Definizione liti pendenti: è previsto il caso di lieve inadempimento?

come ben sappiamo il prossimo 2 ottobre scade il versamento della prima o unica rata dovuta per aderire alla definizione delle liti pendenti: in caso di errore nel versamento è possibile ricorrere alla casistica del lieve inadempimento?

La vecchia chiusura liti

Come è noto, l’art. 39, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, aveva previsto, al al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie, la definizione delle liti fiscali di valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti alla data dell’1 maggio 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell’articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

Le liti fiscali si definivano con il pagamento di un importo fisso di 150 euro se il valore della lite non superava 2.000 euro. In questo caso non rilevavano le pronunce eventualmente rese.

Qualora detto valore superava 2.000 euro, erano dovuti i seguenti importi:

  1. 10 % del valore della lite in caso di soccombenza dell’Amministrazione finanziaria dello Stato nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare resa, sul merito ovvero sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, alla data di presentazione della domanda di definizione della lite;
  2. 50 % del valore della lite in caso di soccombenza del contribuente nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare resa, sul merito ovvero sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, alla data di presentazione della domanda di definizione della lite;
  3. 30 % del valore della lite nel caso in cui, alla medesima data, la lite penda ancora nel primo grado di giudizio e non sia stata già resa alcuna pronuncia giurisdizionale non cautelare sul merito ovvero sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio.

L’errore scusabile

La lettera d, del comma 12, dell’articolo 39, stabiliva che entro il 30 settembre 2012 gli Uffici dovevano comunicare al contribuente l’eventuale diniego della definizione.

Al riguardo, gli Uffici dovevano fare corretta applicazione del principio dell’errore scusabile, enunciato all’articolo 16, comma 9, legge n. 289/2002, secondo cui

“in caso di pagamento in misura inferiore a quella dovuta, qualora sia riconosciuta la scusabilità dell’errore, è consentita la regolarizzazione del pagamento medesimo entro trenta giorni dalla data di ricevimento della relativa comunicazione dell’ufficio”

La C.M. n. 48/E del 24 ottobre 2011 precisava che

“l’errore potrà ritenersi scusabile nelle ipotesi in cui il soggetto abbia osservato una normale diligenza nella determinazione del valore della lite e nel calcolo degli importi dovuti. La scusabilità dell’errore presuppone, di norma, condizioni di obiettiva incertezza o di particolare complessità del calcolo che debbono potersi accompagnare alla normale diligenza usata dal contribuente”.

Ove riconosceva a scusabilità dell’errore, l’Ufficio liquidava il maggior importo dovuto e invitava il contribuente ad effettuare il versamento integrativo entro 30 giorni dalla data di ricezione della comunicazione.

L’importo dovuto per la regolarizzazione, maggiorato degli interessi legali a decorrere dal giorno successivo al termine per il versamento fissato dell’articolo 39 D.L. n. 98/2011, era versato mediante il modello F24 con elementi identificativi. Anche in tal caso, era esclusa la compensazione di cui all’articolo 17 del d.lgs. n. 241 del 1997.

Qualora la parte non provvedava entro tale termine all’integrazione del pagamento, la chiusura della lite non era considerata valida e, quindi, si procedeva al diniego.

Si rileva che la circolare n. 12/2003, nel vigore della precedente definizione delle liti pendenti, aveva fatto presente che

“salvo il caso di scomputo di somme già versate, non potrà invece ritenersi scusabile, ad esempio, l’errore consistente nel versamento inferiore a 150 euro, in quanto, trattandosi dell’importo minimo determinato dalla norma, appare come errore dovuto a negligenza inescusabile. La scusabilità dell’errore va dunque riferita alla sussistenza di condizioni di obiettiva incertezza o di particolare complessità del calcolo ovvero alla mancanza di negligenza nella individuazione della somma dovuta, come potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso in cui il contribuente abbia determinato le somme dovute senza tener conto della sentenza depositata nello stesso giorno in cui viene presentata la domanda di definizione”.

Sul punto va registrata la pronuncia della Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 2723 del 4 febbraio 2011, ha allargato il concetto di errore scusabile, riconoscendolo in tutte le ipotesi in cui il pagamento sia avvenuto in misura inferiore al dovuto, indipendentemente dal fatto che ciò sia dipeso da un errore materiale, il quantum in sé, ovvero da un errore nella determinazione del valore della lite da assumere quale base di calcolo. In pratica, qualsiasi errore diventerebbe scusabile.

La nuova chiusura liti

L’art. 11, del D.L. 50 del 24 aprile 2017, ha previsto la definizione agevolata delle controversie tributarie, che ha trovato la conversione nella legge con alcune modifiche n. 96 del 21 giugno 2017.

Come è noto, sono definibili le controversie il cui ricorso sia stato notificato alla controparte entro la data di entrata in vigore del D.L. n. 50/2017 (24 aprile 2017) e per le quali alla data di presentazione della domanda il processo non si sia concluso con pronuncia definitiva.

Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’agenzia delle entrate pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite con il pagamento di tutti gli importi di cui all’atto impugnato che hanno formato oggetto di contestazione in primo grado e degli interessi da ritardata iscrizione a ruolo di cui all’art. 20 del D.P.R. n. 602/73 (gli interessi che si applicano a partire dal giorno successivo a quello di scadenza del pagamento e fino alla data di consegna al concessionario dei ruoli nei quali tali imposte sono iscritte – 4% annuo) calcolati fino al sessantesimo giorno successivo alla notifica dell’atto, escluse le sanzioni collegate al tributo e gli interessi di mora di cui all’art. 30, c. 1, del citato D.P.R. n. 602/73 (gli interessi che si applicano una volta decorso inutilmente il termine previsto dall’art. 25 del D.P.R. n. 602/73 per il pagamento).

