Costi black list: il trattamento delle operazioni intercorse con società operanti in Stati con regimi fiscali privilegiati

il trattamento ai fini del reddito d’impresa dei costi black list, cioè proveniente da controparti site in Paesi considerati paradisi fiscali: ricordiamo che la Legge di stabilità per il 2016 ha innovato il Testo Unico…

Commercialista Telematico | Software fiscali, ebook di approfondimento, formulari e videoconferenze accreditateLa Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 22901 del 29 settembre 2017, ha confermato il principio secondo cui “in tema di reddito d’impresa, all’esito delle modifiche retroattive introdotte dall’art. 1, commi 301, 302 e 303 della legge n. 296 del 2006 e prima di quelle di cui alla legge n. 208 del 2015, applicabili a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, la separata indicazione, nella dichiarazione annuale dei redditi, delle spese e degli altri componenti negativi inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi ‘black list’) è un mero obbligo formale, che non ne condiziona la deducibilità; e la cui violazione espone il contribuente unicamente alla sanzione amministrativa ex art. 8, comma 3 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, da cumulare, per le sole violazioni anteriori all’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, con la sanzione di cui al medesimo art. 8, comma 1, a ciò non ostando la presentazione della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998, ove operata dal contribuente dopo l’avvio dei controlli” (in termini, Cass. 21955/15; 5085/17)”.

Per la Suprema Corte, questo indirizzo interpretativo si basa sui seguenti passaggi argomentativi:

a) con decorrenza dal 1 gennaio 2007, i commi 301 e 302 dell’art. 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 hanno mutato la disciplina che sanciva l’indeducibilità dei costi scaturenti da operazioni commerciali intercorse con soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata (cd. paesi black list), ove non fosse provato che i contraenti esteri svolgessero effettiva attività commerciale; che le operazioni poste in essere rispondessero ad un effettivo interesse economico; che le stesse avessero avuto concreta esecuzione e, in ogni caso, che i costi non fossero stati separatamente indicati nella dichiarazione dei redditi;

b) la separata indicazione dei costi risulta, in particolare, essere stata degradata da presupposto sostanziale della relativa deducibilità, ad obbligo di carattere formale; tuttavia passibile di corrispondente sanzione amministrativa specifica, pari al 10% dell’importo complessivo delle spese e dei componenti negativi non (separatamente) indicati nella dichiarazione, con un minimo di €. 500 ed un massimo di €. 50.000;

c) in ordine al regime transitorio dettato dal comma 303 del citato art. 1 della legge n. 296/2006, anche le violazioni dell’obbligo di separata indicazione dei costi in esame poste in essere prima dell’entrata in vigore della legge non comportano, di per se stesse, l’applicazione del regime di assoluta indeducibilità dei costi medesimi (e di connessa sanzionabilità ex art. 1, c. 2, del d.lgs. n. 471/1997), in quanto ridotte a violazioni di carattere formale, soggette alla sanzione proporzionale suddetta; alla quale (solo per le situazioni di regime transitorio e, dunque, già assoggettate al rigoroso regime d’indeducibilità) si cumula, in forza dell’ultima parte del comma 303 cit., la sanzione prevista dall’art. 8, c. 1, del D.Lgs. n. 471/1997 (che, per i vizi formali della dichiarazione, prevede la sanzione amministrativa da €. 258 a €. 2065);

d) tale lettura della disciplina di cui ai commi 301, 302 e 303 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 non viola il principio di legalità, posto che, sotto il profilo sanzionatorio e degli effetti che ne conseguono, il regime introdotto dalla normativa sopravvenuta è, nel suo complesso, certamente meno gravoso, per il contribuente, rispetto a quello previgente;

e) l’applicazione delle sanzioni in questione, sebbene ora riconducibili a violazione di ordine formale, non è evitata dall’avvenuta presentazione della dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, cc. 8 e (più specificamente) 8bis, del d.P.R. n. 322 del 1998.

Il punto

Il contrasto ai regimi fiscali privilegiati è stato sempre un argomento particolarmente sentito dai legislatori, che più volte sono intervenuti con norme ad hoc, allo scopo di confinare all’angolo le operazioni cd. black list.

