L'amministratore di condominio deve aprire la partita IVA?

un pensionato (che non esercita alcuna attività di lavoro autonomo), già amministratore del condominio del fabbricato dove abita, intende assumere l‘amministrazione anche del palazzo vicino; se accetta il secondo incarico diventa obbligatorio aprire la partita Iva?

faq-ctQUESITO

Un pensionato (che non esercita alcuna attività di lavoro autonomo), già amministratore del condominio del fabbricato ove abita, intende assumere l‘amministrazione anche del palazzo vicino. Per il fatto di amministrare due condomini diventa obbligatorio aprire la partita Iva?

RISPOSTA

Nel caso descritto nel quesito, l’obbligo di apertura della partita iva per il solo numero di condomini amministrati, non sussiste.

Di seguito esplichiamo i motivi della risposta.

L’apertura della posizione Iva deve essere effettuata entro trenta giorni dall’inizio di una attività rilevante a tali fini, ossia d’impresa, di arte o professione.

La norma individua il presupposto soggettivo per l’applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto negli articoli 4 (in relazione alle imprese) e 5 (per gli esercenti arti o professioni) del DPR 633/72. Affinché sussista l’obbligo di apertura della partita Iva deve pertanto essere soddisfatto il requisito previsto in uno di questi due articoli.

Nel caso specifico l’incarico di amministratore di condominio, se conferito ad una persona fisica, integra naturalmente un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. Escluso pacificamente che il caso ricada nell’art. 4, deve peraltro essere esaminato se, ed in quali circostanze, sussistano i presupposti soggettivi per ritenere tale attività rientrante nella previsione del primo comma dell’art. 5 e costituire esercizio di Arti o professioni.

Il primo comma dell’art. 5 individua il presupposto soggettivo per l’applicazione del tributo Iva nell’esercizio di arti o professioni intendendo “l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche…”.

A tale generica e ampia previsione segue, tuttavia, la deroga contenuta nel secondo comma del medesimo articolo che precisa come Non si considerano effettuate nell’esercizio di arti e professioni le prestazioni di servizi inerenti le prestazioni di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art 49 del DPR 29 settembre 1973, n. 5971rese da soggetti che non esercitano per professione abituale altre attività di lavoro autonomo”.

Dalla lettura del secondo comma appare evidente che intenzione del legislatore è stata quella di escludere dal novero delle arti e professioni rilevanti ai fini Iva tutte le collaborazioni coordinate e continuative rese da soggetti che non svolgessero già per professione abituale un’altra attività di lavoro autonomo (aventi, pertanto, già la partiva Iva).

Per la descrizione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa la disciplina Iva rimanda alla normativa sulle imposte dirette, che vede oggi tali rapporti disciplinati dall’art. 50 (tra i redditi assimilati a lavoro dipendente) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (DPR 917/86), dopo l’iniziale collocazione tra i redditi di lavoro autonomo dell’art. 53, naturale discendenza del precedente art. 49 del DPR 597/73 (il cui richiamo permane nell’attuale testo dell’art 5 Iva).

Il comma 1, lettera c-bis, dell’articolo 50 TUIR definisce redditi assimilati a lavoro dipendente: “c-bis) le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a collegi e commissioni, nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita, sempreché gli uffici o le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente di cui all’articolo 49, comma 1, concernente redditi di lavoro dipendente, o nell’oggetto dell’arte o professione di cui all’articolo 53, comma 1, concernente redditi di lavoro autonomo, esercitate dal contribuente;…”.

La norma ricalca quanto precedentemente previsto all’art. 53 (e prima ancora dall’art. 49), quando tali redditi erano collocati tra quelli di lavoro autonomo non professionale, con previsione in deroga analoga a quella prevista ai fini iva. L’intenzione del Legislatore di non fare assurgere i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ad ipotesi di attività professionale è infatti sempre stata evidente, per espressa precisazione contenuta nella relazione governativa alla bozza di testo Unico, ove si legge espressamente che: ”agli effetti tributari, i rapporti in questione, anche se plurimi, non costituiscono di per sé, esercizio di arti e professioni”2.

Appare pertanto chiaro, dall’esame del quadro normativo di riferimento, che solo in presenza di soggetto che già eserciti una attività di lavoro autonomo, tali redditi possano trovare attrazione nell’attività professionale, non operando la previsione dell’art 50.

La medesima previsione non si applica altresì allorquando tali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa vengano realizzati con l’impiego di mezzi organizzati, integrando l‘esercizio di una vera e propria attività di lavoro autonomo (si pensi ad esempio, ad un soggetto che si struttura, aprendo uno studio apposito, per la gestione di condomini dotandosi di mezzi informatici…). In tal caso è necessario dotarsi della partita iva con codice attività 68.32.00.

