell’avvenuto trasferimento del difensore domiciliatario, non conoscibile da parte del notificante poiché alla data della notificazione lo studio indicato sull’avviso degli avvocati risultava ancora ubicato al precedente indirizzo).

Successivamente, però, le Sezioni unite hanno chiarito che “in tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, semprechè la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie” (Cass. Sez. U., n. 17352/09; conf. Cass. n. 18074/12).

Da ultimo, la Cassazione ha poi ulteriormente precisato che “in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostante eccezionali di cui sia data prova rigorosa” (Cass. Sez. U. n. 14594/16; conf. Cass. Sez. VI-5 n. 9102/17).

A seguito di queste ultime pronunce, in fattispecie simili a quella oggetto del giudizio, è stato quindi affermato che:

  1. “la sanzione per la notificazione tentata presso il domicilio non più attuale non è produttiva di alcun effetto in grado di sanare l’inosservanza del termine di impugnazione e di essa va perciò conseguentemente rilevata l’inammissibilità” (Cass. Sez. VI-5, n. 529/17);

  2. “non vale opporre che, avendo nella specie la controparte resistito con comparsa di risposta, l’irregolarità sarebbe parimenti sanata per effetto dell’art. 156 c.p.c., comma 3: l’argomento non coglie infatti la specificità della fattispecie, poiché, nella presente ipotesi, viene in considerazione l’inosservanza del termine previsto dall’art. 327 c.p.c., comma 1, correlata alla tutela d’interessi indisponibili e, come tale, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto della altrui costituzione” (Cass. Sez. II, n. 11166/15) “perciò nessun effetto sanante è ascrivibile alla costituzione del controricorrente, giacché l’inosservanza del termine consuma definitivamente ed insanabilmente il potere di impugnazione, oltre al fatto che, come questa Corte ha già chiarito (Sez. 5, n. 4594 del 09/03/2016), nella specie non si determina un’ipotesi di nullità della notificazione, ma ha luogo più esattamente un’ipotesi di inesistenza della notificazione, posto infatti che quando il procedimento non si è concluso mediante consegna di copia conforme all’originale dell’atto da notificare, la notificazione ‘è da ritenersi non compiuta, ma solo tentata, e ci si viene a trovare di fronte ad un atto non già nullo, ma del tutto inesistente, perché giammai entrato a far parte della realtà dell’ordinamento’, il che esclude che si possa procedere alla sua rinnovazione a mente dell’art. 291 c.p.c., e che rispetto ad esso possano essere perciò invocati gli effetti propri dell’atto nullo” (v. Cass. Sez. VI-5 n. 17717/17).

Secondo i giudici della Corte, in conclusione, lo specifico chiarimento circa la concreta tempistica che la parte è tenuta ad osservare ai fini della ripresa del procedimento notificatorio, risultava assorbente rispetto alla pressochè coeva (e più generale) affermazione dello stesso organo, per cui “il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto. Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’art. 291 c.p.c.” (Cass. Sez.U., nn. 14916/16 e 14917/17; conf. Sez. V, n. 3353/17).

Alla luce di tutto ciò, secondo la Corte, la stessa Ordinanza con cui il giudice d’appello aveva assegnato un termine per la rinnovazione della notifica a distanza di un anno dalla prima, non andata a buon fine, doveva ritenersi inutiliter data e quindi tamquam non esset, dal momento che l’inosservanza del suddetto “limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c.” aveva definitivamente ed insanabilmente consumato il potere di impugnazione.

A prescindere dalla anomala considerazione di una ordinanza ritenuta tamquam non esset in quanto contraria ad un indirizzo giurisprudenziale, tutta la sentenza in commento ruota comunque intorno al giudizio di nullità o inesistenza della notifica.