Prima delle modifiche da ultimo apportate dalla cd. legge di stabilità 2016, e ancor prima dal cd. decreto internazionalizzazione, l’art. 110, cc. 10 – 12-bis, del T.U. n. 917/86, subordinava la deducibilità dei costi derivanti da operazioni con soggetti insistenti nei cd. paradisi fiscali a regole precise e stringenti.

Con l’art. 5, c. 1, del D.Lgs. n. 147/2015 (applicabile a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data del 7 ottobre 2015), si è passati da un regime di indeducibilità superabile solo se le imprese residenti in Italia fornivano la prova che le imprese estere svolgevano prevalentemente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondevano ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione, ad una deducibilità limitata al valore normale, fermo restando la concreta esecuzione delle operazioni.

Detta disposizioni, comunque, non si applicano quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. Di conseguenza la limitazione parziale al valore normale è superabile alla prova dell’effettivo interesse economico (fatta salva la concreta esecuzione).

Precisano le Entrate nella circolare n.39/2016 che “la prova della congruità del costo dedotto rispetto al relativo valore normale del bene o servizio acquistato deve essere fornita dallo stesso contribuente. Più precisamente, qualora il contribuente abbia portato in deduzione l’importo integrale del costo, in sede di eventuale controllo, dovrà fornire la dimostrazione che tale importo è corrispondente al valore normale del bene acquistato o del servizio ricevuto da operatori localizzati in un paradiso fiscale”.

Con riguardo alla sussistenza dell’esimente relativa all’effettivo interesse economico, le Entrate, nella citata circolare n. 39/2016, richiamano le considerazioni contenute al paragrafo 9 della circolare n. 51/E del 6 ottobre 2016, “secondo cui la valutazione in oggetto va effettuata tenendo conto di tutti gli elementi e le circostanze che caratterizzano il caso concreto, attribuendo rilevanza alle condizioni complessive dell’operazione”, e ai fini della prova dell’interesse economico devono “essere valorizzate tutte quelle circostanze, legate alla specificità del caso concreto che, rivestendo carattere di eccezionalità, giustifichino un valore sostenuto superiore a quello di mercato, rendendo le transazioni non comparabili sul mercato da un punto di vista soggettivo o oggettivo”.

In ogni caso il cd.decreto internazionalizzazione non ha modificato l’obbligo di indicare separatamente in dichiarazione le spese e gli altri componenti negativi deducibili da black list. Resta ferma, quindi, la sanzione di cui all’art. 8, c. 3-bis, del D.Lgs. n. 471 del 1997, sia per il mancato rispetto dell’obbligo di separata indicazione dei costi black list nella dichiarazione dei redditi, “sia per la parte eccedente il valore normale dei beni servizi acquistati, sia nei limiti di detto valore”.

La legge di stabilità 2016, entrata in vigore l’1 gennaio 2016 (art. 1, c. 142, lett. a, della L. 28 dicembre 2015, n. 208) ha abrogato i commi da 10 a 12-bis dell’articolo 110, del T.U. n. 917/86, così che i costi black list non sono più oggetto di un regime specifico ma soggetti alle ordinarie regole che presiedono la determinazione del reddito d’impresa (inerenza, certezza, competenza, determinatezza). Di conseguenza viene meno l’obbligo della separata indicazione in dichiarazione e l’inapplicabilità della relativa sanzione (su tale aspetto i tecnici delle Entrate nel documento di prassi n. 39/2016 precisano che pur se il legislatore non ha previsto l’abrogazione esplicita del menzionato comma 3-bis dell’articolo 8, del D.Lgs.n.471/97, essa deve essere “ considerata implicitamente abrogata per effetto della cancellazione della norma primaria, di cui al comma 11 dell’articolo 110 del TUIR, dalla stessa richiamata, con effetto a decorrere dal periodo di efficacia dell’abrogazione della disciplina dei costi black list. Pertanto, il venir meno dell’obbligo della separata indicazione in dichiarazione dei costi black list, con riferimento alle dichiarazioni relative ai periodi d’imposta 2016 e successivi (per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare), comporta anche l’inapplicabilità della relativa sanzione amministrativa disposta per la violazione di tale obbligo”.

