Accertamento anticipato: se l’accesso è negativo non si aspetta

sono tanti i casi di contenzioso in tema di accertamento anticipato: la norma prevista dallo Statuto del contribuente trova applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente

Commercialista Telematico | Software fiscali, ebook di approfondimento, formulari e videoconferenze accreditateLa Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15783 del 23 giugno 2017, ha confermato che le garanzie proprie dell’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, si hanno solo nei casi di controlli esterni effettivamente avvenuti.

Il fatto

L’Ufficio notificava ad A.T. un avviso di accertamento per la ripresa a tassazione di IRPEF, IRAP e IVA relative all’anno 2007.

La CTP di Trieste accoglieva il ricorso con sentenza confermata dalla CTR. Secondo il giudice di appello l’obbligo del contraddittorio preventivo, sancito dall’art. 12, c. 7, L. n. 212/2000, riguardava qualunque accertamento, anche in assenza di accesso presso la sede del contribuente.

Le doglienze delle Entrate

Secondo le Entrate, non trova applicazione l’art. 12, c. 7, della L. n. 212/2000, atteso che la CTR non avrebbe considerato che nell’ipotesi di accertamento nel quale la verifica della documentazione era avvenuta, su espressa richiesta della contribuente, presso l’Agenzia, dopo la notifica di pvc con il quale l’ufficio, preso atto che nel corso dell’accesso ai locali dell’impresa non era stata rinvenuta alcuna documentazione, aveva richiesto l’acquisizione della stessa alla parte contribuente.

La sentenza

La Corte prende le mosse dal richiamo del pronunciamento a Sezioni Unite (sent. n. 24823/2015), che ha chiarito che le garanzie fissate nell’art. 12, c. 7, L. n. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni.

Nella medesima occasione le Sezioni Unite hanno chiarito che “Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi ‘non armonizzati’, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi ‘armonizzati’, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto”. Osserva, quindi, la Corte che la decisione impugnata si pone in contrasto con gli enunciati principi di diritto, “se solo si consideri, quanto alla pretesa fiscale relativa ad IRPEF e IRAP, che l’accesso presso i locali della parte contribuente inizialmente operato dall’ufficio, successivamente conclusosi con il pvc del 19.10.2012, non ha dato luogo ad alcuna verifica documentale poiché, a causa della cessazione dell’attività, non è stata acquisita alcuna documentazione. Tutto ciò lascia ritenere che, in assenza di un reale accesso correlato allo svolgimento di attività di verifica, non poteva ipotizzarsi alcun obbligo di contraddittorio preventivo con riguardo al successivo esame della documentazione inoltrata dalla contribuente all’Ufficio ed esaminata fuori dai locali del contribuente. Elementi che escludevano, pertanto, di potere ritenere applicabile l’art. 12 c.7 l. n. 212/2000”.

E in ogni caso, osservano i massimi giudici, la CTR avrebbe dovuto verificare che il contribuente aveva assolto l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, ed ancora che “… l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede e al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto cfr. Cass. SS.UU. n. 24823/2015.

 

Breve nota

Come è noto, con l’ordinanza n.5362 del 17 marzo 2016, la Corte di Cassazione nel confermare (richiamando il pronunciamento a Sezioni Unite, sentenza n. 24823/2015) che “le garanzie fissate nell’art. 12, comma 7, l. 212/2000 trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente; ciò, peraltro, indipendentemente dal fatto che l’operazione abbia o non comportato constatazione di violazioni”, ha ribadito che “ Differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’ atto. Ne consegue che, in tema di tributi ‘non armonizzati’, l’obbligo dell’ Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi ‘armonizzati’, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto“. In pratica, per la Corte la previsione dell’art. 12, c. 7, L. n. 212/2000 “non è fonte di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell’Amministrazione fiscale”; e, dunque, non sussiste nessun obbligo da parte dell’Amministrazione, “ogni qual volta si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente e pur in assenza di specifica norma positiva che per quel provvedimento lo sancisca, di attivare con l’interessato contraddittorio preventivo, pena l’invalidità dell’atto”.

E l’intervento ultimo della Corte di Cassazione appare particolarmente interessante in quanto garantisce il rispetto dell’art. 12, c. 7, L. n. 212/2000 solo se vi è è stato effettivamente un accesso.

È noto che il rispetto e la salvaguardia, dedicata dal legislatore, alla mera possibilità concessa al contribuente di far seguire “osservazioni e richieste”, dopo la conclusione della verifica, nonché la conseguente necessità di valutare la fondatezza delle eventuali eccezioni rappresentate, impongono di fatto all’attività di accertamento una battuta d’arresto, che la norma contiene in almeno 60 giorni.

Come si è già avuto modo di affermare, il fine del legislatore consiste nel costringere l’Ufficio ad un’attività di lettura critica del processo verbale e, se del caso, ad intervenire fattivamente nell’integrazione degli elementi di accertamento eventualmente errati o carenti, sulla base di precisi imput forniti dal contribuente, senza mai rinunciare al potere–dovere di valutazione autonoma degli elementi sui quali si fonda la pretesa.

In forza della disposizione contenuta nell’art. 12, c. 7, L. n.212/2000, la fase temporale che segue la verifica, ma precede l’emissione dell’atto di accertamento, è stata opportunamente valorizzata dal legislatore, consentendo al contribuente, se lo ritiene opportuno, di assumere una posizione attiva nel procedimento di accertamento tributario.

La norma citata è stata oggetto di un significativo passaggio giurisprudenziale a Sezioni Unite (sentenza n. 18184 del 29 luglio 2013) che ha prescritto che l’inosservanza del termine dilatorio per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, determina, fatte salve specifiche ragioni di urgenza, la illegittimità dell’atto ante tempus, pur se il vizio invalidante non deriva dalla omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito.

Ma sempre che l’accesso ci sia stato effettivamente.

18 settembre 2017

Gianfranco Antico