Pur nell’esaustivo excursus giurisprudenziale fatto dalla Corte, si rileva però la mancanza (per evidenti motivi temporali) del richiamo all’Ordinanza della stessa Corte n. 21274 del 13.09.2017, la quale ha (diversamente) chiarito qual’è la differenza, in caso di errata notifica, tra nullità ed inesistenza della stessa notifica.

Differenza peraltro dalle conseguenze pratiche molto rilevanti.

I giudici di legittimità evidenziano infatti che, secondo la risalente giurisprudenza della Corte, la notifica eseguita in luogo o a soggetti diversi da quelli dovuti comporta l’inesistenza della notifica stessa solo in difetto di alcuna attinenza, o riferimento, o collegamento di quel luogo o soggetto con il destinatario.

Negli altri casi, invece, la notifica risulta affetta da semplice nullità (cfr. Cass. n. 17555/2006).

La giurisprudenza della Suprema Corte ha poi altresì chiarito che la notificazione è inesistente quando manchi del tutto, ovvero sia stata effettuata in un luogo o con riguardo a persona che non abbiano alcun riferimento con il destinatario della notificazione stessa, risultando a costui del tutto estranea, mentre è affetta da nullità (sanabile con effetto ex tunc attraverso la costituzione del convenuto, ovvero attraverso la rinnovazione della notifica cui la parte istante provveda spontaneamente o in esecuzione dell’ordine impartito dal giudice), quando, pur eseguita mediante consegna a persona o in luogo diversi da quello stabilito dalla legge, un collegamento risulti tuttavia ravvisabile, così da rendere possibile che l’atto, pervenuto a persona non del tutto estranea al processo, giunga a conoscenza del destinatario (nella specie era stata per esempio considerata nulla, e dunque sanata dalla costituzione del convenuto, la notifica dell’atto d’appello al difensore indicato nell’atto di precetto anziché al procuratore costituito nel giudizio di primo grado – cfr. Cass. n. 621/2007).

Tali principi, rilevano ancora i giudici, sono stati ulteriormente ribaditi dalla Cassazione, a Sezioni Unite (S.U. n. 14916/2016, richiamata anche nella sentenza in commento), che ha ritenuto, con riguardo alla notifica del ricorso per cassazione, ma con affermazioni di portata generale, che la notifica è inesistente, oltre che in caso di mancanza materiale dell’atto, quando l’attività notificatoria intrapresa sia priva delle caratteristiche essenziali idonee, individuabili, per un verso, nell’attività di trasmissione da parte di un soggetto normativamente dotato della possibilità giuridica di compierla e, per altro verso, nell’ attività della consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti possibili della notificazione previsti dall’ordinamento, esclusi soltanto i casi di mera restituzione dell’atto al mittente e di notifica solo tentata.

La stessa Corte ha poi espressamente fissato il principio in forza del quale il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto.

Ne consegue che i vizi relativi alla individuazione di detto luogo, anche qualora esso si riveli privo di collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ai sensi dell’articolo 291 cod. proc. civ., ritenendo, in concreto, che la notificazione del ricorso principale, eseguita presso il difensore domiciliatario della controparte per il giudizio di primo grado, anzichè presso il difensore costituito nel giudizio di appello e presso il quale essa aveva eletto domicilio per tale grado del processo era affetta da nullità e non da inesistenza.

Come si concilia quindi ora la diversa conclusione delle due, praticamente coeve, sentenze?

Non convince peraltro la distinzione, che fa la Corte, in ordine alle diverse conseguenze in caso di mancata comunicazione delle variazioni da parte del contribuente e da parte del difensore.

La Cassazione afferma infatti, come visto, che “nel processo tributario, le variazioni del domicilio eletto o della residenza o della sede, a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17, comma 1, sono efficaci nei confronti delle controparti costituite dal decimo giorno successivo a quello in cui sia stata loro notificata la denuncia di variazione; tale onere è previsto per il domicilio autonomamente eletto dalla parte, mentre l’elezione del domicilio dalla medesima operata presso lo studio del procuratore ha la mera funzione di indicare la sede dello studio del procuratore medesimo. In tale caso, il difensore domiciliatario non ha a sua volta l’onere di comunicare il cambiamento di indirizzo del proprio studio…”.

