Approfondimento sulla figura dell’amministratore di società di capitali: la sua particolare posizione contrattuale (soprattutto se contemporaneamente dipendente e amministratore) e la sua posizione previdenziale; segnaliamo una particolare interpretazione che potrebbe stravolgere la prassi relativa alla contribuzione INPS di tale figura. A cura di Antonio Tuzio.
La figura dell’amministratore di società è una figura strategicamente rilevante ai fini della gestione organizzativa, gestionale dell’azienda. L’amministratore in qualità di manager è tenuto a realizzare operazioni in grado di conseguire l’oggetto sociale. Egli ha l’obbligo di operare nell’esclusivo interesse della società, nel rispetto del rapporto fiduciario che si instaura con l’assemblea dei soci, che lo nomina.
L’amministratore nel compimento dei suoi incarichi deve tenere un comportamento diligente, ponendosi come “strumento di prevenzione della crisi” a tutela del patrimonio a Lui affidato. Infine ricordiamo gli obblighi di fedeltà, divieto di concorrenza, e obbligo di astenersi dal conflitto di interessi con la società.
Sappiamo che le società di capitali sono dotate di personalità giuridica e di perfetta autonomia patrimoniale, e che operano in forma organica, mediante tre formulazioni giuridiche: il sistema latino, mediante il quale le società sono costituite da tre organi separati e distinti tra loro: l’assemblea dei soci, (potere deliberativo) l’organo amministrativo (potere manageriale) l’organo di controllo (controllo gestionale e controllo contabile) Precisamente per le società Srl e SpA non quotate l’organo amministrativo può essere costituito anche da un singolo amministratore definito amministratore unico, o da un consiglio di amministrazione, ed il collegio sindacale svolge tutti i compiti di controllo compreso quello contabile che viene affidato ad un sindaco avente il requisito dell’iscrizione presso il Registro Revisori,
Nelle società per azioni quotate invece non è prevista la figura dell’amministratore unico, ed il consiglio di amministratore deve contenere almeno un consigliere espressione della minoranza dei soci ed uno indipendente. Ancora, nelle società quotate il collegio sindacale non assume la funzione di controllo contabile che viene altresì derogata ad una società di revisione.
Altre due tipologie di sistema organizzativo delle società di capitali sono state introdotte nel 2003 con la riforma del diritto societario, che ha portato anche in Italia il sistema dualistico tedesco, ove l’assemblea dei soci nomina un consiglio di sorveglianza ed un consiglio di gestione, ed un sistema monistico inglese ove esiste un unico organo preposto all’esercizio di compiti amministrativi e di controllo.
Gli amministratori delle società di capitali sono sempre persone fisiche, e l’art.2380 bis stabilisce che a differenza delle società di persone, possono essere sia soci che non soci, ed inoltre nel caso in cui la società sia rappresentata da un amministratore unico, questi deterrà in sé tutti i poteri direzionali e di rappresentanza, mentre in presenza di un consiglio di amministrazione, il potere direzionale gestionale è espresso sempre in forma collegiale, mentre il potere di rappresentanza è attribuito di solito al Presidente del Consiglio di Amministrazione e ad altri specifici componenti, per cui il potere di rappresentanza non viene attribuito automaticamente a tutti i componenti ed ha la caratteristica dell’individualità. Quindi il potere di rappresentanza non è espresso mai in forma collegiale, bensì in forma individuale, congiunta o disgiunta.
Non è previsto dal codice civile che gli amministratori debbano essere dotati di particolari professionalità specifica, ma solo di generali requisiti di onorabilità e di indipendenza.
Il requisito dell’onorabilità consiste nell’insussistenza di condanne penali per taluni reati di natura tributaria, bancaria, societaria, contro la pubblica amministrazione, la fede piubblica, contro il patrimonio, l’ordine pubblico, e l’economia pubblica.
