prendendo spunto da un sentenza di Cassazione, analizziamo quando scatta l’obbligo della transazione fiscale per un concordato preventivo che intende falcidiare anche i debiti tributari; ricordiamo che la normativa sul tema ha subito numerose variazioni pur essendo recente
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 21484 del 15.9.2017, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti in tema di obbligo di transazione fiscale.
Nel caso di specie il Tribunale di La Spezia aveva omologato (su opposizione dell’Agenzia delle Entrate) la proposta di concordato preventivo presentata da un contribuente, prevedente il pagamento del creditore ipotecario e del 10% di tutti gli altri creditori inclusi in un’unica classe, comprendente anche i crediti tributari privilegiati, rappresentati per la maggior parte da IVA.
La Corte di appello di Genova rigettava il reclamo dell’Agenzia delle Entrate, rilevando la facoltatività della transazione fiscale e ritenendo che la reclamante non avesse fornito la prova della capienza dei tributi, ai sensi dell’art. 160, c. 2, L.F. nell’ipotesi di liquidazione.
Contro il decreto della Corte di appello, l’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, denunciando la violazione degli artt. 160 e 182-ter L.F., per avere la Corte di appello considerato il concordato fiscale meramente facoltativo, e ammesso, in mancanza di esso, la falcidia dei crediti tributari, e in particolare del credito IVA, suscettibile solo di dilazione e non appunto di falcidia.
L’Agenzia denunciava poi anche violazione degli artt. 2697 c.c. e 160 cpv. L.F., avendo la Corte ligure motivato il rigetto con l’affermazione che competeva all’Agenzia delle Entrate provare che con la liquidazione ordinaria la percentuale dei crediti tributari privilegiati non sarebbe stata superiore al 10%, occorrendo tener conto che l’IVA è privilegiata su tutti i beni mobili.
Secondo la Suprema Corte il primo motivo di ricorso era infondato.
Evidenziano infatti i giudici di legittimità che l’art. 182-ter L.F. prevede la facoltà per il debitore di proporre, in seno ad una procedura di concordato preventivo, ovvero di accordo di ristrutturazione dei debiti, una transazione fiscale per i crediti tributari e previdenziali.
L’art. 182-ter, c. 1, L.F., ha introdotto un regime privilegiato per i crediti IVA, escludendone la falcidiabilità concordataria e, dunque, sancendo l’intangibilità del relativo debito, lasciando, tuttavia, al debitore la possibilità di proporre la dilazione del pagamento.
Tale essendo il quadro normativo, secondo la Corte, la decisione impugnata era tuttavia conforme all’orientamento accolto dalle Sezioni Unite (SS.UU., n. 26988/2016), le quali, chiamate a
“stabilire se la previsione dell’infalcidiabilità del credito IVA di cui all’art. 182 ter, legge fall., trovi applicazione solo nell’ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale, fattispecie alla quale la norma fa espresso riferimento, ovvero anche nell’ipotesi di concordato preventivo proposto senza fare ricorso all’istituto disciplinato dall’art. 182 ter legge fall.“,
hanno optato per la facoltatività dell’istituto della transazione fiscale.
Questa impostazione, secondo la Corte, trova fondamento nella lettera dello stesso art. 182-ter L.F. (nel testo applicabile ratione temporis) che, nel suo incipit, prevedeva che il debitore, con il piano, può proporre la transazione fiscale.
Ne conseguiva quindi che il debitore (almeno secondo la disciplina vigente ratione temporis, ossia prima della modifica dell’art. 182-ter L.F., in vigore dal gennaio 2017) era legittimato a scegliere tra due ipotesi diverse di concordato: quella principale, di cui all’art. 160 L.F., che prescinde da un previo accordo con l’Erario, e la procedura di concordato con transazione fiscale, speciale rispetto alla prima, che viene in rilievo solo quando vi siano debiti tributari, la cui presenza, però, non esclude il ricorso a un concordato preventivo senza transazione fiscale.
Dunque, in ragione del carattere di specialità rispetto al concordato preventivo senza transazione fiscale, l’art. 182-ter, c. 1, L.F., come modificato dall’art. 32 del d.l. n. 185 del 2008, conv. con L. n. 2 del 2009, laddove esclude la falcidia sul capitale dell’IVA, così sancendo l’intangibilità del relativo debito, costituisce un’eccezione alla regola generale, stabilita dall’art. 160, c. 2, L.F., della falcidiabilità dei crediti privilegiati, compresi quelli relativi ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, e trova, quindi, applicazione solo nella speciale ipotesi di proposta di concordato accompagnata da una transazione fiscale.