Il comma 1 dell’articolo 17, prevede l’onere della denuncia di eventuali variazioni del domicilio, residenza o sede, da notificare alla segreteria e alle parti costituite.

Variazioni che hanno effetto solo trascorsi dieci giorni dalla notifica e che devono effettuarsi in maniera puntuale, ovvero anche specificando le relative controversie interessate.

Ha affermato del resto però a tal proposito la Suprema Corte che “L’onere imposto alle parti ed ai loro difensori di comunicare alla segreteria della commissione ed alle altre parti le variazioni di domicilio deve essere adempiuto con una comunicazione specifica che contenga l’indicazione puntuale delle controversie su cui incide”; tant’è che (continuano i Giudici di legittimità) a fronte di una comunicazione generica, le notifiche e comunicazioni potranno essere effettuate, per assoluta incertezza, presso la segreteria della Commissione, ai sensi del comma 3 dell’artciolo 17 del D.Lgs. n. 546/1992 (Sent. n. 14689 del 23 giugno 2006).

Può essere utile osservare del resto come, rispetto alla previgente disciplina di cui al D.P.R. n. 636/1972, l’art. 17 contenga rilevanti differenze proprio sotto il profilo della denuncia delle variazioni.

Se in vigenza dell’art. 32-bis del D.P.R. n. 636/1972 si riteneva infatti che la comunicazione potesse essere contenuta in atti del procedimento (come in sostanza ammesso dalla Corte nella sentenza in commento), il comma 1 dell’articolo 17 impone invece ora la notificazione della denuncia di variazione, con l’importante precisazione che siffatta denuncia venga notificata, oltre che alla segreteria, alle parti costituite.

Pertanto, anche nel caso di elezione di domicilio presso lo studio di un professionista, situazione in ordine alla quale, come detto, si è affermato, in ambito civilistico, un indirizzo interpretativo secondo cui, nell’eventualità di trasferimento dello studio del procuratore costituito e ove il procuratore suddetto sia iscritto nell’albo professionale della circoscrizione alla quale appartiene il giudice che ha emesso la sentenza impugnata, la notifica va effettuata nel nuovo domicilio individuabile dall’albo professionale, con onere a carico della segreteria o cancelleria in ordine all’accertamento dell’eventuale trasferimento, tale indirizzo non è comunque estendibile al rito tributario, visto il chiaro ed inderogabile disposto dell’art. 17 del D.Lgs n. 546/1992.

Come infatti confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità la predetta regola, nata in ambito civilistico, non può trovare applicazione nel processo tributario, nel quale vige la disciplina speciale di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 546/1992 (si vedano Cass., n. 4630 del 22 febbraio 2008 e n. 457 dell’11 gennaio 2008 e sent. n. 13320 del 7 giugno 2006).

Nella sent. n. 10089 del 13 maggio 2005 i giudici di legittimità hanno inoltre chiaramente affermato che la notificazione dell’avviso di udienza nel domicilio eletto, non riuscita per trasferimento del difensore, non richiede l’effettuazione di indagini d’ufficio presso l’ordine professionale, ma può essere legittimamente effettuata presso la segreteria della Commissione, determinando la mancata comunicazione da parte del difensore della variazione dello studio una situazione di assoluta incertezza (cfr Cass. sent. n. 6587 del 12 marzo 2008).

In definitiva, nonostante il recente arresto giurisprudenziale, sembra più corretta la conclusione che sia onere del professionista (anche solo nel rispetto del principio di leale collaborazione, che vale anche e soprattutto in sede processuale), che abbia trasferito lo studio, provvedere alla comunicazione del nuovo domicilio alla segreteria della Commissione e alle parti costituite.

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12 ottobre 2017

Giovambattista Palumbo