Le indagini finanziarie sull'amministratore di condominio

per la particolare attività svolta potrebbe essere difficile da difendere da indagini finanziarie in quanto tendenzialmente maneggia denaro altrui al mero scopo di pagare i fornitori del condominio; occorre provare che ogni movimento in entrata sul conto è giustificato, non può usare la professione come schermo difensivo

Commercialista_Telematico_Post_1200x628px_Guardia_Di_FinanzaLa Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13075 del 24 maggio 2017, è intervenuta, ancora una volta, in materia di indagini finanziarie e specificatamente in ordine ai possibili effetti di confusione che possono prodursi nei conto degli amministratori di condominio.

 

Il principio affermato

In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18081 del 04/08/2010 Rv. 615112 – 01.

In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di appello che aveva ritenuto sufficiente la generica giustificazione fornita dal contribuente, svolgente l’attività di amministratore di condominio, che i versamenti sui propri conti correnti fossero ricollegabili al pagamento da parte dei condomini degli oneri di gestione condominiale; conf. Sez. 5, Sentenza n. 15857 del 29/07/2016 Rv. 640618 – 01).

Il Collegio condivide tale assunto e ne consegue che non è sufficiente la indicazione dei beneficiari delle operazioni ma deve essere precisata la ragione delle operazioni in modo escluderne la riferibilità ad operazioni imponibili”.

 

Brevi note

La normativa sulle indagini finanziarie opera in modo automatico, non richiedendo ulteriori elementi di riscontro per conferire validità al controllo.

Il dettato normativo consente, però, al contribuente, anche attraverso il contraddittorio, di dimostrare l’irrilevanza fiscale delle movimentazioni riscontrate.

Pur essendo in presenza di presunzioni relative, la forza della norma è tale che esse si atteggiano quasi a presunzioni assolute, poiché richiedono dei fatti impeditivi od ostativi al verificarsi del presupposto d’imposta, posti a carico de l contribuente.

Infatti, gli elementi risultanti dall’analisi dei conti sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza per lo stesso fine.

Sul punto specifico degli amministratori di condominio, in assenza di conti dedicati (obbligatori a far data dal 18 giugno 2013, a seguito della riforma operata sui condomini, ex L. n.220/2012) con l’ordinanza n. 14860 del 5 settembre 2012 (ud. 14 giugno 2012) la Corte di Cassazione ha ritenuto “inadeguata e generica” la sentenza di secondo grado che aveva ritenuto di decurtare dall’imponibile dichiarato l’importo relativo all’IVA incassata dal contribuente, e, dall’altro, che ha affermato che il contribuente “ha dimostrato l’inerenza dei versamenti bancari alle situazioni condominiali ed ai fatti relativi“, fornendo la documentazione ed i giustificativi che hanno determinato la decisione impugnata.

La Corte, quindi, ravvisa “il vizio di motivazione in relazione alla prova da parte del contribuente della natura non reddituale dei vari importi accreditati sui propri conti correnti bancari”, proprio per assenza di prova analitica.

Già con la sentenza n. 13819 del 3 maggio 2007 (dep. il 13 giugno 2007), la Corte di Cassazione (sempre per un contribuente che esercitava l’attività di amministratore di condominio) aveva avuto modo di affermare che la prova liberatoria, che consente di superare la presunzione di cui all’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, secondo cui le movimentazioni dei conti correnti bancari legittimano l’accertamento del redditi, non può essere meramente generica e cioè relativa all’attività esercitata, ma deve essere, altresì, specifica in relazione ad ogni singola operazione.

Perciò, non è sufficiente che il contribuente adduca la qualità di amministratore di condominio ma è necessario che fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di danaro altrui.

Diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato.

Per giurisprudenza costante, in materia di Iva, qualora debba riconoscersi, ai sensi dell’art. 51, c. 2, del D.P.R. n.633/72, la ricorrenza dei presupposti per il ricorso a presunzioni semplici basate su operazioni in conto corrente bancario, la prova liberatoria, che il meccanismo comune ad ogni presunzione sposta sul contribuente, si commisura necessariamente alla natura e consistenza degli elementi utilizzati dall’Amministrazione.

La valutazione di tali elementi non si traduce in un’automatica assimilazione delle operazioni in conto corrente a corrispettivi non dichiarati, ma richiede un apprezzamento, eminentemente fattuale, della forza presuntiva attribuibile a quelle operazioni, alla luce della prova liberatoria offerta dal contribuente, ed è quindi censurabile in sede di legittimità soltanto per i vizi motivazionali previsti dall’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. nn. 19947/2005 e 11778/2001).

Nel caso specifico sottoposto ai giudici nel 2007, la censura dell’Amministrazione finanziaria secondo la quale la motivazione della Commissione tributaria regionale sarebbe sul punto incerta e contraddittoria, è stata accolta, in quanto i giudici di appello hanno motivato l’accoglimento dell’impugnazione della contribuente sul rilievo che:

svolgendo la medesima attività di amministratore di condominio ne deriva necessariamente che la stessa obbligatoriamente e necessariamente riceveva rimesse altrui che amministrava per professione”.

Tuttavia, osserva la Corte, la circostanza che:

la contribuente riceveva sul proprio conto corrente rimesse altrui non è idonea di per sé, ai fini di cui trattasi, ad escludere la totale imputabilità di tutte le movimentazioni bancarie direttamente all’intestataria del conto corrente in assenza di elementi contrari in tal senso”.

La motivazione dei giudici di seconda istanza è, quindi, inadeguata, poichè non si sono fatti carico…

…“di verificare, in base alla prova liberatoria offerta dal contribuente, quali fossero le singole movimentazioni bancarie riferibili direttamente all’attività di amministratore di condominio per poter conseguentemente escludere che le stesse non costituissero corrispettivi non dichiarati.

La prova liberatoria ai fini di cui trattasi non può essere solo generica e cioè relativa all’attività esercitata, ma deve essere altresì, specifica in quanto, stante la presunzione di cui all’art. 51, comma 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, se il contribuente utilizza il conto corrente a lui personalmente intestato anche per maneggio di danaro altrui deve fornire la prova specifica – rectius: analitica – della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di danaro altrui, diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato”.

E sempre la Corte Suprema, con sentenza n. 6617 del 19 marzo 2009 (ud. del 23 dicembre 2008) ha riaffrontato la questione, affermando che:

non è sufficiente al contribuente dimostrare genericamente di avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell’esercizio della propria professione, somme affidategli da terzi in amministrazione, ma è necessario che egli fornisca la prova analitica della inerenza alla sua attività di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto”.

In pratica, dalla natura stessa dell’attività svolta dal contribuente non si può desumere che le somme da questi depositate sul proprio conto corrente gli erano state affidate dai condomini per il pagamento degli oneri condominiali.

Oggi la Cassazione continua a ribadire quanto precedentemente osservato in altre sentenze: la prova deve essere analitica, specifica e non può essere generica. Deve quindi il contribuente giustificare le singole operazioni.

Infatti, così come la contestazione sugli addebiti da parte dell’Amministrazione Finanziaria non può avvenire per “masse” o addirittura sulla base di un mero “saldo contabile“, le giustificazioni del contribuente devono riferirsi ai singoli movimenti.

 

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14 settembre 2017

Gianfranco Antico