L’azione di responsabilità civile verso gli amministratori è estesa in caso di fallimento ai fatti lesivi della par condicio

l’azione di responsabilità verso gli amministratori è un argomento molto importante: in questo articolo analizziamo cosa succede in caso di fallimento se il curatore scopre atti effettuati in violazione della par condicio creditorum

In materia di responsabilità degli amministratori nei confronti della massa dei creditori, la giurisprudenza della Suprema Corte è pervenuta ad un arresto importante che ribalta l’orientamento nella giurisprudenza di merito in relazione al trattamento dei pagamenti eseguiti dall’amministratore (o dal liquidatore) in violazione della par condicio.

Il caso esaminato è classico: in un fallimento il curatore si costituisce parte civile nel processo penale avviato per fatti di bancarotta preferenziale; l’imputato patteggia senza il consenso (non previsto) della parte civile che, a quel punto, per gli stessi fatti chiama in giudizio in sede civile sia l’amministratore che il beneficiario dei pagamenti, addebitandogli la lesione alla par condicio.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello negano la legittimazione attiva del curatore disconoscendo natura di azione di massa alla sua domanda risarcitoria sostenendo che il pagamento preferenziale non sarebbe idoneo a recare alcun danno al patrimonio sociale ma solo ai creditori lesi il cui interesse può essere direttamente tutelato ex art 2395 c.c. a fallimento chiuso (cfr. Trib. Milano, 22/12/2010 e Trib. Milano, 18/01/2011).

Le Sezioni Unite del Suprema Corte con la sentenza n 1641 del 23/01/2017 hanno ribaltato questo orientamento facendo una serie di affermazioni chiarificatrici anche sotto altri aspetti utili.

Innanzitutto affermano che il curatore ha sempre la legittimazione attiva al risarcimento del danno per fatto illecito derivante dagli artt. 185 c.p. e 2043 c.c. che può affiancarsi alla concorrente responsabilità contrattuale (ex art 2393 c.c. che presuppone un danno in conseguenza della violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo) o extracontrattuale (ex art 2394 c.c. che presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale) su cui si fondano le azioni contro gli amministratori.

La seconda affermazione attiene al superamento del difetto di legittimazione attiva del curatore contro gli amministratori di s.r.l. a cui venga addebitata la violazione degli obblighi alla conservazione del patrimonio sociale.

La tesi del difetto di legittimazione fondava sulla considerazione che l’art 146 l.f. farebbe un implicito richiamo alle azioni disciplinate nel codice civile il cui art 2476 c.c., per quanto riguarda le s.r.l., non contempla la fattispecie della responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2394 c.c. ma solo quella contrattuale.

A questo orientamento la Suprema Corte oppone l’osservazione che la legittimazione del curatore ad esercitare “le azioni di responsabilità contro gli amministratori” secondo il disposto di cui all’art 146 l.f. è da intendersi come facoltà ampia, comprensiva di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società.

Infine la sentenza affronta l’argomento -centrale- della neutralità rispetto al patrimonio sociale del pagamento preferenziale responsabile di una diminuzione dell’attivo in misura esattamente pari a quella del passivo, senza, quindi, danno alla società.

Le Sezioni Unite affermano che la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia dei creditori, va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale che espone il creditore alla falcidia fallimentare attraverso l’esercizio dell’azione revocatoria la cui funzione è appunto quella di ricondurre al concorso chi se ne sia sottratto, con la conseguenza che la volontaria lesione della par condicio rappresenta un’espressione dell’inosservanza agli obblighi della conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.

Anche sotto il profilo economico il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

Il principio di diritto a cui perviene la sentenza è pertanto il seguente: “il curatore ha legittimazione attiva unitaria in sede penale come in sede civile all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori”.

Dunque la sentenza sdogana la possibilità di agire anche sotto il profilo civilistico contro gli amministratori che in epoca precedente al fallimento abbiano eseguito pagamenti preferenziali.

Occorre osservare tuttavia che non ogni pagamento lesivo della par condicio dà luogo al reato di bancarotta preferenziale: l’art 216 c. 3 l.f. richiede la presenza del dolo specifico consistente nella volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto con l’accettazione della eventualità di un danno per gli altri secondo lo schema del dolo eventuale (così Cass. pen. 5/4/2014 n16983).

Occorre dunque il concorso della consapevolezza e della finalità lesiva, che, ad esempio, non sussiste nel caso in cui il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia dell’attività sociale o imprenditoriale ed il risultato di evitare il fallimento possa ritenersi più che ragionevolmente perseguibile.

Un’altra osservazione è che i pagamenti preferenziali non sono sovrapponibili a quelli revocabili sia in quanto questi ultimi prescindono da qualsiasi ipotesi di dolo o perfino dall’effettiva lesione della par condicio (che è presunta come hanno insegnato le SS.UU. con sentenza 28/03/2006 n 7028), sia in quanto con la revocatoria possono essere colpiti solo gli atti compiuti in un arco temporale circoscritto di 6 o 12 mesi.