Requisito di indipendenza: l’art. 2380-bis c.c. attribuisce il potere di amministrare agli amministratori in forma ESCLUSIVA, e questa esclusività è dovuta ad un principio di equità, rispetto alle responsabilità severe cui gli amministratori stessi sono chiamati nel corso del loro incarico.
Questo potere esclusivo può essere tale solo se l’amministratore è effettivamente dotato del requisito della indipendenza. Pertanto si esclude che l’amministratore nell”esercizio delle sue funzioni possa essere definito come in rapporto di subordinazione rispetto alla società, seppure non si esclude che si verifichino alcune particolarità: sia nominato componente del consiglio di amministrazione un dipendente della stessa società, per particolari competenze di natura tecnica che questi abbia acquisito e che possano venire utili all’interno del Consiglio di Amministrazione, come opportune conoscenze ed esperienze specifiche, oppure più comunemente un quadro o dirigente o funzionario di vecchia data, che abbia dato prova di assoluta fedeltà, competenza, e capacità venga incaricato come amministratore della società. Infine altro caso può consistenere nella instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato da parte di un componente del Consiglio di Amministrazione con mansioni chiare e determinate, specificatamente non riconducibili ad aspetti decisionali, direttivi, o strategici.
In merito a queste fattispecie dobbiamo dire che una prima sentenza della Corte di Cassazione, la n. 5418/1996 aveva stabilito che per identificare la correttezza del rapporto di lavoro subordinato instaurato tra la società ed un suo componente del Consiglio di Amministrazione occorresse dimostrare la sussistenza del vincolo di subordinazione, con assoggettamento evidente del consigliere–dipendente, al potere direttivo e di controllo, nonché disciplinare, dell’organo di amministrazione.
Riguardo al caso in cui il nostro componente di Consiglio di Amministrazione sia anche lavoratore subordinato della stessa società ma con mansioni di natura totalmente differente rispetto a quelle esercitate in qualità di amministratore (per esempio come dipendente svolga mansioni meramente esecutive, manuali), la Corte di Cassazione con sentenza 5944 ha confermato la compatibilità piena tra le due mansioni.
Precisiamo inoltre che per la figura di amministratore, contemporaneamente lavoratore dipendente con altre mansioni estranee a quelle amministrative o decisionali, la nomina ad amministratore è sempre valida ed efficace, casomai si può discutere solo sulla subordinazione effettiva della qualifica di lavoratore dipendente, e comunque gli atti compiuti in qualità di amministratore sono validi ed altrettanto efficaci verso i terzi.
Tuttavia sono annullabili quelle delibere prese dagli amministratori in violazione dell’interesse generale ed in palese conflitto di interessi rispetto alla gestione comune della società nei casi in cui l’amministratore decida di erogare aumenti salariali o premi o superminimi ingiustificati, volti al solo fine di favorire se’ stesso come percettore in qualità di lavoratore subordinato, o a favorire solo i lavoratori appartenenti al reparto dove lui svolge attività come lavoratore dipendente.
Detto questo si esclude categoricamente che un amministratore unico possa rivestire il ruolo di lavoratore subordinato senza generare conflitti di interessi, poiché in questo caso è evidente la mancanza del rapporto di subordinazione.
In qualità di componente del Consiglio di Amministrazione invece, è opportuno attribuire deleghe specifiche e limitate al soggetto che sia anche lavoratore dipendente, e si esclude che questi possa rivestire un ruolo di legale rappresentante in forma disgiunta, mentre nel caso di rappresentanza in forma congiunta si eviterebbe l’esercizio del diritto di veto, al fine di non rendere nullo il rapporto di subordinazione.
L’art. 2389 c.c. prevede che la funzione di amministratore non sia gratuita ma che spetti agli amministratori un compenso stabilito in fase di nomina o in assemblea in modo diretto e con determinazione avente data certa.
La natura fiscale del compenso è stata, a partire dal 2001 e fino ad oggi, quella prevista all’art. 50 TUIR come compenso assimilato al lavoro dipendente, mentre fino al 31/12/2000 era inquadrabile come reddito di lavoro autonomo.