Il successivo comma 144 della stessa legge di stabilità 2016 ha previsto che tale abolizione opera a partire dall’1 gennaio 2016 (in pratica con Redditi 2017).

Ne consegue, osservano le Entrate nella citata circolare n.39/2016 che, “dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, i costi black list sono deducibili per il loro intero ammontare, restando soggetti solo alle ordinarie regole di deducibilità previste per gli analoghi costi sostenuti nei confronti di qualsiasi fornitore. Resta inteso che per i costi sostenuti nei confronti di un operatore estero, residente in un Paese considerato black list in base alla previgente normativa ed appartenente al medesimo gruppo societario del soggetto residente in Italia, continuano a trovare applicazione le regole dettate in materia di transfer pricing”.

Sulla questione della decorrenza dell’abrogazione del regime sanzionatorio black list, come abbiamo visto, il legislatore ha fissato una data ben precisa per l’avvio del nuovo regime (1 gennaio 2016) e sul punto va registrato un recente pronunciamento della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 6651 del 6 aprile 2016, in una controversia riguardante annualità pregresse, ha rilevato che “nessun rilievo può avere nel presente giudizio lo ius superveniens rappresentato dall’art. 1, comma 142, lett. a) legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), che ha abrogato i commi da 10 a 12-bis dell’articolo 110 T.U.I.R., stante l’irretroattività dello stesso discendente, oltre che, in via generale, dall’art. 11 preleggi, dalla specifica e pienamente convergente disciplina transitoria di cui al comma 144 del medesimo articolo 1, a mente del quale ‘le disposizioni di cui ai commi 142 e 143 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015’ (norma il cui riferimento al ‘periodo d’imposta’ e la cui attinenza ad una legge di diritto sostanziale palesa l’implausibilità della interpretazione proposta dalla controricorrente secondo cui essa dovrebbe invece intendersi nel senso di consentire l’applicazione della nuova disciplina anche ai fatti pregressi, purché però in giudizi o con provvedimenti resi a far data dal 1 gennaio 2016). Alla luce di tale espressa previsione nemmeno può soccorrere il richiamo alla norma di cui all’art. 3 comma 2 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, a mente del quale, «salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile», attesa per l’appunto la previsione di espressa e contraria disciplina transitoria, avente pari forza di legge”.

La stessa Corte, con la sentenza n. 8326 del 27 aprile 1016 ha confermato che il regime sanzionatorio introdotto dalla L. n. 296/2006 si applica anche all’omessa indicazione in dichiarazione dei costi black list commessa prima del 2007, pur restando ancorata la deducibilità degli stessi alle ulteriori condizioni normative. Né per tali violazioni può trovare applicazione la dichiarazione integrativa poiché non dà luogo ad alcuna rettifica del reddito dichiarato, né in aumento né in diminuzione.

Pertanto, con riferimento ai periodi d’imposta precedenti al 2016, la circolare n. 39/2016 ritiene che “potranno essere applicate sia la sanzione prevista per l’omessa separata indicazione dei costi black list, sia la sanzione per dichiarazione infedele qualora tali costi fossero considerati indeducibili (o parzialmente indeducibili), in assenza dell’esimente”, fermo restando la possibilità di avvalersi del modificato art.1 3 del D.Lgs. n. 472/97, norma che prevede il cd.ravvedimento operoso, anche dopo la constatazione della violazione.

Ricordiamo che, ai fini della deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi di reddito, a partire dall’anno d’imposta 2016, non è più rilevante l’individuazione degli ordinamenti a fiscalità privilegiata, pur se la legge di stabilità 2016, a fronte dell’abrogazione della disciplina sui costi black list, ha disposto la raccolta di informazioni relative agli acquisti di beni e alle prestazioni di servizi ricevute da soggetti residenti fuori dal territorio dello Stato, i cui criteri di raccolta sono demandati ad un successivo decreto del MEF e ad un provvedimento tecnico del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

10 ottobre 2017

Gianfranco Antico