Benché l’Amministrazione Finanziaria abbia tentato timidamente, con la Circolare 77 del Ministero delle Finanze del 24/12/92, di sostenere la rilevanza Iva delle prestazioni degli amministratori di condominio che non fossero svolte in modo strettamente occasionale, tale impostazione è stata ampiamente negata dalla giurisprudenza. In particolare, la Cassazione, Sez. III Penale, con la sentenza n. 6308 del 29 maggio 1998 ha così ridimensionato la portata interpretativa di detta circolare: “Tale semplicistica soluzione non può trovare conforto neppure nella circolare del Ministero delle Finanze (n. 77 del 24 dicembre 1992), richiamata dal Tribunale a suffragio della propria tesi, sia perché essa è ovviamente sprovvista di qualsiasi valore normativo o interpretativo autentico, sia perché la stessa, seppure ‘in tesi generale’, ribadisce proprio il principio che l’attività di amministratore di condominio, quando presenti i requisiti delineati dalla norma, rientra ‘nell’ambito delle figure atipiche dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui al comma 2 dell’art. 49 del menzionato Testo Unico’”.

La sentenza, ritenuta il punto di riferimento in ambito dottrinale sulla questione, riguardava il caso, la cui difesa in sede tributaria è stata impostata dallo scrivente, di un dipendente pubblico che, in assenza di qualsivoglia organizzazione di mezzi, amministrava un numero di condomini pari a otto.

I giudici di legittimità hanno testualmente stabilito:

Non appare, infatti, condivisibile l’argomento principe posto dai giudici di merito a base dell’impugnata decisione, e cioé che l’attività di collaborazione dell’amministratore condominiale può ritenersi “continuativa e coordinata” solo quando si esplichi a servizio di uno o al massimo di due soggetti, dovendosi invece considerare sempre lavoro autonomo professionale se prestato a favore di una molteplicità di condominii.

Come sopra affermato, infatti, sono altri (e ben individuati) i criteri distintivi tra le dette attività, e non può ricollegarsi la qualifica di attività professionale autonoma al solo parametro del numero di condominii serviti, a meno che esso non sia tale da rendere imprescindibile una certa struttura organizzativa per fronteggiare la bisogna.

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In conclusione solo se e quando l’attività venga posta in essere in forma organizzata devono ritenersi sussistenti gli obblighi di apertura della posizione Iva ed il soggetto realizzerà un reddito di lavoro autonomo; in caso contrario, salvo che il soggetto intenda (per propria scelta) aprire la Partita Iva per fruire della determinazione analitica dei propri redditi3, esso realizzerà uno o più redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente.

Le conclusioni sopra rassegnate non mutano, a giudizio dello scrivente, neppure alla luce della riforma del Codice Civile apportata con la Legge 11 dicembre 2012, n. 220 (Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici) che ha previsto, all’art. 25, particolari requisiti per svolgere l’incarico di amministratore4.

Al pari di ciò che accade per rivestire altri ruoli per i quali sono necessari particolari requisiti soggettivi (si pensi ai membri di collegi sindacali di società o enti, ovvero ai revisori per i quali è necessaria l’iscrizione all’apposito Registro dei Revisori Legali o all’Elenco Revisori Enti Locali) tali incarichi integrano sempre, naturalmente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ove non siano svolti, come nel caso del quesito, sotto forma di attività professionale.

Qualora l’amministrazione di condominio sia invece affidata ad una società, anziché ad una persona fisica (fattispecie ora ammessa espressamente dal nuovo articolo 71-bis delle diposizioni attuative del Codice Civile), opererà in ogni caso l’attrazione ai fini Iva nell’attività d’impresa, stante la previsione dell’art. 4, comma 2, punto 1) del DPR 26 ottobre 1972, n. 633.

7 aprile 2017

Filippo Mangiapane

1 A seguito dell’introduzione del TUIR e delle modifiche ad esso apportate, il richiamo normativo deve essere oggi riferito all’art 50, c. 1, del DPR 917/86, giusta l’art. 34, c. 3 L. 342/2000.

2 Cfr. Relazione governativa all’art 49 della bozza di Testo Unico delle Imposte sui Redditi.

3 Nel caso di attività professionale il reddito è determinato per differenza tra compensi e spese, mentre per i redditi assimilati a lavoro dipendente il reddito è sottoposto a imposizione sulla base delle sole somme percepite, con riconoscimento di una detrazione forfetaria d’imposta.

4 Art. 25: Dopo l’articolo 71 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie sono inseriti i seguenti: “Art. 71-bis. Possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio coloro:

a) che hanno il godimento dei diritti civili;

b) che non sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni;

c) che non sono stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione;

d) che non sono interdetti o inabilitati;

e) il cui nome non risulta annotato nell’elenco dei protesti cambiari;

f) che hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado;

g) che hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale.

I requisiti di cui alle lettere f) e g) del primo comma non sono necessari qualora l’amministratore sia nominato tra i condomini dello stabile.

Possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio anche società di cui al titolo V del libro V del codice. In tal caso, i requisiti devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condominii a favore dei quali la società presta i servizi.

La perdita dei requisiti di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del primo comma comporta la cessazione dall’incarico. In tale evenienza ciascun condomino può convocare senza formalità l’assemblea per la nomina del nuovo amministratore.

A quanti hanno svolto attività di amministrazione di condominio per almeno un anno, nell’arco dei tre anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e’ consentito lo svolgimento dell’attività di amministratore anche in mancanza dei requisiti di cui alle lettere f) e g) del primo comma. Resta salvo l’obbligo di formazione periodica”.