l’elemento oggettivo del reato si perfeziona con la mancata esibizione della documentazione obbligatoria agli agenti che ne abbiano fatto richiesta nel corso di un’ispezione e che non l’abbiano rinvenuta nel luogo in cui la stessa avrebbe dovuto essere tenuta, momento questo collimante con la consumazione del reato
Con la sentenza n. 35578 del 19 luglio 2017 la Corte di Cassazione ha affermato che “il fatto che le fatture attive, ovverosia quelle emesse dall’imputato, siano state successivamente rinvenute, ovverosia ad ispezione ultimata, non solo non esclude, ma al contrario rafforza l’elemento oggettivo del reato il quale si perfeziona con la mancata esibizione della documentazione obbligatoria agli agenti che ne abbiano fatto richiesta nel corso di un’ispezione e che non l’abbiano rinvenuta nel luogo in cui la stessa avrebbe dovuto essere tenuta, momento questo collimante con la consumazione del reato (Sez. 3, n. 3055 del 14/11/2007 – dep. 21/01/2008, Allocca, Rv. 238612; Sez. 3, n. 38376 del 09/07/2015 – dep. 22/09/2015, Palermo, Rv. 264676), tenuto conto che le norme tributarie prevedono l’obbligo di dichiarare il luogo di tenuta della suddetta documentazione. Invero allorquando venga posta in essere una condotta di occultamento il reato riveste, a differenza della condotta di distruzione anch’essa alternativamente integrante il delitto contestato, natura permanente, in ragione del perdurare della condotta di occultamento delle scritture o dei documenti sino al momento dell’accertamento fiscale che coincide con il dies a quo del termine di prescrizione”.
Rileva, inoltre, la Corte che il delitto in esame è connotato sotto il profilo soggettivo dal dolo specifico di danno che, del tutto peculiarmente rispetto altre figure delittuose del D.Lgs. 74/2000, “consiste nel fine di evasione sia diretta che indiretta atteso che il bene giuridico tutelato è costituito dall’interesse dello Stato alla trasparenza fiscale ed, in via mediata, alla percezione dei tributi. Orbene, nella fattispecie in esame, è pacifico che il ricorrente sia titolare di una ditta individuale esercente attività di commercio all’ingrosso di autoveicoli e ricambi, e che perciò svolga un attività che stando all’’id quod plerumque accidit’, come già rilevato dalla Corte territoriale, miri ad un volume di affari e sia perciò produttiva di redditi, la cui ricostruzione è stata di fatto, attraverso la condotta contestata, resa impossibile agli ispettori tributari. Siffatte circostanze, unitamente all’insussistenza di contrastanti allegazioni difensive volte a sostenere l’involontarietà della condotta, sono di per sé sufficienti ad integrare l’elemento soggettivo, ovverosia la finalità di evasione del Fisco perseguita dall’agente attraverso la sostanziale impossibilità di consentire, attraverso la dispersione delle scritture contabili, pur istituite, e le fatture, di cui è stata accertata l’esistenza, la ricostruzione dei suoi redditi”.
Breve nota
Come è noto, l’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000 prevede che, se il fatto non costituisce più grave reato, è punito chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non permettere la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari.
Fattispecie di reato che (cfr. circolare n. 154/E del 4 agosto 2000), è posta a garanzia di un corretto esercizio dell’attività accertatrice dell’Amministrazione finanziaria. La stessa circolare precisa che “ l’occultamento e la distruzione dei registri e documenti contabili costituiscono due differenti modalità di esecuzione del reato. La prima (occultamento) consiste nel tenere nascosta la contabilità, per cui la fattispecie criminosa non può ritenersi integrata qualora – ad esempio – il contribuente abbia affidato a terzi la tenuta della propria contabilità; la distruzione, invece, consiste nell’eliminazione o soppressione materiale delle scritture contabili o dei documenti ovvero nel disfacimento degli stessi, così da impedirne la semplice lettura”.
Il delitto si perfeziona con l’occultamento o la distruzione anche parziale della contabilità, purché tali da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume d’affari e risulta punibile anche il tentativo (non operando l’esclusione di cui all’art. 6), nell’ipotesi in cui, nonostante l’occultamento o la distruzione dei documenti contabili, l’Amministrazione finanziaria riesca ugualmente a ricostruire analiticamente il reddito o il volume d’affari sulla scorta di altri elementi.
Per le Entrate, inoltre, il fatto che la norma preveda l’espressione salvo che il fatto costituisca più grave reato, “esclude in particolare, il concorso fra il delitto in argomento e quello di bancarotta fraudolenta documentale, statuendo la prevalenza di quest’ultimo”.