Il divieto di falcidia, conclude la Corte, ha, dunque, una portata derogatoria della disciplina dettata per il concordato, posto che, se il legislatore avesse voluto attribuirgli una portata generale, lo avrebbe introdotto nell’art. 160 L.F.e non nell’art. 182-ter L.F..
L’impostazione seguita dalle Sezioni Unite si conforma, del resto, anche alla sentenza 7 aprile 2016, pronunciata, nella causa C-546/14, dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, la quale ha dichiarato compatibile con l’art. 4, paragrafo 3, TUE, nonché con gli artt. 2, 250, par. 1, e 273 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune dell’IVA, una normativa nazionale (come la legge fallimentare italiana) che ammetta la falcidiabilità dell’imposta sul valore aggiunto in sede di concordato preventivo, in ragione della serietà del procedimento destinato a verificare l’impossibilità di una maggiore soddisfazione sul ricavato nell’ipotesi di liquidazione, preso atto della collocazione preferenziale del credito.
Il legislatore italiano attribuisce infatti a un imprenditore in stato di insolvenza la facoltà di presentare al giudice la domanda di apertura di una procedura di concordato preventivo (al fine di saldare i propri debiti mediante la liquidazione del suo patrimonio) con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito IVA, affidando, proprio per garantire la serietà del procedimento, ad un esperto indipendente, in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, c. 3, lett. d, il compito di attestare se, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, il debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di fallimento (art. 160, cpv., L.F., cfr. Sez. 1, 13 luglio 2016, n. 18561).
Tanto premesso, il secondo motivo di ricorso, invece, secondo la Corte, era fondato, posto che, diversamente da quanto affermava il controricorrente, la Corte di merito non aveva per l’appunto accertato il valore dei beni e dei diritti oggetto di prelazione sulla base della relazione giurata di un professionista, così come previsto dall’art. 160 cpv. L.F., ma aveva solo riversato sull’Agenzia delle Entrate l’onere di provare il contrario, ossia che con la liquidazione ordinaria la percentuale dei crediti tributari privilegiati non sarebbe stata superiore al 10%.
Come detto, infatti, pur in mancanza di transazione fiscale, i crediti IVA potevano essere falcidiati con il meccanismo previsto dell’art. 160, c. 2, L.F., che consente, in linea generale, la detta falcidia solo quando l’incapienza dei beni su cui grava il privilegio, sia attestata dalla relazione giurata di un professionista, in possesso dei requisiti previsti dall’art. 67, c. 3, lett. d), L.F., e sia previsto il soddisfacimento dei creditori di grado inferiore con l’intervento esclusivo della cosiddetta “finanza esterna” (Sez. 1, 13 luglio 2016, n. 18561).
Tanto premesso sullo specifico caso giurisprudenziale, di seguito, qualche ulteriore riflessione, anche alla luce della nuova disciplina entrata in vigore nel 2017.
Come visto, infatti, la transazione fiscale di cui all’art. 182–ter cit, così come disciplinata fino allo scorso anno, prevedeva la possibilità di dilazionare, ovvero di stralciare parzialmente, alcuni debiti fiscali, ivi compresi i contributi previdenziali ed assistenziali.
Tale previsione trovava però un’eccezione per quanto riguarda l’IVA e le ritenute, per le quali era possibile proporre esclusivamente la dilazione del pagamento, essendo esclusa la possibilità di stralciare il valore nominale del relativo debito.
Tele disciplina è stata però poi modificata ad opera della legge di Bilancio 2017 (articolo 1, comma 81, L. 232/2016), che ha modificato l’articolo 182-ter L.F. prevedendo che con il piano di cui all’articolo 160 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi (IVA e ritenute compresi).
La possibilità di stralciare i debiti tributari è comunque possibile solo laddove il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.
Inoltre, il nuovo testo dell’articolo 182 ter prevede che laddove il debito tributario o contributivo sia assistito da un privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori o meno vantaggiosi rispetto a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore, o a quelli che hanno una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie.
L’articolo 182–ter, così come modificato dalla legge di Bilancio 2017, stabilisce inoltre che in presenza di un pagamento parziale di un debito tributario o contributivo privilegiato, la quota di credito degradata al chirografo dovrà essere sempre inserita in un’apposita classe, e non confusa con gli altri creditori chirografari.