L’azione di responsabilità offre invece uno spettro di ipotesi temporali più ampio sotto la condizione ovviamente che venga offerta la prova della volontà, nella accezione del dolo eventuale, di ledere la par condicio.

Ma soprattutto l’azione revocatoria si rivolge al percipiente il pagamento mentre (normalmente) l’azione di responsabilità colpisce l’autore materiale del pagamento attraverso il quale ha leso l’integrità patrimoniale a garanzia dei creditori.

Una riflessione a parte meritano i pagamenti esenti da revocatoria ex art 67 c. 3 l.f. per i quali il legislatore ha stabilito l’irrilevanza della lesione della par condicio in funzione della prevalenza dell’interesse al soddisfacimento del credito anche se eseguito durante il cosiddetto periodo sospetto, circostanza che porterebbe a prima vista a concludere per l’irrilevanza penale del pagamento “preferenziale”.

Alcune situazioni si prestano tuttavia ad essere strumentalizzate: si pensi al rientro dal debito bancario effettuato anteriormente al c.d. periodo sospetto, eseguito in funzione protettiva dell’obbligazione fideiussoria rilasciata dall’imprenditore; oppure al pagamento del canone d’affitto del capannone la cui proprietà è riferibile allo stesso amministratore della società in crisi.

Nelle ipotesi riferite il criterio discretivo sta nella finalità perseguita dall’agente: se risulta prevalente l’intenzione di alleggerire la pressione dei creditori in vista di un presumibile riequilibrio finanziario e patrimoniale, ciò rende il pagamento incompatibile con il delitto di bancarotta preferenziale (cfr Cass 26/09/2013 n 48802), diversamente se emerge la strumentalizzazione dell’esenzione da revocatoria ciò non garantisce dall’esclusione del reato con addebito della violazione dell’integrità patrimoniale.

Peraltro la circostanza che l’art 217-bis l.f. preveda, dal 2012, un’esenzione specifica dalla bancarotta per i pagamenti effettuati in esecuzione di concordato, di A.d.R. ex art 182-bis l.f. o di piano attestato ex art 67 c. 3 lett. d l.f. senza includere nel perimetro anche le altre ipotesi previste dall’art 67 c. 3l.f. consente, a contrariis, di ritenere che l’esenzione civile da revocatoria non coincida con una causa di giustificazione assoluta in campo penale, permettendo l’indagine sull’antigiuridicità della condotta al fine di una possibile responsabilità dell’autore.

Un’ultima annotazione va riferita al terzo concorrente nel reato; quest’ipotesi non è scontata in quanto il terzo non ha alcun dovere giuridico di rifiutare il pagamento che anzi in forza dell’art 1186 c.c. è chiamato a sollecitare in presenza di sintomi di insolvenza del suo debitore.

Pertanto la partecipazione del terzo al reato di bancarotta preferenziale è circoscritta al caso che costui abbia posto in essere un’attività ulteriore rispetto alla sola ricezione del pagamento, mettendo in essere una condotta funzionale alla commissione del reato come ad esempio l’istigazione a pagare.

A tale riguardo si rammenta la sentenza di Cassazione 1/6/2010 n 13413 che ha affermato la facoltà di aggredire anche isolatamente il terzo corresponsabile con l’amministratore dell’atto illecito senza richiedere il risarcimento all’autore materiale del pagamento: vista la frequente insufficienza patrimoniale in capo all’amministratore, la possibilità di rivolgere l’azione risarcitoria direttamente nei confronti del terzo corresponsabile, costituisce una chance nelle mani dei curatori che merita di essere coltivata.

Infine la somma pagata non necessariamente costituisce la misura del danno e ciò a differenza di quanto accade in revocatoria dove peraltro esiste il correttivo dell’art 70 u.c. l.f. che abilita il soccombente in revocatoria a partecipare al concorso.

Il correttivo citato non è certamente applicabile in via analogica al caso risarcitorio data l’eccezionalità della norma che legittima il creditore a partecipare al concorso per un credito sorto successivamente al fallimento.

Neppure può soccorrere il principio della compensatio lucri cum damno in quanto il vantaggio che può trarre il fallimento dalla positiva ricostruzione del patrimonio del fallito attraverso le azioni di massa a disposizione della curatela, non costituisce conseguenza immediata e diretta dell’illecito che ha cagionato il danno costituito dalla lesione dell’integrità del patrimonio sociale nell’accezione della par condicio (cfr. Cass. 20/05/2013 n 12248).

Pertanto ritengo che la soluzione sia di carattere processuale, nel senso che sarà onere del convenuto nell’azione risarcitoria dimostrare, secondo la ripartizione della prova affidata alle parti dall’art 2697 c.c. che il danno subito dal fallimento è inferiore rispetto all’ammontare del pagamento preferenziale eseguito in lesione dell’integrità del patrimonio sociale.

18/4/2017

Gianfranco Benvenuto