Se con la sentenza n. 19016 del 9 maggio 2016 la Corte di Cassazione ha ritenuto che la mancata detenzione delle fatture di acquisto ed il contemporaneo rinvenimento delle fatture presso il fornitore, configura il reato di occultamento o distruzione di scritture contabili di cui all’art. 10, del D.Lgs. n. 74/2000, con la sentenza n.20265 del 15 maggio 2014, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente il reato di occultamento delle scritture contabili, ex art.10 del D.Lgs. n. 74/2000, anche in assenza di una impossibilità assoluta di ricostruire il volume d’affari o dei redditi.
Nel mezzo di queste pronunce la Corte si è ancora espressa con la sentenza n. 33504 del 30 agosto 2012 (ud. 12 aprile 2012), con cui ha affermato che l’occultamento e la distruzione delle scritture contabili costituisce un antefatto che non necessariamente deve ricorrere per la commissione del reato di cui all’art. 4, del D.Lgs. n. 74 del 2000, con la sentenza n. 20741 del 14 maggio 2013 (ud. 3 aprile 2013), con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto responsabile il contribuente, quale titolare dell’omonima ditta, del reato di cui all’art.10, del D.Lgs. n. 74 del 2000, condividendo le considerazioni svolte dal secondo giudice circa l’inverosimiglianza delle giustificazioni addotte in ordine al mancato rinvenimento delle scritture contabili (né ha dato peso alle doglianze di parte, secondo cui, nel caso di specie non era emersa in alcun modo la volontà di occultare o distruggere le scritture contabili), e con la sentenza n. 11537 dell’11 marzo 2014, dove la Corte di Cassazione ha ritenuto responsabile il contribuente del reato di occultamento di documenti contabili, non accogliendo la tesi difensiva tesa a dimostrare che le scritture contabili erano andate perse a seguito dell’allagamento del luogo in cui erano conservate.
Ancora di recente, con la sentenza n. 7686 del 19 gennaio 2017, la Corte di Cassazione penale ha confermato che il delitto di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74/2000, “tutelando il bene giuridico della trasparenza fiscale, è integrato in tutti i casi in cui la distruzione o l’occultamento della documentazione contabile dell’impresa non consenta o renda difficoltosa la ricostruzione delle operazioni, rimanendo escluso solo quando il risultato economico delle stesse possa essere accertato in base ad altra documentazione conservata dall’imprenditore e senza necessità di reperire aliunde elementi di prova (Sez. 3, n. 20748 del 16/03/2016, Capobianco, Rv. 267028). In particolare, e di conseguenza la Corte non può non rilevare la manifesta infondatezza del motivo proposto dall’odierno ricorrente, è già stato rilevato che anche l’occultamento o la distruzione di fatture ricevute da terzi (cd. fatture passive) integra il reato di cui all’art. 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, trattandosi di documenti che, oltre a rappresentare costi sostenuti e a incidere sulla ricostruzione dei redditi del destinatario di essi, sono comunque dimostrativi dell’esistenza di introiti a carico del soggetto emittente (Sez. 3, n. 15236 del 16/01/2015, Chiarolla, Rv. 263050)”. A questo proposito, osserva la Corte, “la norma incriminatrice non si limita a sanzionare l’occultamento di componenti contabili attive, dal momento che l’oggetto materiale del reato è dato genericamente dalle scritture contabili e dai documenti di cui è obbligatoria la conservazione … infatti, i rilievi della Corte di Appello, in ordine alle mancate contabilizzazioni dei ricavi derivanti dai lavori in cantieri, nei quali furono utilizzati i beni acquistati in forza delle fatture occultate, semmai confermano che la sparizione delle fatture passive ha reso maggiormente difficoltosa la ricostruzione del volume d’affari, dato l’utilizzo irregolare, sotto il profilo fiscale, di beni così acquistati senza la conservazione dell’idonea traccia contabile”.
La Corte, inoltre, non accoglie neanche il secondo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente sottolineava “l’insussistenza dell’elemento della volontaria distruzione e/o occultamento della documentazione contabile, dal momento che la documentazione era andata perduta a seguito dell’allagamento dei locali della sede della società, ed anche nei giorni successivi all’evento del 24 maggio 2009 la residua documentazione era andata smarrita per varie ragioni. Sì che le emergenze processuali deponevano nel senso dell’evento eccezionale e non prevedibile, cui fare risalire la mancata conservazione dei documenti di spesa”. In proposito, infatti, entrambi i Giudici del merito, “hanno palesato insanabili perplessità in ordine all’effettiva coincidenza tra la documentazione fiscale di cui è giudizio con la generica “documentazione”, senza alcun riferimento alle fatture ed ai documenti di trasporto in questione, che sarebbe stata vista galleggiare all’interno del locale riempito d’acqua”. Concludono i giudici sostenendo che “la pretesa giustificazione in merito alla sparizione della documentazione contabile, quindi, non ha trovato alcun solido riscontro né logico né fattuale”.
25 settembre 2017
Gianfranco Antico