Laddove invece il debito tributario o contributivo abbia natura chirografaria, il trattamento riconosciuto nella proposta concordataria non potrà essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari, ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole.
In conclusione, dal 2017, la transazione fiscale può riguardare, nell’ambito di un concordato ovvero di un accordo di ristrutturazione del debito, anche lo stralcio del debito IVA e delle ritenute, in ragione della collocazione preferenziale del debito, avuto riguardo al ricavato in caso di liquidazione indicato nell’attestazione del professionista indipendente.
E il consenso del Fisco non sarà indispensabile per l’omologazione della procedura, essendo sempre sufficiente il raggiungimento del voto favorevole della maggioranza dei creditori (calcolata sulla base dell’ammontare del debito e non per teste).
Nella composizione della crisi da sovraindebitamento è invece ancora necessario prevedere il pagamento integrale dell’IVA e delle ritenute (articolo 7, comma 1, della L. 3/2012).
In conclusione, la disciplina delle procedure concorsuali, nel tempo, è stata oggetto di riforma per effetto di vari provvedimenti legislativi.
Nell’ambito di tali provvedimenti è stato introdotto anche l’istituto della transazione fiscale.
L’istituto della transazione fiscale costituisce, in sostanza, una particolare procedura “transattiva” tra il fisco ed il contribuente, esperibile in sede di concordato preventivo e accordi di ristrutturazione, avente ad oggetto la possibilità di pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato, oltre che di quello chirografario.
La presentazione di copia della domanda debitamente documentata, sia al competente agente della riscossione sia al competente Ufficio dell’Agenzia delle Entrate, costituisce un onere il cui assolvimento rileva come requisito di ammissibilità della transazione fiscale.
Entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda di transazione, l’Ufficio, previa verifica del rispetto dei requisiti posti dalla legge per l’ammissibilità della proposta di transazione, dovrà provvedere, qualora ne ricorrano i presupposti, ai necessari adempimenti connessi con l’attività di controllo (liquidazione tributi risultanti dalle dichiarazioni e notifica delle relative comunicazioni di irregolarità; notifica avvisi di accertamento).
L’avvio della transazione fiscale, visto che la proposta di transazione deve essere presentata unitamente alla domanda di concordato, coincide dunque con l’inizio della procedura di concordato preventivo.
La proposta di transazione fiscale deve essere sottoscritta dal debitore e depositata al Tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria sede principale, unitamente al ricorso di cui all’art. 161 della legge fallimentare.
Una volta presentata la domanda, entro i trenta giorni successivi, il Concessionario deve trasmettere al debitore una certificazione attestante l’entità del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso.
In questo stesso termine l’Ufficio deve liquidare i tributi risultanti dalle dichiarazioni e notificare eventuali avvisi di irregolarità.
L’Ufficio provvede anche a emettere una certificazione attestante l’entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi, per la parte non iscritta a ruolo, nonché da ruoli vistati, ma non ancora consegnati al concessionario.
In sostanza, il Concessionario e l’Ufficio “fotografano” la situazione debitoria del contribuente per quanto attiene ai debiti oggetto della domanda, e determinano la base di partenza per l’eventuale transazione.
La procedura di adesione prevede dunque:
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il rilascio da parte dell’Ufficio (entro il termine di trenta giorni) degli avvisi di irregolarità e della certificazione;
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la trasmissione di tali documenti al Commissario giudiziale, successiva al decreto di ammissione al concordato preventivo (art. 163 della legge fallimentare);
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la convocazione dei creditori (art. 171 della legge fallimentare) e la redazione della relazione (art. 172 delle legge fallimentare) nella quale vengono descritte le cause del dissesto, la condotta del debitore, le proposte di concordato e le garanzie offerte ai creditori. Entrambe le procedure sono espletate dal Commissario giudiziale;
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la partecipazione al voto, in sede di adunanza dei creditori, del Direttore dell’Ufficio e del Concessionario, previa acquisizione del parere della Direzione Regionale.
In caso d’accordo, l’Amministrazione Finanziaria si pronuncerà a favore della chiusura della procedura.
La chiusura della procedura di concordato avviene tramite decreto di omologazione e determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi per i quali si è perfezionata la transazione.
In caso di diniego alla proposta transattiva, l’Ufficio dovrà invece formulare le opportune contestazioni alla soluzione concordataria. Le eccezioni dovranno essere formulate già in sede di adunanza, senza attendere la fase dell’opposizione per rappresentare all’organo giudiziario le ragioni alla base del diniego.
25 settembre 2017
Giovambattista Palumbo