L’Agenzia delle Entrate nel 2001 aveva chiarito che i compensi agli amministratori sono equiparabili ai rapporti di collaborazione coordinata continuativa, e che pertanto sono individuabili come redditi di lavoro autonomo solo in via residuale, quando l’attività di amministratore rientri nei compiti istituzionali tipici del professionista titolare di posizione iva individuale, come per i dottori commercialisti, ragionieri e avvocati.
La determinazione del compenso assimilato al lavoro dipendente avviene secondo il principio di cassa allargato, con erogazione di un’unica voce retributiva su cedolino con cadenza periodica, privo del contenuto delle classiche voci di cosiddetti minimi retributivi da contratti collettivi, privo di ratei ferie permessi, e di accantonamenti a TFR, nonché escluso da determinazione di una paga in forma oraria e di una compilazione di foglio presenze. Il cedolino prevede la suddivisione del compenso complessivo deliberato in unica soluzione nell’esercizio amministativo di percezione, o frazionato in forma periodica mensile, trimestrale, semestrale o in altre forme.
Il compenso agli amministratori è sottoposto a trattenute IRPEF secondo criterio di proporzionalità, a relativo conguaglio con applicazione delle detrazioni IRPEF previste, nonché a trattenuta periodica previdenziale, con iscrizione dell’amministratore alla gestione separata, attraverso due modalità:
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per gli amministratori non iscritti ad altra forma pensionistica con applicazione dell’aliquota del 32,72%;
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per gli amministratori iscritti ad altra forma o già pensionati con l’aliquota del 24%.
Infine occorreva stabilire nel caso di soggezione del compenso a pignoramento, se il compenso fosse oggetto di pignoramento limitato come nel caso del lavoratore dipendente o assimilato oppure fosse pignorabile l’intero compenso, e qui interviene la nuova Sentenza 1545/2017 della Corte di Cassazione che modifica anzi, stravolge tutto il ragionamento fin ora fatto.
Nella sentenza il quesito fondante consiste nel chiedere alla Corte se il rapporto tra la società per azioni ed il suo amministratore sia qualificabile come di lavoro parasubordinato o autonomo, e quindi stabilire se il compenso sia pignorabile in forma limitata come previsto per i co.co.co oppure se senza limitazioni come previsto per i lavoratori autonomi.
In effetti abbiamo già in precedenza parlato della figura di amministratore come figura indipendente rispetto alla compagine sociale. Ora occorre comprendere se la figura di amministratore possa essere titolata ad una fattispecie di rapporto parasubordinato.
La sentenza deve esprimersi nella sostanza tra la riconducibilità del compenso amministratori ad emolumento derivante da rapporto di lavoro parasubordinato oppure di lavoro autonomo o di opera professionale o di altra natura?
Da qui sorgono diversi aspetti legati alla assoggettabilità del compenso al reddito di lavoro autonomo invece che al reddito assimilato di lavoro dipendente, e anche dal punto di vista della contribuzione abbiamo risvolti molto importanti.
La Corte prende le mosse dall’esame di due teorie contrapposte sul rapporto tra società ed amministratori:
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la teoria contrattualistica ove la figura dell’amministratore è desunta come figura di parasubordinato rispetto alla società;
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la teoria organica invece individua l’immedesimazione tra l’organo amministrativo e le persone fisiche che lo compongono.
nella teoria contrattualistica il conferimento del potere di rappresentanza all’amministratore non deriva dalla legge o dallo statuto ma da una regolamentazione tra le parti, negando così l’immedesimazione tra l’organo amministrativo e la persona fisica.
Quindi potremmo così riassumere: la teoria contrattualistica potrebbe individuare la figura dell’amministratore di società come un lavoratore subordinato o parasubordinato nei confronti dell’assemblea, che avrebbe il potere di nomina e revoca, e del collegio sindacale, che avrebbe il potere di controllo degli atti; fanno seguito in capo all’amministratore i doveri di fedeltà, diligenza, la teoria del diritto alla corresponsione di un compenso, che farebbero propendere per questa tesi.