In caso di controversia relativa esclusivamente agli interessi di mora o alle sanzioni non collegate ai tributi, per la definizione è dovuto il 40% degli importi in contestazione. Mentre, in caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun importo qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito, anche con modalità diverse dalla presente definizione.

Sono normativamente escluse dalla definizione (art. 11 c. 4) le controversie concernenti anche solo in parte:

a) le risorse proprie tradizionali previste dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera a, delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7 giugno 2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione (dazi doganali, contributi derivanti dall’imposizione di diritti alla produzione dello zucchero e dell’isoglucosio, nonche dell’Iva armonizzata UE);

b) le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’art. 16 del regolamento (UE) 2015/1589 del Consiglio, del 13 luglio 2015.

Ai sensi del comma 1 dell’articolo 11, la definizione avviene “col pagamento di tutti gli importi di cui all’atto impugnato che hanno formato oggetto di contestazione in primo grado e degli interessi da ritardata iscrizione a ruolo di cui all’articolo 20” del DPR n. 602 del 1973,

“calcolati fino al sessantesimo giorno successivo alla notifica dell’atto, escluse le sanzioni collegate al tributo e gli interessi di mora di cui di cui all’articolo 30, comma 1” del medesimo decreto.

Il successivo comma 2 dispone che, se la controversia attiene

“esclusivamente agli interessi di mora o alle sanzioni non collegate ai tributi, per la definizione è dovuto il quaranta per cento degli importi in contestazione.

In caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun importo qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione”.

Come rilevato dalle Entrate nella circolare esplicativa pubblicata (n. 22/E del 28 luglio 2017) il cosiddetto “importo lordo dovuto”, cioè la somma dovuta per la definizione è costituita:

  • da tutti gli importi spettanti all’Agenzia delle entrate, richiesti con l’atto impugnato, nella misura in cui sono stati contestati con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, con esclusione solo delle sanzioni pecuniarie amministrativo-tributarie collegate al tributo. In particolare, per quanto concerne gli interessi, occorre tener conto di quelli di cui all’atto impugnato calcolati fino alla data di notifica dell’atto stesso;
  • dagli interessi per ritardata iscrizione a ruolo di cui all’articolo 20 del DPR n. 602 del 1973, calcolati sull’importo dei tributi recati dall’atto impugnato per il periodo che va dalla data di notifica dell’atto medesimo fino al sessantesimo giorno successivo.

Per le liti vertenti unicamente sugli interessi di mora o sulle sanzioni non collegate al tributo, l’importo lordo dovuto è costituito dal 40% di quello in contestazione.

Per le liti che attengono esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, la circolare pubblicata precisa che occorre verificare se l’importo relativo agli stessi tributi sia stato definito con altra tipologia di definizione (ad esempio, definizione dei carichi affidati all’agente della riscossione, ex articolo 6 del DL n. 193 del 2016) o sia stato, comunque, pagato; in tali casi, la lite si definisce senza versare alcun importo, vale a dire con la sola presentazione della domanda di definizione entro il 2 ottobre 2017.

Il diniego alla definizione

Agli Uffici dell’Agenzia delle entrate spetta il compito di verificare la regolarità della domanda e la ricorrenza dei presupposti richiesti e l’eventuale diniego di definizione, che deve essere notificato al contribuente entro il 31 luglio 2018.

Come indicato nella C.M. n. 22/E del 28 luglio 2017, le verifiche da svolgere riguardano la sussistenza dei presupposti, formali e sostanziali, per la validità e il perfezionamento della definizione, avuto riguardo, tra l’altro:

  • alla definibilità della lite (appartenenza della controversia alla giurisdizione tributaria; qualità di parte dell’Agenzia delle entrate…);
  • alla tempestività della domanda di definizione, anche nel caso in cui non vi siano importi da versare;
  • al corretto ammontare degli importi versati;
  • alla tempestività dei versamenti.

Modalità di versamento

Il comma 5, dell’articolo 11, del D.L.n.50/2017, in ordine alle modalità versamento degli importi dovuti richiama le disposizioni previste dall’art.8 del D.Lgs. n.218/97, con riduzione però a 3 del numero massimo di rate. Né è ammesso il pagamento rateale se gli importi dovuti non superano 2.000 euro.

Il termine per il pagamento degli importi dovuti o della prima rata, di importo pari al 40 % del totale delle somme dovute, scade il 30 settembre 2017 e il contribuente deve attenersi ai seguenti ulteriori criteri:

a) per il 2017, la scadenza della seconda rata, pari all’ulteriore 40% delle somme dovute, è fissata al 30 novembre;

b) per il 2018, la scadenza della terza e ultima rata, pari al residuo 20% delle somme dovute, è fissata al 30 giugno.

Dall’errore scusabile al lieve inadempimento

Come abbiamo visto, nella nuova definizione liti pendenti non si fa più cenno all’errore scusabile. Ciò probabilmente perché, in ordine alle modalità di versamento, il richiamo del legislatore all’art. 8, del D.Lgs. n. 218/97, potrebbe aprire la strada al lieve inadempimento.

Infatti, per effetto di quanto previsto dal comma 4, dell’articolo 8, D.Lgs. n. 218/97, in caso di inadempimento nei pagamenti rateali si applicano le disposizioni di cui all’art.15-ter del D.P.R.n.602/73, norma che esclude la decadenza in caso di lieve inadempimento dovuto a:

a) insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3% e, in ogni caso, a 10 mila euro;

b) tardivo versamento della prima rata, non superiore a 7 giorni.

Tale norma si applica per quel che qui ci interessa anche con riguardo al versamento in unica soluzione o della prima rata delle somme dovute ai sensi dell’art. 8, comma 1, del citato D.Lgs. n. 218/97.

12 settembre 2015

Gianfranco Antico