Le cessioni gratuite di beni a VIP con scopi pubbblicitari

Analizziamo le problematiche fiscali inerenti le cessioni gratuite di beni a personaggi famosi (i cosiddetti VIP) con scopi pubbblicitari: rappresentano spese di pubblicità o di rappresentanza?

sentenza corte di cassazioneCessioni gratuite di beni a personaggi famosi a scopo pubblicitario

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8121/2016, affronta il caso del regime Iva delle spese in esame, le cui conclusioni si possono estendere alle imposte sui redditi, di una nota casa di moda che, come di prassi nel settore, cede gratuitamente propri abiti griffati a importanti personaggi del mondo del spettacolo (Vip), affinché, indossandoli, accrescano presso il pubblico la notorietà e la visibilità dei capi stessi e della impresa produttrice.

 

 

Spese di pubblicità o di rappresentanza?

L’impresa aveva classificato i costi derivanti da tali omaggi tra le Spese di pubblicità, deducendoli integralmente nella determinazione del reddito e detraendo l’Iva a essi relativa.

L’Agenzia delle Entrate aveva invece rettificato la dichiarazione del contribuente, classificando le cessioni tra le Spese di rappresentanza.

La Cassazione, dopo aver ricordato preliminarmente i principi generali che sovraintendono all’individuazione delle Spese di rappresentanza (come prima richiamati), sottolinea che la cessione di abiti griffati ai Vip è stata effettuata dalla maison

«al di fuori di ogni patto contrattuale e di ogni consequenziale obbligo giuridico di indossarli in manifestazioni pubbliche».

 

Si è dunque in presenza di una fattispecie caratterizzata non solo dalla gratuità della dazione (caratteristica, richiamata dalla Cassazione n.10910/2015, che qualifica le Spese di rappresentanza), data l’assenza di alcun obbligo (se non morale) del Vip a promuovere il capo ricevuto, ma anche dalla carenza di certezze che il pubblico abbia la reale percezione che il capo indossato dal Vip appartenga alla griffe, salvo che non si accompagni ad una ulteriore comunicazione da parte del Vip medesimo (peraltro non richiesta da alcun vincolo contrattuale).

Secondo i giudici della Cassazione, questi elementi giustificano l’inquadramento dei costi in argomento fra le Spese di rappresentanza.

I principi enunciati dalla Cassazione nella citata sentenza (che si riferisce a una vicenda anteriore alle novità normative introdotte dalla legge 244/2007), si rinvengono anche nella normativa attualmente vigente.

 

 

Spese di rappresentanza

Secondo il D.M. 19.11.2008, i costi sostenuti quali Spese di rappresentanza hanno le seguenti caratteristiche:

  1. della gratuità;
  2. sono sostenuti per fini promozionali o di pubbliche relazioni, sicché vi rientrano anche i costi relativi alle cessioni di beni o servizi gratuiti a favore di soggetti (diversi dai clienti) con i quali l’impresa può avere interesse a coltivare relazioni.

Pertanto, le cessioni gratuite di abiti ai Vip, laddove non sussista alcun vincolo contrattuale per questi ultimi a indossare e mostrare pubblicamente tali beni, presentano dunque entrambe le caratteristiche individuate dal decreto ministeriale, sicché è da ritenere che esse si debbano inquadrare fra le Spese rappresentanza.

È chiaro che, alla presenza di tali vincoli contrattuali, è da ritenere che i costi sostenuti per i capi ceduti, hanno il carattere di una ordinaria Spesa commerciale o di pubblicità, al pari di quelli sostenuti per compensi erogati a testimonials (sportivi, artisti, ecc.) utilizzati per campagne promozionali.

 

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28 luglio 2017

Antonino Pernice