Esiste una precedente teoria del rapporto parasubordinato: la Sentenza n. 10680 del 1994 con la quale fu presa netta posizione a favore della qualifica del rapporto di amministrazione come rapporto di lavoro parasubordinato. Secondo la sentenza esiste un rapporto organico, in virtù del quale l’amministratore impersona la società all’esterno, ma questo rapporto non esclude la configurabilità di un rapporto interno basato sul vincolo di natura obbligatoria tra l’amministratore stesso e la società amministrata.
Quindi l’attività che l’amministratore è tenuto a prestare in favore della società presenterebbe i canoni della personalità, della continuazione e della coordinazione.
Questa teoria è stata successivamente oggetto di critiche in quanto dal 1994 al 2003 si è registrato un profondo riassetto normativo e dottrinario a tal proposito, che ha riformato il diritto societario, Pertanto si è diffuso un nuovo approccio giuridico, che ha prodotto un radicale ripensamento rispetto all’approccio prospettato nella sentenza 10680/1994. Infatti è prevalsa la tesi che l’attività in forma coordinata e parasubordinata sia soggetta ad ingerenza o direttive altrui, e questo aspetto non si addice al ruolo indipendente dell’amministratore che non può in alcun modo essere diretto, coordinato nell’attività amministrativa. Citazione: “ la riforma del diritto societario rende l’amministratore il vero egemone dell’ente sociale. A lui spetta in via esclusiva la gestione dell’impresa con il solo limite di quegli atti che non rientrano nell’oggetto sociale. Il potere di rappresentanza è generale e pertanto non condizionabile da parte di altri organi. Quindi si giunge ad escludere qualsiasi tipo di coordinamento nel rapporto tra assemblea ed amministratori. La nuova teoria organica quindi centralizza l’esposto normativo dell’art.2380 bis che attribuisce la gestione dell’impresa in via esclusiva all’amministratore. Si esclude alcun rapporto di collaborazione coordinata tra assemblea e amministratori in quanto l’assemblea ha una competenza gestoria limitata agli atti espressamente previsti dalla legge, mentre gli amministratori hanno una competenza gestoria generale, che cessa per lasciare il campo a quella dell’assemblea solo quando si tratta di iniziative che comportano una sostanziale modifica diretta o indiretta dell’oggetto sociale.
Con la riforma societaria si afferma la tesi del rapporto societario tra società ed amministratori, funzionale alla vita della società, rapporto che consente alla società di agire, e come tale inadeguato ad essere ricondotto ad un rapporto di parasubordinazione.
La sentenza si conclude con questo enunciato: “l’amministratore unico o il consigliere di C.di A di una società per azioni sono legati da un rapporto di tipo societario, che, in considerazione dell’immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è di natura parasubordinata”.
Da quanto detto si apre un nuovo scenario che coinvolge l’intera impostazione del rapporto anche da un punto di vista fiscale: facciamo un’ipotesi, il reddito viene assimilato al lavoro autonomo, civilisticamente, ma potrebbero conseguire obblighi dichiarativi mediante il modello Persone Fisiche, prima non necessariamente stringenti, in quanto ai fini contributivi abbandoniamo l’impostazione del versamento alla gestione separata in qualità di parasubordinato, con conseguente accesso alla gestione commercianti o artigiani degli amministratori accomunati ai soci lavoratori. Al momento ritengo che nulla vieti la compilazione del classico cedolino al fine di configurare e determinare il compenso, tuttavia tale cedolino conterrebbe solo le trattenute IRPEF, operando la contribuzione in sede di versamento di contributi fissi predeterminati e precompilati, e di conguaglio mediante l’apposito quadro dichiarativo dei redditi eccedenti il minimale contributivo. Si attendono cirolari ministeriali esaustive nei prossimi mesi.
17 marzo 2017
Antonio Tuzio